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Renato Solmi e i Minima moralia 2.1 Scoperta, pubblicazione e prime reazioni.

Nel capitolo precedente abbiamo anticipato molto sinteticamente come Renato Solmi fu colui che per primo scoprì e introdusse in Italia i Minima moralia di Adorno. Nel marzo del 1952, infatti, appena venticinquenne, egli propose all'esame del Consiglio editoriale della casa editrice Einaudi il libro del filosofo tedesco. Nel sottolinearne tanto il valore dell'analisi critica quanto quello letterario, sostenne con forza l'opportunità della pubblicazione – scontrandosi contro le riserve di altri redattori e consulenti einaudiani che allora avevano una voce sicura­ mente più autorevole della sua all'interno del Consiglio stesso. In questo capitolo vogliamo ri­ tornare sull'argomento per ampliarlo e trattare con maggiori dettagli il rapporto tra Solmi e il li­ bro di Adorno, rapporto che dalla già ricordata scoperta alla prima pubblicazione della traduzio­ ne completa nel 1979 è durato per quasi un trentennio.

È noto che Solmi venne a conoscenza dell'autore del libro di meditazioni sulla società oc­ cidentale contemporanea leggendo Die Entstehung des Doktor Faustus, il “romanzo di un un romanzo” in cui Thomas Mann descrive la genesi del suo libro che ha come protagonista il compositore Adrian Leverkühn. Theodor W. Adorno, infatti, vicino di casa di Mann a Los An­ geles durante l'esilio, fu il “consigliere segreto” del romanziere soprattutto per quanto riguarda gli aspetti che legavano la musica (in particolar modo la tecnica dodecafonica), la sociologia e la filosofia. È lo stesso Mann, quindi, a testimoniarlo quando scrive ad esempio: «Dieser merkwürdige Kopf hat die berufliche Entscheidung zwischen Philosophie und Musik sein Leben lang abgelehnt. Zu gewiß war es ihm, daß er in beiden divergenten Bereichen eigentlich das Gleiche verfolge. Seine dialektische Gedankenrichtung und gesellschaftlich­ geschichtsphilosophische Tendenz verschränkt sich auf eine heute wohl nicht ganz einmalige, in der Problematik der Zeit begründete Weise mit der musikalischen Passion»291. Da queste pa­

role appare chiaramente la stima che lo scrittore tedesco provava nei confronti di Adorno, sotto­

291 T. MANN, Die Entstehung des Doktor Faustus. Roman eines Romans. S. Fischer Verlag, Frankfurt a. M. 2012,

lineando – tra l'altro – la capacità di quest'ultimo di far convergere verso un obiettivo unico di­ scipline apparentemente distanti. E furono probabilmente le parole dello stesso Thomas Mann a far nascere immediatamente nel giovane lettore italiano la curiosità per un tale personaggio. Ed infatti la lettura da parte di Solmi dei Minima moralia risale all'inizio del 1952, pochi mesi dopo la pubblicazione tedesca del libro292.

Per tornare alle vicende che portarono alla sua uscita in Italia, ricordando il suo maestro Adorno in un seminario di studi del 2003 dedicato al centenario della nascita di quest'ultimo, Solmi ritorna sulle resistenze che incontrò all'interno della casa editrice quando avanzò la pro­ posta di pubblicare la raccolta di aforismi. Del resto, in considerazione delle «difficoltà che pre­ sentava sia alla traduzione che alla comprensione da parte del lettore comune»293, egli stesso

dubitava della possibilità di diffondere con successo il libro in Italia. A questo proposito è bene ricordare che in quei primi anni Cinquanta, con ogni probabilità, le resistenze di fronte ad un li­ bro per molti aspetti straordinario (sia per quanto riguarda lo stile che per quanto riguarda le tesi filosofiche di fondo) fossero riconducibili alla necessità, da parte della casa editrice, di esercitare un certo “autocontrollo ideologico”. In modo particolare certi suoi esponenti – come vedremo – volevano evitare di “commettere passi falsi” durante quella difficile fase di ridefini­ zione della politica culturale dell'Einaudi. Abbiamo già accennato che fu principalmente lo sto­ rico Delio Cantimori ad opporsi con maggior risolutezza alla traduzione degli aforismi adornia­ ni, giudicando l'opera del francofortese «scadente: è una lontana risonanza di quella letteratura del periodo “weimariano”, con la novità dell'impostazione dell'esilio; ma se l'esilio non gli ha insegnato altro… (con tutto il rispetto, mi raccomando bene!) Perciò permettetemi di sorridere della ingenuità di chi ci trova qualcosa di così importante da doverlo tradurre (e a chi lo date? con la pessima fama che si stan facendo i nostri traduttori…: e un buon traduttore, mi pare spre­ cato) in italiano»294. Il giudizio/stroncatura di Cantimori, che vale come una vera e propria re­

