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La recezione di Zitelmann in Italia e il problema di una dottrina per il riconoscimento del diritto Le norme strumentali secondo Bett

Le regole in materia di interpretazione furono lette dalla dottrina italiana anche sulla scorta delle teorie di Zitelmann e di Donati. Se la concezione jheringhiana dei destinatari del- le norme – che assicurava un ruolo alle norme strumentali, al Recht über Recht, stabilendo che si trattava di ordini di applicazione rivolti al giudice, ancora sulla scorta di una lettura im- perativista del diritto – era ormai stata abbandonata e considerata “un falso problema”133,

una dottrina del riconoscimento del diritto poteva fornire nuova spiegazione al fenomeno. Mi pare si possa dire che questa dottrina, in Italia, è stata quella della costruzione gradualista dell’ordinamento. Una volta respinte, o ignorate, le prospettive offerte da una impostazione problematica come quella di Zitelmann, una versione della Stufenbautheorie avrebbe dato

133 Così S. ROMANO, Norme giuridiche [destinatari delle], in ID., Frammenti di un dizionario giuridico,

nuovo lustro alle preleggi, sia per scongiurare ogni tentazione di accreditare una diversa ver- sione delle norme di riconoscimento, più orientata verso l’equità134 o comunque verso un in-

dirizzo antiformalista, sia per sostenere che, accanto alla prevalenza gerarchica delle dispo- sizioni costituzionali, derivante dal nuovo ordine repubblicano, una più antica gerarchia, di tipo strumentale, continuava a fare perno sul codice civile e sul suo titolo preliminare. E’ an- cora Alessandro Giuliani a notare che non casualmente il mainstream della dottrina civilisti- ca, con Francesco Santoro-Passarelli, aveva rifiutato la versione bettiana delle norme sulle norme – o norme di secondo grado, come preferiva la terminologia di Betti – perché fondata su una teoria del riconoscimento del diritto che “avrebbe finito per attenuare il valore delle preleggi come norme strumentali”135.

Betti, com’è noto, aveva sottolineato che il ruolo delle regole legali destinate a disci- plinare l’interpretazione deve giocarsi su terreno della esigenza “di eliminare o ridurre al mi- nimo, o almeno di circoscrivere in più angusto margine, l’incertezza” che deriva dal libero esame dei precetti giuridici, e scongiurare i possibili “risultati divergenti secondo le visuali soggettive e l’interesse degli interpreti” 136. Da ciò la convinzione che queste regole legali siano tutt’altro che regole tecniche, prive di valore vincolante137. Ciò detto, e come a bilancia-

re questo valore di certezza, rivendicato come obiettivo primario per ogni ordinamento, che deve essere perseguito per quanto possibile, Betti chiarisce – è opportuno riportare distesa- mente le sue parole – come “non sia da credere che questa materia possa essere regolata in modo esauriente da esplicite norme e sia da respingere quale frutto di mentalità astrattistica ispirata al pregiudizio normativistico del positivismo giuridico il postulato di una ‘norma’ sulla produzione del diritto nonché le norme dirette a regolare il vigore, la sfera di applicazione, i limiti nello spazio e nel tempo, l’interpretazione della legge e, in generale, delle norme giuri- diche sostanziali”138. E ancora: “i compiti e i criteri dell’interpretazione per un diritto in vigore

danno luogo ad una problematica così complessa che sarebbe un’illusione credere ch’essi possono essere abbracciati e contemplati in modo esauriente da una disciplina legale dell’attività interpretativa: disciplina, la quale ha bisogno, essa stessa, di essere interpretata

134 Si v., per es., quanto sostiene F. GENY, Méthode d’interprétation, cit., II, pp. 109 ss., spec. 111, che

appunto valorizza il ruolo dell’equità nell’interpretazione del diritto positivo e in particolare per la soluzione di pro- blemi legati al “conflit des lois anciennes et des lois nouvelles” e sulla “portée de la regle de la non-rétroactivité”.

135 A. GIULIANI, Le disposizioni sulla legge in generale, cit., p. 398. 136 E. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, cit., p. 235.

137 Vorrei sottolineare la peculiarità della posizione bettiana: da un lato egli riconosceva, come detto nel

testo, pieno valore giuridico, normativo e vincolante, alle regole sull’interpretazione, che non devono intendersi come semplici massime tratte dalla elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in tema di ermeneutica giuridica. A queste conclusioni B. giunse anche sulla base di una ricostruzione della origine delle norme sull’interpretazione che, come si è visto, avevano avuto una genealogia bensì più risalente (della) ma altresì intrecciata con la storia delle codificazioni europee. Dall’altro, Betti evitava però di irrigidire questo riconoscimento, perché se è vero che la certezza del diritto è valore che l’ordine giuridico intende tutelare riconoscendo alla sola legislazione il ruolo nomopoietico, tuttavia il principio di separazione fra i poteri non può essere inteso in termini troppo rigidi. Il legi- slatore non dovrebbe cioè concepire tale principio sino a farlo coincidere con la rivendicazione di una pretesa di governare e coprire interamente, stabilendone la disciplina, l’area dell’attività interpretativa. Sui nessi fra discipli- na dell’applicazione della legge e ordinamento della magistratura v. A. GIULIANI N. PICARDI, La responsabilità del giudice, cit., p. 106, nonché A. GIULIANI, Le disposizioni sulla legge in generale, cit., pp. 416 ss.

con canoni ermeneutici che vanno oltre quelli da essa fissati”139. Implicita ma evidente, in queste pagine bettiane, una profonda considerazione, cioè che i problemi posti dalle regole sull’interpretazione non possono essere affrontati e risolti (solo) a fil di logica, perché la loro complessità sottintende non solo un’estensione propriamente ermeneutica, già molto vasta, ma anche questioni istituzionali e sociali che riguardano i rapporti fra legislazione, giurisdi- zione, scienza giuridica, opinione pubblica: temi di fondo dell’ordine giuridico e del suo asset- to culturale e sociale, temi intorno ai quali non si può pretendere di trovare soluzioni nette, precise, racchiudibili in formule, se non appunto a partire da una, scrive Betti, mentalità astrattistica.

