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Rappresentazione dell’Athenaion/Duomo nella cartografia della città di Siracusa

Tommaso Fazello32dedica il I capitolo del IV libro del De Rebus Siculis decades duae, del 1558,

alla descrizione letteraria della città di Siracusa, cominciando, subito, il racconto con la citazione di un’espressione usata dal sultano “Sollino” per definirla «urbiumque Siciliae princeps», prin­ cipessa fra le città di Sicilia, sottolineando il glorioso passato dell’antica pentapoli e il ruolo ri­ vestito nel Mediterraneo. Fazello si limita, tuttavia, a particolareggiare solo la parte abitata, all’epoca, l’isola di Ortigia, di cui evidenzia le antichità e le sue caratteristiche strategico­militari, oltre al porto. Per quanto l’autore non abbia corredato di alcun disegno la propria descrizione, in essa si individuano quelle costanti che caratterizzeranno la produzione di immagini della città fino a tutto l’Ottocento; infatti, nel racconto è sempre vivo il riferimento al tempio di Minerva e al suo piazzale antistante da cui si dipanano i principali assi viari.

Vincenzo Mirabella,33 l’erudito del Rinascimento siracusano, nella propria opera aveva fuso

mito e realtà, realizzando, ad opera dell’incisore Francesco Lomia, ben nove tavole in cui tra­ spare una Siracusa mitizzata, riportata ai fasti dell’antica grandezza, una megalopoli abitata da

32 T. Fazello, De Rebus Siculis Decades duae, deca I, libro IV, cap. I, Palermo 1558. Per l’edizione in

italiano si veda, Storia di Sicilia Deche Due del R.P. Tommaso Fazello siciliano tradotte in lingua to-

scana da P.M. Remigio Fiorentino, Palermo 1817.

quasi un milione di abitanti, seguendo pedissequamente le descrizioni che autori come Plutarco, Diodoro, Livio, Cicerone avevano tramandato.

Le Antiche Siracuse del patrizio siracusano saranno destinate a influenzare tutta la cartografia successiva, oltre alle descrizioni letterarie; nel raffigurare la città antica, Mirabella ha, in verità, costruito un palinsesto atemporale in cui convivono le emergenze archeologiche, dai templi alle fortificazioni, agli acquedotti integrati alla ricostruzione di immaginifici tracciati viari, splendidi porti, etc.

Nel dettaglio, analizzando la tavola in cui è rappresentata Ortigia, gli unici due edifici ad essere trattati con dovizia di particolari e per questo anche riconoscibili all’occhio del lettore, sono la cattedrale con il suo elevato campanile, ricostruito dopo il terremoto del 1542, e il Castello Ma­ niace. Due luoghi che hanno un evidente significato politico, militare, sacro.

Di poco più tarda, ma a questa ispirata, è la tavola fatta incidere da Filippo Cluverio,34intorno

al 1619, a corredo della propria opera in cui emerge, con dimensioni notevolmente maggiori ri­ spetto agli altri edifici, oserei dire quasi “gulliverizzata” (si veda anche la carta militare di Ca­ milliani), la maestà del duomo.

Sono questi gli anni in cui i cosiddetti ‘ritratti di città’ sfuggono a una rappresentazione reale, per mostrarsi in auge e meno decadenti di quanto non lo fossero in realtà. Basta leggere i diari di viaggio dei viaggiatori in Sicilia del secolo successivo al XVII, per comprenderne la discrasia.

C’è una spiegazione al perché l’erudizione locale avrebbe preferito la laudatio urbis, mitizzando ed enfatizzando taluni aspetti delle città, prediligendo una trasposizione grafica che fosse veri­ simigliante e non reale, legata all’immagine che ciascuna collettività vuole mantenere di sé al­ l’esterno del proprio hinterland, prima territoriale poi ultraregionale.

Una tendenza che trova giustificazione anche ‘commerciale’ che tende ad esportare di sé il lato migliore (in questo caso la storicità legata al periodo più fulgido della storia antica). Ciò che su­ scita notevole curiosità e desta interesse scientifico multidisciplinare, perché si tratta anche di aspetti antropologici e comunicazionali, è il volere comunicare in maniera subliminale quale fosse il centro del potere cittadino, non un palazzo signorile né un castello bensì una chiesa; ma è anche la necessità di gettare un ponte culturale tra due epoche fra loro lontane, che però si erano stratificate senza che l’una annientasse l’altra.

