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Rappresentanza legale e consenso informato

3. Consenso informato e incapacità del paziente

3.2 Rappresentanza legale e consenso informato

Nel caso in cui l’incapacità del paziente non sia contingente ma permanente, vengono in considerazione gli istituti dell’interdizione e

228 M. Romano, Commentario cit., p. 539.

229 A. Manna, Trattamento sanitario cit., p. 454.

230 F. Giunta, Il consenso informato cit., p. 383.

231 M. Benincasa, Liceità e fondamento dell’attività medico chirurgica a scopo

terapeutico, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1980, p. 724.

232 In tal senso sia F. Giunta, Il consenso informato cit., p. 383; R. Garofoli, Manuale di

dell’amministrazione di sostegno233. Nonostante le differenze tra i due istituti, le considerazioni sono le stesse.

In tutte le decisioni l’incapace è affiancato dal rappresentante legale, che deve esprimere il consenso su ogni atto medico. In tale senso la Convenzione di Oviedo, all’art. 6 co. 3, secondo il quale l’intervento «non può essere effettuato senza l’autorizzazione del rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge [...]», fornito dell’informazione necessaria e perseguendo il best interest del rappresentato. Nel dare il consenso il rappresentante dovrà, non solo pensare al miglior beneficio per l’incapace, ma anche ricostruire la volontà dello stesso, partendo dai suoi desideri, dalle convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche, dando «sostanza e coerenza all’identità complessiva del rappresentato e al suo modo di concepire l’idea stessa di dignità della persona»234 . Quindi non è una scelta del rappresentante, ma del rappresentato anche se manifestata dal primo.

Nonostante la sua incapacità, il paziente non può essere escluso dalla relazione terapeutica: sia il codice di deontologia medica235 che normative nazionali236 prescrivono di coinvolgere il paziente incapace, seppur con le adeguate cautele: «il principio di eguaglianza vuole che di questo diritto fondamentale (autodeterminazione terapeutica), la persona non possa

233 Per un’analisi compiuta di questi istituti privatistici, si rinvia a F. Gazzoni, Manuale

di diritto privato, Napoli, 2015, p. 262 e ss. oppure A. Torrente, Manuale di diritto privato, Milano, 2014, p. 100 e ss. Si permetta di sottolineare la differenza tra

amministrazione di sostegno e interdizione: essa non dipende dal diverso grado di infermità, ma sulla possibilità di lasciare spazio, anche se minimo, all’autodeterminazione del paziente. Nel caso di amministrazione di sostegno, sarà il giudice con l’atto di nomina a giudicare quali poteri ed in che ambito l’amministratore può fare uso.

234 G. Dolcini - E. Marinucci, Codice penale cit., p. 713-714.

235 Art. 33 «[...] il medico adegua la comunicazione alla capacità del paziente [...]».

236 Si richiama come esempio la legge n. 194 del 22 Maggio 1974 in materia di aborto e la legge n. 107 del 4 Maggio 1990 in materia di donazione di sangue

esserne privata per il fatto della sua incapacità»237. Certamente in caso di interdizione, la grave infermità compromette l’incisività sulla scelta. Nel caso dell’amministrazione di sostegno, invece, tutto dipende dell’autonomia rilasciata all’incapace da parte del giudice tutelare, permettendo in alcuni casi al paziente incapace di imporsi sulla volontà dell’amministratore in caso di contrasto.

In caso di conflitto d’interesse tra il rappresentante legale e il rappresentato, come anche in caso di ingiustificato dissenso al trattamento, il sanitario dovrà adire il giudice tutelare affinché dia le indicazione del caso, in surroga del rappresentante. Oppure interpellare il pubblico ministero, o agire senza il consenso di nessuno, solo se ricorre la necessità di cui all’art. 54 cod. pen.238

Diverso è il caso del minore. Negli ultimi anni si è sempre di più acquisita la consapevolezza che la presunzione «minore età-incapacità» 239 è inadeguata, favorendo interpretazioni per una maggiore autonomia e autodeterminazione del minore. Ad esempio, l’art.. 315 bis240 cod. civ. prescrive che «il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano», applicabile anche a questioni non strettamente patrimoniali. La normativa internazionale, come la Convezione di Oviedo o la Carta dei diritti fondamentale dell’U.E., è più precisa al riguardo, prescrivendo di coinvolgere il minore nelle scelte terapeutiche. È possibile, dunque, riconoscere una partecipazione del

237 G. Ferrando, Amministrazione di sostegno e rifiuto di cure, in Fam. e dir., 2009, p.283.

238 G. Marinucci - E. Dolcini, Codice penale cit., p. 713; E. Palermo Fabris, Diritto alla

salute e trattamenti sanitari nel sistema penale, 2000, Padova, p. 237; G. Barbuto, Alcune considerazioni cit., p. 343; F. Giunta, op. cit., p. 396; M. Barni, L’amministratore di sostegno tra opzioni mediche e autonomia del paziente, in Riv. It. Med. Leg., 2005, p. 189.

239 C. Vignali, La tutela della salute del minore, in Dir. Fam. Pers., 2005, p. 1430.

minore alla decisione per il trattamento sanitario: partecipazione però, non autonomia nella stessa. La dottrina, infatti, riconosce una forma di autodeterminazione debole241, non completa, integrandosi la volontà del minore vicendevolmente con quella del rappresentante242. Anche l’età del minore inficia l’efficacia che il suo consenso può avere in ordine al trattamento medico da intraprendere: così il minore di dieci anni è considerato immaturo, ma già dal quattordicesimo anno d’età il minore243 ha una certa capacità di discernimento, anche se non può prescindersi dalla volontà degli stessi esercenti la rappresentanza legale. Quindi, fermo restando il dovere da parte del sanitario di ascoltare il minore al fine di instaurare anche nei suoi confronti la relazione terapeutica, dovranno essere i genitori o il rappresentante a decidere sul trattamento terapeutico, in quanto titolari del potere-dovere di provvedere alla cura della sua persona finalizzato al miglior beneficio del minore. Per questa ragione, quando il diniego del rappresentante sia in contrasto con il miglior interesse del minore, il sanitario dovrà adire l’organo giudiziario244, configurandosi un abuso di potestà.

Nei casi di urgenza e indifferibilità del trattamento, il medico deve intervenire nonostante il dissenso del minore o del rappresentante, perché «la disponibilità della propria salute è un diritto personalissimo, che peraltro il minore non ha ancora maturato, con la conseguenza che sul minore gravano vincoli pubblicistici di indisponibilità, che valgono anche per il suo rappresentante legale»245.

241 A. Turri, Autodeterminazione, trattamenti sanitari e minorenni, in Quest. Giust., 2000, p. 1106-1107.

242 U. G. Nannini, Il consenso al trattamento medico, presupposti teorici e applicazioni

giurisprudenziali in Francia, Germania e Italia, Milano, 1989, p. 422.

243 C. Vignali, op. cit., p. 1431.

244 F. Giunta, Il consenso informato cit., p. 398; C. Vignali, La tutela della salute del

minore cit., p. 1437; A. Turri, Autodeterminazione, trattamenti cit., p. 1109.