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Le difese a mare della Repubblica nel contesto della politica ambientale esercitata dalla Repubblica di Venezia per la tutela del litorale inteso

come presidio naturale della laguna.

L’elemento costitutivo e imprescindibile del contesto territoriale lagunare è il lido, ossia il cordone sabbioso più o meno esile che separa la laguna dal mare, in continua evoluzione e oggetto di cure costanti da parte dell’uomo che ne ha alterato la naturalità attuando una serie di provvisioni che sono state e sono ben lontane dall’averne risolto i problemi. Anzi sono stati accentuati proprio quegli elementi invasivi e deturpanti che ormai caratterizzano molte delle coste italiane, in modo speciale quelle adriatiche.

Il cordone litoraneo veneziano si estende nella sua interezza per quarantacinque km ed è sotteso a una corda di trentanove km.

Il lido di Sottomarina, in prossimità della bocca di porto di Chioggia, ha da sempre presentato molti problemi legati da un lato alla presenza della bocca portuale, e dall’altro alle foci dei fiumi e quindi agli interventi idraulici attuati nei secoli.

Si è già riferito in questa trattazione231 sull’esigenza della Repubblica Veneta di salvaguardare gli equilibri idrogeologici della laguna dalla pressione fluviale, lo stesso impegno è stato profuso nell’intento di attenuare la pressione marina.

Le opere tecniche di difesa si raffinarono nel corso del tempo, in origine si trattava di fascinaggi di canne nei punti meno esposti, di argini sostenuti da pietre, di palade (palizzate) di tolpi di quercia232, ossia di semplici ripascimenti di terra e sabbia a cui si aggiungevano palificazioni e sassaie. Quest’ordine di difese richiedeva incessanti interventi di restauro e di ripristino, per sanare i danni provocati dalle burrasche invernali che erodevano le strutture.

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Antiche disposizioni prescrivevano la piantumazione di tamarischi (1357) e che le vigne dovessero essere convenientemente distanziate dagli argini (1536).

Provvedimenti più efficaci si avevano con la realizzazione di «difese aderenti» consistenti in più ordini di palificate legate insieme da correnti e divise in compartimenti riempiti di pietrame e sabbia. Potevano arrivare a tre file rinforzate da pironi in ferro e incatenati tra loro da filagne di larice.

Per arginare la violenza del mare venivano inoltre realizzate «scogliere a dolce pendenza», invece nelle zone meno critiche le piantagioni di tamerici continuavano a svolgere egregiamente la loro funzione.

Tutta l’opera di difesa veniva completata con speroni che avevano il compito di trattenere le sabbie che minacciavano le foci lagunari, anzi proprio queste ultime venivano «munite di moli guardiani e speroni per consentire che rimanessero di sufficiente ampiezza ed atte al regolare svolgersi della marea».

Le opere erano economicamente dispendiose e dissanguavano le casse dello Stato veneziano, sia per le forniture dei materiali233 che per la loro messa in posa che era affidata in concessione a ditte private mediante capitolati pubblici.

Ad aumentare le spese concorrevano oltre all’azione della natura, il malcostume degli abitanti che, d’abitudine, asportavano dalle difese (palade) le travi, la ferramenta, la stessa pietra, quasi sempre riutilizzate per abitazioni/costruzioni abusive.

Il corpus statutario veneziano è ricco di norme di salvaguardia dei litorali come, ad esempio, il divieto di abbattere o incendiare le pinete (1282); di andare ad ostregandum ovvero raccogliere molluschi lungo i moli (1316); di pascolare o far transitare gli animali sugli argini (1316); di tagliare gli alberi ma anche strapparne le fronde (1360); di sradicare i canneti, distruggerli o dare loro fuoco (1322); di asportare sabbia (1344); di vendere agli abitanti delle isole della laguna i materiali destinati ai ripari (1399)234.

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I tolpi erano pali ricavati da materiale non utilizzabile dall’Arsenale di Venezia, Maria Francesca Tiepolo, Difese a mare, in Mostra storica della laguna veneta, p. 133.

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In particolare i tolpi di rovere e fascinaggi e pietra d’Istria o di Lispida, si veda Maria Chiara Billanovich, Attività estrattiva negli Euganei. Le cave di Lispida e del Pignaro tra medioevo ed età

moderna, Venezia, 1997. Si stima che alla fine del Cinquecento nella laguna fossero in opera 140.000

tolpi, M.F. Tiepolo, Difese a mare, in Mostra storica della laguna veneta, ed. cit., p. 134. 234

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A questo proposito anche le raccolte statutarie clugiensi sono ricche di norme finalizzate alla difesa del territorio lagunare.