Una simile inclinazione può, per le ragioni sopra esposte, trovare giustificazione e conforto per tutto il Cinquecento e buona parte del primo Seicento, perché ogni intellettuale e geografo vive con ansia il bisogno di rappresentare la propria identità territoriale, legata al passato storico, di­ retta conseguenza del Rinascimento; con l’avvento di nuove ripartizioni territoriali e nuove forme di governo, tenuto conto dei progressi della scienza, difficilmente, una simile concezione, trova appiglio per i secoli successivi, che, tuttavia, mantengono la stessa tendenza rappresentativa quando si tratti del duomo, come dimostra anche la nomenclatura usata in legenda non solo nelle cartografie della città bensì nelle stampe, che per tutto il Settecento e l’Ottocento, circoleranno in Europa.

La Cattedrale di Siracusa compare anche nelle carte di tipo militare, fino al pieno Settecento, per la posizione privilegiata che occupa, essendo situata sul punto più alto di Ortigia e strutturata, almeno fino al giorno del “gran orribilissimo castigo del Signore”35 (il terremoto del 1693),

come se essa stessa costituisse un baluardo di difesa con il suo alto campanile.

In particolare, oggetto dei disegni e delle relazioni a carattere tecnico di Tiburzio Spannocchi,36

incaricato dal Vicerè Marcantonio Colonna di ispezionare e descrivere le difese del Regno di Sicilia, il duomo risulta ben disegnato nel margine del testo calligrafico scritto di pugno dall’in­ gegnere spagnolo.

Il disegno, in verità piuttosto piccolo, riporta la facciata della cattedrale con il suo alto campa­ nile, probabilmente quello ricostruito dopo il terremoto del 1542, che aveva anche causato, come raccontano le fonti, il crollo del tetto e il corpo di quello che è oggi il palazzo dell’arcivescovado. In basso, la rappresentazione del Castello Maniace, roccaforte di Ortigia.

Il fatto che in uno scritto militare sia presente la cattedrale, edificio di culto, e il castello, po­ trebbe indicare due elementi:

1) l’importanza strategica rivestita dal duomo che con il suo alto campanile costituisce una torre

35 Citazione tratta dal libro di memorie del canonico Mauro Campisi, manoscritto di proprietà privata.

36 Ingegnere militare (Siena 1541­Madrid 1606). Dopo la battaglia di Lepanto del 1570, fu nominato

di vedetta a disposizione del rinnovato circuito murario, con l’aggiunta di torri, previsto dal progetto del vicereame. Il prospetto laterale della cattedrale, con le sue merlature, ha stimolato il confronto con i medesimi elementi stilistici di altre cattedrali in Sicilia, rapportate poi con le strutture difensive tipiche dei castelli. Secondo Bellafiore,37è possibile che, quando gli au­

tori definiscono la cattedrale con una possente facciata del tipo “a torre”, si potrebbero riferire ad una possente struttura muraria assai simile a quella di un complesso civile. Data la centralità della chiesa e la sua posizione sul punto più elevato di Ortigia, poteva essere identificata con ciò che simbolicamente rappresentava il maschio nei castelli feudali. Le cattedrali siciliane, con riferimento a quella di Cefalù, Catania, Monreale e Palermo, presentavano un complesso sistema di difesa, con torri di facciata sia occidentali che orientali e, lo stesso santuario era turriforme, con merli sulla parte superiore dei muri e un camminamento per i soldati. Sulla base di queste considerazioni, Bellafiore sostiene che «le cattedrali siciliane sono altrettanti castelli tuttora palesemente leggibili come tali. Si configurano come oblunghi parallelepipedi con torri emergenti dislocate agli angoli, volumetricamente bloccate, coronate da merli tut­ t’altro che decorativi»38. Così, come un qualunque fortilizio, la cattedrale sorge sul punto oro­