censione, tocca sia gli aspetti contenutistici (come la superficialità delle considerazioni sociolo­ giche sugli Stati Uniti o quelle morali e psicologiche sulle donne), sia quelli stilistici (per Canti­ mori la scrittura è elegante e raffinata, ma risulta presto irritante e causa di un disordine com­ plessivo), sia – infine – quelli più strettamente legati al metodo (il libro risulta essere, per il nor­ malista, lo sfoggio ozioso di un'interpretazione che dall'osservazione di un fatto particolare e

292 Il libro Minima moralia. Reflexionen aus dem beschädigten Leben venne pubblicato nel 1951 dalla casa editrice Suhrkamp Verlag. Ora è presente anche nel quarto volume delle “Gesammelte Schriften” uscite per la stessa casa editrice nel 2003.

293 R. SOLMI, Il mio grande maestro. In: M. FERRARI, A. VENTURELLI (a cura di), Theodor Wiesengrund Adorno.

La ricezione di un maestro conteso. Atti del seminario internazionale di Villa Vigoni 2­3 aprile 2003. Leo S.

Olschki, Firenze 2005, p. 255. Anche in Idem, Autobiografia documentaria. Cit. 294 D. CANTIMORI, Politica e storia contemporanea. Cit., pp. 808­810.

secondario vuole dedurre un fenomeno generale). Insomma, secondo Cantimori, classico rap­ presentate dell'intellettuale marxista accademico degli anni Cinquanta, anche Adorno non pro­ vocherebbe niente di più di quel “solletico intellettuale” di cui aveva già scritto – ad esempio – riferendosi a Meaning in History di Löwith295.

Com'è risaputo, nonostante la tenace opposizione di Cantimori e grazie al parere favore­ vole di Balbo e Bobbio, il Consiglio editoriale Einaudi decise il 3 dicembre 1952 di avviare la pubblicazione dei Minima moralia. Se in un primo momento si era pensato di affidare la tradu­ zione al germanista Cesare Cases, alla fine è lo stesso Renato Solmi ad incaricarsi di questo dif­ ficile compito. Prima di passare ad analizzare la sua traduzione e la sua altrettanto imponente introduzione, però, è bene soffermarsi su un testo di Solmi contemporaneo che ci permette di scorgere i primi riferimenti teorici utili a delineare la sua interpretazione complessiva del libro: egli, infatti, fu autore anche un'importante (per quanto poco ricordata) recensione ai Minima moralia, realizzata già verso la fine del 1952 e che uscì su “Lo Spettatore Italiano” (la rivista allora diretta da Raimondo Craveri e Elena Croce) nel febbraio 1953. Nel leggere questa recen­ sione, bisogna tener presenti le innegabili difficoltà per l'autore di inquadrare un pensatore pres­ soché sconosciuto, la cui collocazione in un sistema o in una tendenza culturale risulta compli­ cata ancora oggi nonostante la conoscenza di tutti i suoi scritti (oltreché la pubblicazione di nu­ merosissimi saggi critici sulla sua opera), ma la cui portata ebbe fin dall'ormai prossima pubbli­ cazione in Italia l'effetto di un sasso lanciato nelle acque stagnanti della cultura italiana del pri­ mo decennio del dopoguerra (immobilismo culturale che, almeno in parte, abbiamo cercato di analizzare nel capitolo precedente). In questo scritto – la prima vera traccia della fortuna di Adorno nel nostro paese – Solmi affronta e porta in superficie i principali temi presenti nei Mi­ nima moralia e che poi verranno trattati e approfonditi in numerosi interventi successivi. Innan­ zitutto, egli mette in evidenza la difficoltà per il lettore nel seguire il linguaggio utilizzato dal­ l'autore, un linguaggio «oscuro e difficile, che risente fortemente della tradizione hegeliana (e, fino ad un certo punto, marxista) e dell'influsso del pensiero dialettico»296. Proprio il legame

con il metodo dialettico hegeliano e, in seconda battuta, marxista è il secondo punto che Solmi mette in evidenza dell'opera di Adorno. In modo particolare egli vuole chiarire come, nonostan­ te le difficoltà linguistico­stilistiche di cui parlava precedentemente, riesca ad emergere comun­

295 G. MICCOLI, Delio Cantimori. La ricerca di una nuova critica storiografica. Einaudi, Torino 1970, p. 256: «Il

solletico intellettuale prodotto dalla negazione ironica, intelligente e colta (intelligentissima e coltissima, se volete, questa del Löwith) rimane però solletico: non può essere fecondo in nessuna maniera, è sterile di per se stesso. Potrà piacere ed essere utile anche… per scopi particolari di ricerca: ma per scopi molto particolari. Non merita affatto la ulteriore diffusione di una traduzione […]».