Per non indebolire il lido vigeva il divieto di prelevare la sabbia nella zona compresa tra il porto nuovo e il porto vecchio, nonché tra il porto vecchio e Chioggia Minore235:

«XLVII – De sabulo non accipiendo

Precipimus quod nullos tollat de sabulo quod est inter Portum Novum et Portum Veterem nec de illo qui est a Portu Veteri usque ad Clugiam Minorem, sine licentia domini potestati. Qui contrafecerit, libras tres comuni et soldos decem accusatori debeat emendare.»236

Particolare attenzione doveva essere impiegata nella tenuta dei canali e dei fossi, i fondali dei quali misuravano quattordici piedi di larghezza, i rii minori sette piedi mentre il canale di Val Da Rio almeno venti piedi:

«XVII – De rivis et fossatis expeditis tenendis

<D>icimus et ordinamus quod amodo supersities vinearum quilibet pro sua custodia seu varda procurare debeant diligenter facere teneri rivos et fossatos bene cavatos et expeditos, latos in fundo de pedibus quatordecim; et illos rivo et fossatos, qui sunt et esse debent de septem pedibus, debeant facere teneri de septem pedibus sicut terminati sunt; rivum autem de Valdario de pedibus viginti. Quos vero rivos et fossatos ter in anno ipsi supersties rimari debeant si bene cavati et expediti existunt ad utilitatem omnium transeuncium per eodem. Si vero alicui de varda seu custodia per suprascriptos suos superstites preceptum fuerit quod rivos vel fossatos cavare et expedire debeant, sicut dictum est, et ipse nec cavaverit nec expediverit ipsos ad terminum per eosdem superstites sibi datum, eum soldos decem parvorum volumus emendare, quorum medietas deveniat in comune et aliam habeant superstites antedicti; et abinde quocies sibi preceptum fuerit et observare noluerit, ut dictum est, dictam penam debeat emendare. Et si aliquis propter paupertatem, minorem etatem, vel aliquem alium modum non cavaverit nec expediverit ispos rivos et fossatos, ut dictum est, antedicti superstites ipsos rivos et fossatos cavari faciant; postmodum vero cum licentia domini potestati illi vel illis, pro quo vel quibus procavari et expediri fecerint, pignus accipere valeant de tanto videlicet quantum expenderint in ipsos cavari faciendo. Si vero ipsi superstites personis sue varde

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Da notare che porto nell’accezione medievale ha il significato di passaggio attraverso il cordone delle dune; dalla norma si deduce quindi che Chioggia aveva due aperture al mare, una a Nord (portus vetus), l’altra in corrispondenza del porto attuale (portus novus). J.C. Hocquet, Vivere a Chioggia nel Duecento.

Il contributo degli statuti comunali a una storia della vita quotidiana, in Statuti e capitolari di Chioggia del 1272-1279, a cura di G. Penzo Doria e S. Perini, Venezia, Il Cardo, 1993, pp. 9-18.

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suprascripta ab eis non preceperint exerceri ac eciam ipsos rivos et fossatos sua negligencia cavato set expeditos teneri non facient, emendare comuni Clugie debea<n>t soldos sexaginta parvorum.»237

Il malcostume dei furti di materiale rimaneva diffusissimo anche a Chioggia, tanto che, dal Cinquecento i ladri venivano perseguiti con esemplarità dal Consiglio di Dieci che comminava loro il bando perpetuo dal territorio della Repubblica Veneta nonché il carcere e il sequestro dei beni238.

Chioggia nel 1519 provvedeva alla nomina di un “Supervisore all’ufficio dei lidi” con il compito di controllare diligentemente i lavori di rinforzo e riparazione delle difese a mare, e di tenere la contabilità delle forniture di legname e pietre.

Nello stesso periodo, il rettore Girolamo Barbarigo chiedeva alla magistratura veneziana dei Dieci di poter inviare in Istria (dove i condannati ai lavori forzati tagliavano la pietra), almeno venticinque imbarcazioni per rifornire la città di pietrame.

L’ingente acquisto di materiale lapideo e le suppliche degli abitanti di Chioggia danneggiati nelle loro proprietà dalle molte tempeste avvenute nel corso dell’inverno, suppliche che nelle fonti municipali si susseguono numerose, fanno supporre che l’inverno del 1519 fu particolarmente avverso sotto il profilo meteorologico.

A distanza di pochi anni dalla nomina del supervisore, i Consigli cittadini erano tutt’altro che soddisfatti dei lavori eseguiti per i quali si potevano solamente deplorare gli sprechi di denaro pubblico e i numerosi errori di ristrutturazione. Per ovviare al malcontento, il Minor Consiglio procedeva quindi alla nomina di un sovrintendente dotato di migliori competenze tecniche e, da questo momento in avanti la carica perse ogni carattere di straordinarietà239.

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Archivio Antico del Comune di Chioggia, Liber statutorum, 4, c. 8 v., [1270]. 238

M. Zunica, Le spiagge del Veneto, Padova, Tip. Antoniana, 1971, pp. 41-42. Sergio Perini, Murazzi e

difese del litorale di Chioggia. Documenti del secolo XVIII, in «Chioggia. Rivista di studi e ricerche» 18

(2001), pp. 127-137. Statuti e capitolari di Chioggia del 1272-1279, a cura di G. Penzo Doria e S. Perini, Venezia, Il Cardo, 1993. Maria Grazia Bevilacqua, Chioggia nella prima metà del Cinquecento (1508-

1550), tesi di laurea, relatore prof. Marino Berengo, aa 1991-1992, Università degli Studi di Venezia Ca’

Foscari, pp. 186-206. Archivio Antico del Comune di Chioggia, Serie Ducali, vol. 13, c. 46 v., 12 Febbraio 1518.

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Archivio Antico del Comune di Chioggia, Liber consiliorum 30, c. 12 v., 25 Maggio 1519; c. 14 v., 26 Agosto 1519; c. 41 r., 14 Maggio 1524.

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La costruzione del murazzo di Sottomarina nel 1796 e la nascita della