di due passi di Cicerone: octo genera poenarum in legibus esse scribit Tul-
lius, damnum, vincla, verbera, talionem, ignominiam, exilium, mortem,
servitutem
88. Invero, il catalogo elaborato dall’Arpinate per bocca di
poena quadrupli). Da ultimo, v., sulla differenziazione sanzionatoria, M. Humbert,
La Loi des XII Tables, cit., 539 s.
88Aug. civ. Dei 21.11: octo genera poenarum in legibus esse scribit Tullius, dam-
num, vincla, verbera, talionem, ignominiam, exilium, mortem, servitutem; cfr. Isid. etym. 5.27.4: Octo genera poenarum in legibus contineri Tullius scribit: id est damnum, vincula, verbera, talionem, ignominiam, exilium, servitutem et mortem. His namque poenis vindicatur omne perpetratum peccatum. V. S. Riccobono, ‘Leges’, cit., 62, per una collocazione del passo agostiniano tra i fragmenta incertae sedis; ma v., corretta- mente, M.H. Crawford, Roman Statutes, II, cit., 574: «Augustine does not claim that his list occurs in the Twelve Tables; it is in any case an expanded version of that in Cicero … which is not attributed to the Twelve Tables either»; v., inoltre, nello stesso senso, e con ampio approfondimento, O. Di Ottavio, ‘Octo genera poenarum’
(a margine di August., ‘civ. Dei’ 21.11 e Isid., ‘etym.’ 5.27.1 ss.), in AUPA, LVII, 2014,
321 ss., che conclude, con riguardo al passo di Isidoro, che il vescovo non solo «rin- viene l’elenco degli octo genera poenarum in legibus in Agostino», ma altresì «sembra rifarsi ad una tradizione storiografica che si consolida probabilmente nel Cronografo a. 354» là ove, con riguardo a lautumiae, tormenta, fustes, metalla, exsilia, «l’introdu- zione delle pene è attribuita … non genericamente legibus, ma esplicitamente a Tar- quinio». Per una espunzione totale dei passi in oggetto dal corpo delle XII Tavole, v. C.G. Bruns, ‘Fontes iuris Romani’, cit., 39 nt. 1. Il Padre della Chiesa (ripreso pe- dissequamente, pur in altro contesto, dal Vescovo di Siviglia), citando Tullius (o forse, date le differenze tra i cataloghi, a mente di un più tardo commento a Cice- rone: v. U. Brasiello, La repressione penale in diritto romano, Napoli, 1937, 71 e nt. 35), affronta il tema della durata della pena e, a titolo esemplificativo, riporta quelle previste nelle leggi (e non nelle sole XII Tavole), per metterne in luce il loro – pur
Crasso risulta sia più conciso nell’indicazione delle singole pene (ossia
‘damna, ignominiae, vincla, verbera, exsilia, mors’), tralasciando egli la
menzione del taglione e della schiavitù (sanzioni che è certo fossero ir-
rogate in Roma repubblicana già in forza delle XII Tavole)
89, sia più
variegato – perdurare, il loro essere iterativo in contrapposizione alla puntualità tem- porale della commessione del crimine, con la sola espressa esclusione della pena del taglione. Se, dunque, anche damnum è una sanzione durativa, allora ciò pare esclu- dere che essa in Cicerone e in Agostino possa corrispondere al pagamento di una sanzione pecuniaria (come, invece, vuole G. Valditara, Sulle origini, cit., 51, 55). La fonte, diretta o indiretta, di Agostino è – come si scriveva poco sopra – l’Arpinate, e più precisamente un passaggio del discorso del primo libro del de oratore in cui Crasso sottolinea, in generale, l’importanza dello studio del ius civile per l’arte orato- ria e per la philosophia moralis, atteso che, in particolare, dalle leges emerge come la
dignitas sia valore da tenere in altissima considerazione. Crasso, quindi, consiglia a
quelli interessati alla praepotens et gloriosa philosophia di dedicarsi al ius civile e alle le-
ges, fonte di ogni disputatio; è da queste branche del sistema – si precisa – che deri-
vano onori, premi e gloria per le azioni virtuose, da una parte, e pene per quelle frau- dolente, dall’altra (Cic. de or. 1.43.194: sive quem ista praepotens et gloriosa philo-
sophia delectat, – dicam audacius – hosce habet fontis omnium disputationum suarum, qui iure civili et legibus continentur: ex his enim et dignitatem maxime expetendam vi- demus, cum vera virtus atque honestus labor honoribus, praemiis, splendore decoratur, vi- tia autem hominum atque fraudes damnis, ignominiis, vinclis, verberibus, exsiliis, morte multantur; et docemur non infinitis concertationumque plenis disputationibus, sed auc- toritate nutuque legum domitas habere libidines, coercere omnis cupiditates, nostra tueri, ab alienis mentis, oculos, manus abstinere; v., in modo analogo, Cic. off. 3.5.23: hoc enim spectant leges, hoc volunt: incolumen esse civium coniunctionem, quam qui diri- munt morte, exsilio, vinclis, damno coercent). Per il contesto del passo ciceroniano, v.
G. Falcone, ‘Ius suum cuique tribuere’, in AUPA, LII, 2007-2008, 159 s.
89La talio è prevista in Tab. 8.2 (per il membrum ruptum), mentre la schiavitù è
suggerita in termini di addictio da Tab. 8.14 come sanzione per il liber che abbia commesso furto manifesto, tant’è che Gell. 11.18.18 ricorda come i ladri di beni pri- vati in nervo atque in compedibus aetatem agunt (T. Mommsen, Römisches Strafrecht, cit., 751; H. Hitzig, Beiträge zur Lehre vom ‘Furtum’, cit., 323; E. Levy, Die römi-
sche Kapitalstrafe, Heidelberg 1931, 43 s.; A. Magdelain, Esquisse de la justice civile
au cours du premier âge républicain, in RIDA, XXXVII, 1990, 213, 225). Non è la ca-
duta in schiavitù, invece, connessa fisiologicamente all’addictio relativa alla manus
iniectio iudicati ancorché questa sia una procedura non teleologicamente satisfattiva
rispetto all’interesse attoreo fatto valere: l’eventuale vendita in terra etrusca (e, in tempi preistorici, forse l’uccisione) ne mette in luce la natura preminentemente af- flittiva e la finalità di ‘coazione indiretta’, ma non ne denuncia la natura ‘capitale’, pur sempre risolvendosi anche tale manus iniectio in una «sanzione penale definitiva» (v., in questi termini, M. Talamanca, Forme negoziali e illecito, in Poteri, ‘Negotia’,
‘Actiones’ nella esperienza romana arcaica. Atti del convegno internazionale di diritto ro- mano [Copanello, 12-15 maggio 1982], Napoli, 1984, 125 ss., 135 ss.; v., altresì, più