296 R. SOLMI, Recensione di “Minima moralia” di Theodor W. Adorno. In: Idem, Autobiografia documentaria.

que la stretta relazione e il confluire verso un'unica prospettiva di economia, morale e cultura. Difatti, uno degli aspetti fondamentali dell'interpretazione anche successiva che Solmi propone del pensiero di Adorno sta proprio nel sottolineare l'abilità del francofortese nell'individuare i fenomeni e i meccanismi che nell'economia capitalista monopolistica influenzano e determina­ no i comportamenti e – in ultima istanza – la stessa esistenza dell'individuo: il ruolo dell'indu­ stria culturale, la divisione del lavoro, l'adattamento della condotta individuale alle esigenze della produzione, l'isolamento dell'individuo rispetto alle componenti sociali da un lato e l'affer­ marsi del conformismo dall'altro. Una volta chiarite le basi teoriche e gli obbiettivi dell'analisi adorniana, però, Solmi fa un'affermazione piuttosto sorprendente. Egli, infatti, sostiene che «tutti questi temi, ricorrenti di continuo nel libro di Adorno, sono in fondo gli stessi che sono al centro del pensiero di un Lukács: e il linguaggio stesso, a parte la maggiore o minore chiarezza, che è poi il segno di una maggiore o minore organicità d'insieme, presenta nei due affinità si­ gnificative»297. Certo, è vero che Solmi continua scrivendo che la base storicistica del suo pen­

siero rispetto ai problemi filosofici e morali e l'assegnazione del primato del generale sul parti­ colare preserva Adorno, se non da un pessimismo paralizzante (punto centrale della critica alle idee adorniane), sicuramente dall'essere accomunato ai pensatori esistenzialisti che trovano una via d'uscita per il singolo in una soluzione metafisica e trascendente rispetto alla storia. Tutta­ via, la distanza di Adorno e di Lukács dall'esistenzialismo (heideggeriano) non basta – a nostro avviso – a dimostrarne una reciproca affinità. Infatti, l'idea di una possibile (anche se non me­ glio chiarita) unità di fini (per non dire di linguaggio) non solo non viene sviluppata e appro­ fondita oltre, ma neppure compare negli scritti successivi dello stesso Solmi. Anzi, ben presto sarà lo stesso Solmi a chiarire l'inconciliabilità tra Adorno e Lukács e – come vedremo in segui­ to – a prendere coscienza della distanza esistente dal punto di vista teoretico tra il pensiero dei due filosofi (oltre che l'evoluzione personale ed intellettuale di Solmi, tale presa di coscienza condizionò anche l'attività intellettuale di Cesare Cases, sebbene in modo contrario rispetto al­ l'amico).

Un altro aspetto importante nei Minima moralia che per la prima volta Solmi mette in evidenza in questo scritto è la critica di Adorno al concetto di “immediatezza” (concetto attri­ buito a Nietzsche e soprattutto ad una sua interpretazione reazionaria e misticheggiante), con­ trapposto a quello hegeliano della “universale mediazione”. Quest'ultimo rimanda ancora una volta ad una profonda coscienza della storicità delle forme di vita e alla correlazione dialettica tra “strutture” e “superstrutture”298. Tuttavia, secondo Solmi, talvolta Adorno resta impigliato

297 Ibidem, p. 163. 298 Ibidem, p. 164.

nella dialettica che egli stesso si costruisce, lasciando intravedere un residuo di individualismo e di romanticismo: il concetto di “mediazione” diviene così un concetto puramente negativo e che non lascia nessun livello di autonomia all'individuo. In questo senso – secondo Solmi – mancherebbe ad Adorno ogni riferimento alla coscienza di classe (o comunque ad un gruppo socialmente e politicamente organizzato) che medi tra individuo e società e – in ultima istanza – avvii un reale processo di liberazione della società e quindi dell'individuo. Sì, ci troviamo an­ cora di fronte ad uno storicismo, ma ad uno «storicismo “negativo” o addirittura “sconsolato”»299. A ciò collegato è un tema centrale di tutto il pensiero di Adorno (che torna an­