37 G. Bellafiore, Architettura in Sicilia nell’età islamica e normanna, Lombardi Editore, Palermo 1990.

Si veda anche dello stesso autore, Dall’Islam alla maniera – Profilo dell’architettura siciliana dal IX

al XVI secolo, Palermo 1975.

graficamente più alto dell’isola, e, le sue feritoie e merlature, fungono da posti di avvistamento per i nemici, mentre nel tetto della navata minore è posto il camminamento di ronda dei sol­ dati. Queste trasformazioni chiaramente databili al periodo svevo (1194­1266) potrebbero es­ sere confrontate con una serie di stemmi degli stessi anni, esposta nel cortile di Palazzo Bellomo. Uno studio sulle facciate a torre protobarocche delle chiese di Sicilia è stato ap­ prontato da Fagiolo,39che ha dedicato, proprio sulla base dell’esame di detti stemmi, un saggio

alla cattedrale di Siracusa: in essi, è scolpito il prospetto di un campanile con merlature, rosone e timpano sul portale d’ingresso. Il disegno potrebbe raffigurare la facciata principale del Duomo e le merlature, ad una quota così elevata, potrebbero essere la prosecuzione di quelle del prospetto laterale.

Così, la facciata rappresentata da Spannocchi, peraltro successiva al 1542, potrebbe fare riferi­ mento a questa funzione della cattedrale, il cui campanile costituisce una ulteriore torre di av­ vistamento e difesa entro il circuito murario dell’isola di Ortigia.

2) Scopi difensivi coniugati con la necessità di salvaguardare e difendere il principale spazio relazionale della città, che, all’epoca, era interamente concentrata in Ortigia e di cui la catte­ drale, con il piazzale antistante, ne è il centro nevralgico.

Ragioni, dunque, di sicurezza militare e civica potrebbero mescolarsi insieme, come dimostra

39 M. Fagiolo, Il modello originario delle facciate a torre del barocco ibleo: la facciata cinque-seicen-

l’esatta indicazione della posizione del “campanaro”della cattedrale. Del 1584, è una veduta della città di Siracusa realizzata da Camillo Camilliani40, in cui è chiaramente visibile il prospetto

del duomo, che sembra essere dimensionalmente molto maggiore rispetto agli altri edifici appena delineati e affastellati l’uno sull’altro. Ultima carta analizzata, eseguita sempre a scopi militari, è la veduta prospettica di Siracusa del 1682, con le ultime fortificazioni eseguite da C. De Gru­ nemberg, nella quale sono bene evidenziati:

1. l’intero sistema difensivo di Ortigia, costituito dal circuito murario; 2. il castello Maniace;

3. l’organizzazione urbanistica dell’isola;

4. la cattedrale con il palazzo dell’arcivescovado annesso e il piazzale antistante.

Anche nella carta di Siracusa, dove è sempre e solo rappresentata Ortigia, con il suo immediato hinterland, disegnata nel 1735, durante l’assedio della città,41le uniche due aree minuziosamente

40 C. Camilliani, architetto, giunse a Siracusa, nel Febbraio del 1574. Come Spannocchi, compì una ri­

cognizione delle coste siciliane per lo studio e la progettazione di eventuali strutture difensive. Di questo viaggio scrisse un’ampia relazione suddivisa in tre parti, Descrittione dell’isola di Sicilia, De-

scrittione delle torri marittime del Regno di Sicilia, Descrittione delle marine di tutto il Regno di Si- cilia.

ritratte in dettaglio sono lo spazio occupato dal duomo e la sua piazza, insieme al complesso del castello. L’intento è anche chiarito da Capodieci,42che sottolinea, nel proprio articolo sulla isto­

ria di Siracusa, a proemio di tutta l’opera, la decisione di costruire, a far data dal 1549, torri di avvistamento lungo tutto il litorale aretuseo, così che la città fu piazza d’armi per diverso tempo; ma, non bisogna dimenticare, che Siracusa insieme a Palermo fu, per anni, una delle due prin­ cipali divisioni ecclesiastiche in Sicilia, pertanto, la città, quasi naturalmente, mantiene una dop­ pia fisionomia che è destinata a essere fino a buona parte dell’Ottocento.

