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Rapporto e isolamento

Nel documento Jiddu Krishnamurti. Vari testi. Source : (pagine 115-121)

La vita è esperienza, esperienza nel rapporto. Non si può vivere nell'isolamento; dunque la vita è rapporto e il rapporto è azione. E come si può avere quella capacità di comprendere i rapporti che costituiscono la vita?

Non è forse vero che rapporto significa non solo comunione con le persone, ma anche intimità con le cose e le idee? La vita è rapporto, che si esprime attraverso il contatto con le cose, con le persone e con le idee. Nella comprensione dei rapporti si può sviluppare la capacità di affrontare la vita in maniera piena e adeguata. Quindi il nostro problema non è tale capacità-che non è indipendenza dei rapporti-ma piuttosto la comprensione dei rapporti, che produrrà naturalmente le necessarie capacità di immediata duttilità, rapida adattabilità e pronta reazione.

Non c'è dubbio che il rapporto sia lo specchio in cui scopriamo noi stessi.

Al di fuori dei rapporti non siamo; essere è essere in relazione; essere in relazione costituisce l'esistenza.

Esistiamo solo nel rapporto; al di fuori di esso non esistiamo, l'esistenza non ha significato. Non è perchè pensiamo di essere che accediamo all'esistenza. Esistiamo perchè siamo in rapporto con altri; ed è la mancanza di comprensione del rapporto che causa conflitto.

Orbene, la comprensione del rapporto è assente perchè ci serviamo dei rapporti come di un semplice mezzo per promuovere il conseguimento, la trasformazione, il divenire.

Ma il rapporto è uno strumento di scoperta del sè, perchè costituisce l'essere, è l' esistenza. Per comprendere me stesso, devo comprendere il rapporto. Il rapporto è uno specchio in cui posso vedere me stesso. Può essere uno specchio deformante, oppure può essere "come è", riflettendo ciò che è. Ma la maggior parte di noi vede in quel rapporto, in quello specchio, le cose che "preferisce"

vedere, non ciò che è.

Preferiamo idealizzare, evadere, preferiamo vivere nel futuro piuttosto che comprendere il rapporto nell'immediato presente.

Se esaminiamo la nostra vita, il nostro rapporto con gli altri, vedremo che si tratta di un processo di isolamento. In realtà non ci interessano gli altri; anche se ne facciamo un gran parlare, di fatto non ci interessano.

Siamo legati a qualcuno solo fin tanto che quel rapporto ci assicura protezione e ci soddisfa. Ma nel momento in cui nel rapporto sorge una difficoltà che ci procura disagio, lo mettiamo da parte. In altre parole, c'è rapporto solo nella misura in cui c'è gratificazione. Ciò può suonare brutale, ma se considerate la nostra vita molto attentamente, vi accorgerete che è un dato di fatto; e ignorare un dato di fatto vuol dire vivere nell'ignoranza che non potrà mai dare vita a un rapporto giusto. Se esaminiamo le nostre vite e osserviamo i nostri rapporti, ci accorgiamo che consistono in un processo di costruzione di resistenze verso gli altri, come muri al di sopra dei quali guardiamo i nostri simili; ma stiamo ben attenti a mantenere sempre in piedi il muro- che sia psicologico, materiale, economico o nazionale- e ce ne facciamo scudo. Fin quando viviamo in isolamento, dietro un

muro, non c'è possibilità di rapporto con l'altro; e il motivo per cui viviamo rinchiusi è perchè lo troviamo molto più gratificante, pensiamo che sia molto più sicuro.

"Su ogni tavolo c'erano narcisi selvatici"

da: Jiddu Krishnamurti

La sola rivoluzione pp. 129/130 Ed. Ubaldini – Roma

Su ogni tavolo c'erano narcisi selvatici, freschi, appena colti dal giardino, con ancora intatto l'incanto della primavera. Su un tavolo accanto c'erano dei gigli, biancovellutati, dal cuore intensamente giallo. Vedere quel bianco vellutato e il giallo brillante di quei narcisi era come vedere il cielo, profondo, illimitato, silenzioso.

Quasi tutti i tavoli erano occupati da gente che parlava a voce alta e rideva. A un tavolo vicino, una donna dava da mangiare furtivamente al suo cane la carne che non mangiava. Tutti, a quanto pareva, avevano grosse porzioni e non era un bello spettacolo veder gente mangiare; forse è barbaro mangiare pubblicamente. Un uomo, dall'altra parte della sala, si era rimpinzato di vino e carne e si stava accendendo un grosso sigaro, con un che di beato sulla grassa faccia. Sua moglie, grassa come lui, si accese una sigaretta. Sembravano fuori del mondo.

Ed essi erano lì, i gialli narcisi selvatici, e nessuno sembrava curarsi di loro. Erano lì per scopi decorativi che non avevano alcun senso; e, quando li osservavi, il loro

giallo brillante riempiva la sala rumorosa. Il colore ha questo strano effetto sull'occhio. Non avveniva tanto che l'occhio assorbisse il colore, quanto che il colore sembrasse riempire il tuo essere.

Tu eri quel colore; tu non diventavi quel colore, tu lo eri, senza identificazione o nome: l'anonimità che è innocenza.

Dove non c'è anonimità c'è la violenza, in tutte le sue forme.

Ma tu dimenticasti il mondo, la sala piena di fumo, la crudeltà dell'uomo e la rossa, disgustosa carne; quegli eleganti narcisi sembravano portarti al di là del tempo.

L'amore è così. In lui non c'è tempo, né spazio, né identità. E' l'identità che genera il piacere e l'affanno; è l'identità che porta con sé l'odio e la guerra e innalza un muro intorno agli uomini, intorno al singolo, intorno a ciascuna famiglia e comunità. L'uomo deve superare il muro per incontrare il suo simile, che è chiuso anche lui entro un muro; la morale è una parola che stabilisce un ponte fra i due, e così diventa brutta e vana.

L'amore non è così; è come quel bosco dall'altro lato della via, che ogni momento si rinnova perché ogni momento muore. In lui non c'è permanenza, la permanenza cercata dal pensiero; è un movimento che il pensiero non potrà mai capire, toccare o sentire. Il sentimento del pensiero e il sentimento dell'amore sono due cose differenti; l'uno porta alla schiavitù e l'altro alla fioritura della bontà.

Quella fioritura non avviene entro la sfera di nessuna società, di nessuna cultura, di nessuna religione, mentre la schiavitù appartiene a tutte le società, credenze religiose e fede nell'altro. L'amore è anonimo, quindi non violento. Il piacere è violento, perché in esso agiscono come fattori sollecitanti il desiderio e la volontà. L'amore non può essere

generato dal pensiero, né dalle buone opere. La negazione dell'intero processo del pensiero diviene la bellezza dell'azione, che è amore. Senza di che non c'è beatitudine di verità.

E laggiù, su quel tavolo, si ergevano i narcisi selvatici . . .

Nel documento Jiddu Krishnamurti. Vari testi. Source : (pagine 115-121)