che in altre opere posteriori ai Minima moralia), oltreché di molti suoi critici, e riguarda la dia­ lettica della Aufklärung, ovvero il riconoscimento di un crescendo costante dell'orrore e della crudeltà (e in questo senso non può che palesarsi l'esperienza diretta dell'intellettuale ebreo te­ desco in esilio per sfuggire alle violenze naziste), crescendo insito nel processo storico stesso. Da questo punto di vista Solmi sostiene che, sebbene egli ne faccia proprie alcune asserzioni, Adorno non vada confuso con i critici conservatori e romantici. Per il francofortese le radici dell'alienazione dell'individuo vanno certamente ricondotte alle origini della società di massa, ma tuttavia ciò non significa che non ci sia la possibilità di rivolgere dialetticamente il proces­ so. L'elemento dialettico hegeliano consente di conservare la speranza di trovare – in un tempo futuro e indeterminato ma immanente e storicamente fondato – una via di fuga ed ha quindi il sopravvento sull'aspetto irrazionalista e decadente. In questo modo, sebbene nella sua analisi siano presenti anche elementi provenienti da pensatori riconducibili alla critica reazionaria della cultura, Adorno è riuscito a ricondurli con originalità entro gli schemi della dialettica hegeliana e dello storicismo.

Solmi prende in considerazione e vuole far emergere anche le idee di Adorno relative alla cultura e – più in particolare – all'arte. Per farlo pone ancora una volta Adorno a confronto con Lukács e sottolinea l'interpretazione del francofortese in merito alla crisi del dramma: «l'impos­ sibilità, in una società “ipermediata” di fondere artisticamente psicologia e politica, vita pubbli­ ca e vita privata: donde le frequenti ricadute nello psicologismo (coi suoi effetti anacronistici) o, viceversa, la soluzione simbolica, pseudopolitica degli espressionisti (dove l'individuo diven­ ta, direttamente e senza mediazione, simbolo della classe, e il destino individuale simbolo del destino collettivo: e nessuno meglio di Adorno ha messo in luce l'inadeguatezza, la provvisorie­ tà di questa soluzione, in cui l'individuo non diventa tipo, ma, appunto, simbolo, e la ricchezza della vita individuale si perde mentre la dialettica delle classi è rappresentata in forme impro­

prie e rudimentali)»300. Secondo il recensore la condanna dell'espressionismo e del “simboli­

smo” (ovvero dell'immediato) contrapposti alla salvaguardia del “tipico” è un altro di quegli elementi che accomunerebbero Adorno a Lukács, anche se la condanna, per il pensatore unghe­ rese, varrebbe per i movimenti di avanguardia in genere, mentre il concetto di “tipico” è sì cen­ trale nelle teorie estetiche di quest'ultimo ma molto meno nel francofortese – e anche in questo caso siamo di fronte, probabilmente, ad una forzatura da parte di Solmi nel far coincidere due pensatori con in realtà pochi tratti in comune. Solmi stesso, poi, ci indica un aspetto in cui i punti di vista dei due pensatori divergono sostanzialmente, ovvero nella capacità dell'arte di di­ ventare strumento di rappresentabilità e di conoscibilità della realtà moderna, in quanto per Lu­ kács (assertore di un'idea estetica fondata sul realismo inteso anche come lotta contro la deca­ denza) è ancora possibile rappresentare artisticamente la realtà (anche se con grandi difficoltà), mentre per Adorno la realtà contemporanea non può essere conosciuta mediante l'arte, ma solo mediante l'economia politica: «Dove divergono, è nell'apprezzamento delle possibilità: mentre per Adorno, la società moderna – e la vita dell'individuo in questa società – è “irrappresentabile artisticamente”, Lukács attribuisce allo scrittore – per lo meno in via teorica – la facoltà di vin­ cere l'“Ungust der Zeit”, di rivotare e smascherare le mediazioni (l'engelsiano “trionfo del reali­ smo”). Ma per lo stesso Lukács, è questo un compito “terribilmente difficile”, e lo scrittore “spontaneo”, in ogni caso, è destinato ad uscire sconfitto dalla prova. L'unica forma di cono­ scenza adeguata alla realtà contemporanea è, aggiunge Adorno, la scienza della produzione e dello scambio: l'economia politica»301.