Attraverso le stratificazioni architettoniche e alla luce delle testimonianze scritte sulle trasfor­ mazioni della cattedrale, è possibile seguire l’evoluzione della città almeno fino alla sua ‘deca­ denza’ perché, come avverte Capodieci, rivolgendosi agli ‘illustri viaggiatori’ interlocutori privilegiati dell’opera: «Voi, o dotti Viaggiatori, ritrovandovi in questa mia Patria, visiterete

una Città, che un tempo fu madre di varie città d’Italia, e della Sicilia; sede di potentissimi Mo- narchi; celeberrima per le Accademie di Platone, e quindi de’ Pittagorici, in cui le arti più sca- brose, e le più profonde scienze fiorirono, e a vantaggio d’un mondo intero gloriosamente inventate. Voi vedrete il suolo, i confini, e alcuni venerandi Avanzi delle quattro superbissime Città di Ortigia, Acradina, Tica, e Napoli, dov’erano i Tempj di Diana, di Minerva, di Ciane, di

riuscita a resistere all’assedio degli spagnoli. 42 G.M. Capodieci, op. cit.

Venere, della Voracità, della Fortuna, di Giunone, di Cerere, di Libera, della Concordia, di Esculapio, d’Ercole, di Giove, di Proserpina, e di tante altre numerose Deità. […]

[…]Le statue, le torri, gli obelischi, i marmi, i bronzi, i ginnasj, le palestre, i portici, i pritanei, il foro, la curia, i bagni, le terme, i teatri, gli anfiteatri, le latomie, le catacombe, i colombarj, e tanto altre rispettabili Antichità non ne faranno giammai in tutte l’età future dimenticare il suo gloriosissimo nome. Osserverete la patria di Dafne, di Epicarmo, Ninfodoro, Cleone, Iceta, Acheo, Sofrone, Formo, Corace; come ancora di Tisia, Archestrato, Nicia, Antioco, Dinologo, Demo, Ioro, e per non tacere di Temistogene, Lisia, Filisto, Soficle, Carmo, Monimo, Filomene, Rintone, Teocrito, Eraclide, Mosco, del divino Archimede, che il Mondo non ha avuto mai uguale, e di tanti altri uomini illustri in armi, e in lettere, che molto lungo sarebbe il rapportarli, e di quei che fiorirono ancora dopo l’Era Volgare.

Questa fu quella gran Metropoli le di cui leggi servirono anche di norma ad altre città, e Ari- stotele, nello raccoglier le leggi delle Genti, vi considerò soprattutto quelle di Siracusa. Più non ammirerete della mia Patria la potenza, e la forza, sospirata in ajuto da tutta la Grecia, quando al re Gelone, presentatisi i legati, offrì agli Ateniesi, ai Lacedemoni, e agli Stati, intenti a guerreggiar contra Serse, venti mila persone, compitamente armate, due mila cavalli, due mila Frombolatori, e due mila cavalli leggieri con dugento galee, e inoltre di provveder tutta l’armata greca d’ogni sorta di vettovaglie, durante il tempo della guerra […]».43

La Siracusa che si presenta, al tempo dell’erudito, agli occhi del viaggiatore, era oramai lo spettro di un’antica megalopoli, di un importante centro religioso e politico nel Medioevo, insomma, la negazione dell’antico splendore.

La città antica che si era connotata con i luoghi del potere, il palazzo e il tempio nelle epoche più remote e poi nel municipio e nella chiesa per tutto il Medioevo e fino al Tardo Rinascimento, non rinunciò mai alla propria immagine colta, e, quando in età moderna l’urbanistica cominciò a privilegiare, non tanto il quartiere piuttosto la strada, il corso, allora la città diventa quasi museo diremmo oggi ‘a cielo aperto’, attraverso cui mostrarsi.

L’evoluzione di questo lungo processo si legge chiaramente nella cattedrale, che nei secoli suc­ cessivi al Settecento, diventerà centro propulsore di cultura ed esso stesso luogo delle Muse, come dimostrano alcune stampe del secondo Ottocento.