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In altre parole, `e l’aspetto, la ’forma’ a caratterizzare questo tipo di regio- ne, che i geografi hanno per l’appunto battezzato regione formale. E’ cos`ı che “ora come territorio caratterizzato da una certa uniformit`a naturale, etnica o economica, ora come distretto ereditato dalla storia e che non rispecchia nes-

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suna realt`a attuale, la regione `e concepita come una specie di ’dato’ di cui ci si sforza, all’inizio degli studi, di giustificare i limiti ”Juillard (1978). Questa prosepttiva ha una lunga tradizione e trova una sua origine con il concetto di regione naturale, quando, nel 1752, Philippe Buache pubblic`o un saggio nel quale suddivise il territorio francese in bacini fluviali, sostenendo che essi era- no “regioni naturali”, in quanto il fiume e la sua valle costituiscono una sede che determina ’in modo naturale’ le forme di insediamento, di agricoltura e di allevamento. Un’idea semplice, quindi affascinante e destinata al successo. Nel corso del secolo successivo il concetto si avvalse di notevoli progressi, poich´e il substrato fisico della regione naturale venne identificato nelle strut- ture geologiche, di cui il bacino idrografico `e un’espressione. Questo concetto di ’regione’ intesa esclusivamente come regione naturale incontra grande fa- vore anche all’interno del paradigma positivista, prestandosi perfettamente all’approccio nomotetico adottato da Friedrich Ratzel1

e dai suoi coevi. Nella geografia umana di Ratzel, infatti, i rapporti tra consorzi umani e l’ambiente sono visti in chiave ecologica, ma il protagonista primo resta sempre l’am- biente fisico: l’insediamento e i fatti umani vivono di luce riflessa, subiscono effetti ed, entro certi limiti, reagiscono. Il rigore scientifico e la tendenza a sistemare risultati acquisiti dall’esperienza e dalla speculazione, tipici aspetti della cultura positivista, inducono presto a stabilire oggettivamente queste grandi unit`a, a definire criteri per la loro determinazione e delimitazione. Si riteneva pertanto che l’estensione di una certa struttura fisica, come un ba- cino fluviale, fosse anche quella della regione, perch´e “la struttura fisica era la causa e l’organizzazione del territorio l’effetto”(Vallega, 1995). Agli inizi del Novecento, con il sempre maggiore sviluppo delle industrie e delle vie di comunicazione, la passiva dipendenza dell’uomo dalla natura, sostenuta dai deterministi, viene, in un certo senso, messa in crisi. E’ cos`ı che, secondo la concezione possibilista, l’uomo non solo inizia progressivamente a svincolarsi

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Friedrich Ratzel (1844-1904) introdusse la distinzione fra geografia fisica e geografia umana non contrapponendole una all’altra, ma considerando la prima come scienza fonda- mentale per comprendere il comportamento dell’uomo nello spazio terrestre. L’opera pi`u nota del Ratzel `e intitolata Anthropogeographie, cio`e geografia antropica, e per la prima volta l’oggetto dello studio geografico non `e la terra con tutte le sue caratteristiche fisiche e con tutte le forme di vita che ospita, ma `e l’Uomo osservato nel suo rapporto continuo e necessario con la superficie terrestre.

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dall’ambiente, ma a mano a mano che la riflessione si approfondisce, all’a- zione umana viene attribuito un ruolo protagonista. L’uomo diventa causa, piuttosto che effetto, plasma con una certa autonomia l’ambiente piuttosto che subirne necessariamente l’influenza. E’ cos`ı che al concetto di regione naturale Vidal de la Blache2

contrappone quello di regione umanizzata, cio`e uno spazio in cui una comunit`a umana, dotata di una propria cultura, orga- nizzava un territorio, costituito da un solo ambiente fisico, o da pi`u ambienti fisici contigui. La circostanza secondo cui era considerato ’regionale’ anche un territorio composto da pi`u ambienti fisici dava luogo alla confutazione del concetto di regione naturale, secondo il quale una regione `e necessariamente costituita da un solo ambiente fisico. Di qui il rifiuto del principio di causalit`a unidirezionale, in base al quale l’ambiente era la causa della regione. Infatti, se una regione si stende su pi`u ambienti fisici si deve dedurre che a determi- narla siano anche altre cause: quelle umane, appunto. Un esempio ricorrente di regioni basate su substrati fisici `e offerto dalla regione costiera con coste alte e rocciose: la compongono due ambienti naturali, la striscia che costitui- sce l’interfaccia tra mare e costa e i versanti dei rilievi retrostanti (Vallega, 1997). La regione vidaliana si rifaceva quindi ai ’generi di vita’ umani, criterio tuttavia presto rimpiazzato dal concetto di paesaggio. Quest’ultimo, gi`a in parte implicitamente presente nella regione naturale, viene appunto ripreso e riformulato dai possibilisti che ne ampliano la portata, riferendola anche alle forme di insediamento, alla copertura umana, ai modi di utilizzazione del territorio: dall’idea di paesaggio naturale si passa a quella di paesaggio umanizzato. Questo tipo di approccio in realt`a `e alquanto problematico, se non altro per la difficolt`a a individuare nella realt`a territori assolutamente omogenei. Infatti due insiemi naturali molto simili e anche molto vicini pos-

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Paul Vidal de la Blache, introducendo nell’analisi geografica una visione storica, consi- der`o la lunga azione dell’uomo per modificare, o adattare alle sue esigenze, secondo le sue possibilit`a, l’ambiente in cui viveva. L’uomo, per Vidal de la Blache, non `e costretto dalla natura a fare precise scelte operative: la natura pone all’uomo problemi e difficolt`a, ma l’uomo pu`o affrontare queste difficolt`a e risolvere questi problemi in molti modi, a seconda della sua cultura, della sua capacit`a organizzativa, della tecnologia che possiede. Egli ha dunque la possibilit`a di intervenire sulla natura e di modellare gli ambienti naturali dando ad essi l’impronta della sua capacit`a operativa, e il complesso delle interazioni fra uomo e natura crea unit`a territoriali, o regioni, ben definite e ´ındividuabili.

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