Infine, un aspetto sostanzialmente originale ed interessante – ma anche questo in seguito poco approfondito ed analizzato – è la convinzione di Solmi che sia possibile riscontrare una certa convergenza tematica tra la filosofia di Adorno e le opere di Thomas Mann, convergenza che si esplica in modo particolare nel volgere argomenti reazionari in senso progressivo: «An­ che di Mann si può dire, come di Adorno, che non fa che “rivolgere tutti gli argomenti reazio­ nari contro la cultura occidentale al servizio dell'illuminismo progressivo”; anche in Mann si ri­ scontra il caratteristico impasto di romanticismo e illuminismo, di coscienza sociale e “interio­ rità”. Il lettore attento non tarderà a riconoscere, nelle pagine di Adorno, i temi fondamentali della narrativa manniana»302. I nuclei di interesse intellettuale comuni sono quello della conven­

zione e della rottura della regola, ovvero un rapporto complesso con le regole e le norme della tradizione, e quello della malattia. Sotto quest'ultimo aspetto, risulta che l'uomo malato rappre­

300 Ibidem, p. 166. 301 Ibidem, p. 166. 302 Ibidem, p. 167.

senta sia per Adorno che per Mann il principio sano in una società malata: in una società che si vuole e si rappresenta come sana, ma che in realtà è malata, la malattia dell'individuo costitui­ sce la vera differenza e in ultima istanza il principio di ribellione rispetto all'universale. Secon­ do Solmi da ciò deriva – marxisticamente – la condanna della psicoanalisi moderna, in quanto questa sarebbe lo strumento medico normalizzatore rispetto ad una società alienata, il mezzo per guarire il “socialmente diverso”, uno strumento quindi nelle mani dell'oppressore contro l'e­ mancipazione piena dell'oppresso. Insomma, Solmi, in questa recensione (della cui stesura non nasconde al lettore la difficoltà data l'asistematicità del modo di procedere di Adorno) si propo­ ne di far emergere alcuni dei temi maggiormente caratterizzanti i Minima moralia. Alcuni di essi diventeranno temi ricorrenti della critica all'opera e al pensiero di Adorno, altri vengono in­ vece lasciati cadere senza essere analizzati oltre, né da Solmi né da altri critici. Si tratta, forse, di quegli aspetti per i quali Solmi maggiormente subisce l'influenza di testi e teorie che accom­ pagnano queste prime fasi del suo avvicinamento all'opera del francofortese, alla ricerca di ap­ pigli e spunti teoretici che gli permettano di affrontare le asperità del suo pensiero.

2.2 - Gli interventi di Cases e Solmi sul “Notiziario Einaudi”.

Nel ricordare, dopo circa cinquant'anni, l'importanza della pubblicazione del 1954303 dei

Minima moralia nella collana dei Saggi Einaudi, Cesare Cases (che curiosamente in Confessio­ ni di un ottuagenario – come nota Massimo Ferrari304 – ne colloca l'uscita nel 1962, confonden­

dosi probabilmente con la data di pubblicazione in Italia di Angelus novus di Walter Benjamin, tradotto dallo stesso Solmi) definisce il libro di Adorno come «uno dei grandi, intramontabili testi del Novecento. Era il punto di approdo di due tradizioni filosofiche assai diverse: quella hegeliana, che pretendeva di catturare il reale nel concetto, e quella nietzscheana, che rinuncia­ va a tale pretesa e preferiva ricamare sui bordi del reale la trama del pensiero. La forma, passata attraverso Benjamin, era più vicina alla seconda, l'aspirazione alla prima. L'aporia che ne risul­ tava era quella stessa del secolo, sospeso dopo il ritorno alla barbarie tra l'inveramento della promessa e la negazione definitiva»305. Nei primi anni Cinquanta, però, Cases era ancora pro­

fondamente influenzato dal marxismo di Lukács, e ciò determinò che la sua prima reazione nei confronti degli aforismi di Adorno fosse tutt'altro che benevola. Prima di analizzare nel detta­ glio l'operazione di Solmi, ci pare opportuno anticipare, con una funzione introduttiva, ciò che

303 Nel catalogo della casa editrice presente nel già citato Cinquant'anni di un editore è erroneamente riportata come prima data di pubblicazione il 1957.

304 M. FERRARI, Adorno in Italia. In: Theodor Wiesengrund Adorno. La ricezione di un maestro conteso. Cit., p.

3.

Cases scrisse tanto sui Minima moralia, quanto sull'introduzione di Solmi sotto forma di una sorta di lettera aperta indirizzata al traduttore sul “Notiziario Einaudi” (che, come abbiamo già avuto modo di esaminare per esempio a proposito degli interventi di Fortini e di Solmi su que­ stioni di politica culturale, era qualcosa di più di una semplice rivista pubblicitaria a favore dei

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