Secondo Betti, inoltre, un’ulteriore conseguenza può essere tratta dalla disciplina le- gale dell’interpretazione, conseguenza che investe pienamente il tema istituzionale sopra evocato, dei rapporti fra legislazione e giurisdizione. Se spetta solo alla prima la “competen- za a porre le norme costitutive dell’ordine giuridico”, alla seconda è affidato il compito di in- terpretare ed applicare i precetti normativi; pertanto, è in questo secondo ambito che “l’elemento logico assume un’importanza preponderante”, poiché il giudice deve comprende- re appieno la portata normativa dei precetti, penetrando la loro ratio iuris, elaborando concet- tualmente gli istituti e la loro ordinazione sistematica. Nella sfera di competenza del giudice è assorbente la dimensione dell’intelligenza del contenuto precettivo delle norme e ne conse- gue che l’elemento logico – e, per conseguenza, la giustificazione della decisione – è decisi- vo. Nella sfera della competenza del legislatore, che ha il primario compito di disciplinare la condotta, si può (ed anzi talora si deve) ricorrere, beninteso, a “operazioni logiche” necessa- rie per comprendere e qualificare fenomeni sociali e poi configurare adeguatamente la disci- plina che si intende varare. Ma “il compito della legge…non è quello di determinare un mero sapere, ma quello di determinare una condotta”140. Da ciò deriva che mentre per il giudice,

come è stato scritto141, il vincolo della motivazione e della sua coerenza è “assorbentemente prescrittivo”, l’esigenza della stima ragionevole da parte del legislatore, il rispetto di un crite- rio di rationabilitas delle scelte normative, non scompare ma deve lasciare intatto il margine per la valutazione propria della discrezionalità politica. D’altra parte, questa discrezionalità politica segna anche un limite per il legislatore, che non potrebbe legittimamente pretendere una estensione irragionevole della sua competenza verso l’area conoscitiva, definitoria, della

139 E. BETTI, op.ult.cit., p. 249. 140 E. BETTI, op.ult.cit., p. 247.

141 A. CERRI, Relazione conclusiva, in ID. (a cura di), La ragionevolezza nella ricerca scientifica e il suo

ruolo specifico nel sapere giuridico, cit., p. 283. V. anche supra, n. 63. Si v. inoltre, a proposito della connessione – che è logica ed etica assieme – fra una politica legislativa che operi in sintonia con le esigenze suggerite dall’esperienza giuridica e non con quelle della ragion di stato, e una giurisdizione che sfugga alle tentazioni di un potere esercitato al di fuori dei necessari controlli offerti da un contesto di comunicazione fra interpreti ed alle sue “operazioni sociali”, A. GIULIANI, Il modello di legislatore ragionevole, cit., pp. 13 ss. (p. 42, per la citazione ripor- tata fra virgolette). In fondo, la “restaurazione della ‘prudenza nomotetica’ presuppone la consapevolezza della identità tra ragionamento dialettico e ragionamento politico-legislativo” (p. 45). Ma da questa restaurazione siamo evidentemente lontanissimi: la crisi delle istituzioni politiche è crisi della legislazione come la crisi delle istituzioni giudiziarie è crisi della giurisdizione, e ad esse corrisponde una più generale e profonda crisi di fiducia nelle rela- zioni sociali. Secondo A. GIULIANI, Le disposizioni sulla legge in generale, cit., p. 496, “la crisi di una teoria delle fonti non è soltanto crisi di una teoria dei principi del diritto, ma altresì crisi delle istituzioni”.

conoscenza, che nell’esperienza giuridica è prerogativa della giurisprudenza teorica e prati- ca.

Infine, l’elaborazione bettiana sulle norme di secondo grado ricomprende in esse tan- to le norme sull’interpretazione della legge che quelle sull’interpretazione dei contratti (artt. 1362 ss. c.c.), perché anche di queste ultime il giudice dovrà tener conto, decidendo una controversia, per poter determinare la massima di decisione. Ma, come già riferito, la dottrina civilistica prevalente non poteva accogliere l’impostazione di Betti: scontata la natura norma- tiva delle preleggi ed accolta la qualificazione che si tratta di norme sulle norme, che cioè142

“regolano, in vario senso e sotto vari riguardi, l’operatività di altre norme”, esse sono, senza esitazione, destinate alla “individuazione della disciplina giuridica applicabile”, senza ulteriori precisazioni o limiti. Le disposizioni delle preleggi, inoltre, non possono essere accomunate a quelle del codice sull’interpretazione dei contratti, perché solo le prime permettono l’individuazione della regola giuridica da applicare mentre le seconde “servono ad individuare nei suoi esatti contorni…il fatto, cui l’ordinamento riconduce effetti, in ragione della valutazio- ne operatane”. La separazione delle norme che regolano l’interpretazione delle leggi da quel- le destinate alla disciplina dell’interpretazione dei contratti è preliminare alla valorizzazione delle prime, le quali, almeno dal punto di vista della loro strumentalità, della loro funzione di individuazione del diritto applicabile, si pongono “in una posizione di priorità rispetto a tutte le norme: anche a quelle costituzionali, che pure occupano, nel sistema delle fonti, una posi- zione sovraordinata” 143.