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I resti del Miocene superiore della Toscana meridionale: turnover e paleobiogeografia

Nel documento Il registro fossile italiano dei cheloni (pagine 146-150)

6. Considerazioni sulla paleobiogeografia e paleoecologia delle tartarughe fossili italiane *

6.1. Il contributo dei resti fossili italiani: il caso del genere Mauremys

6.1.1. I resti del Miocene superiore della Toscana meridionale: turnover e paleobiogeografia

Turnover faunistico nel Miocene finale dell’area tosco-sarda: confronto tra mammiferi e tartarughe.- Il registro continentale del Miocene finale delle regioni italiane peri-tirreniche

(Toscana e Sardegna) documenta l’esistenza di una bioprovincia peculiare caratterizzata dalla presenza di una fauna a vertebrati con caratteri palesemente endemici e diversa dalle faune

mammaliane coeve dei domini continentali europei o africani, la cosiddetta paleobioprovincia tosco-sarda (associazioni faunistiche V1 e V2, della Oreopithecus Zone Fauna [OZF] in Bernor et al., 2001). La successione faunistica del Miocene superiore dell’area tosco-sarda è nota in letteratura da molto tempo e il contesto geologico, i pattern evolutivi dei mammiferi, e il significato biogeografico sono stati approfonditamente discussi in un certo numero di lavori (vedi Rook et al., 1999, 2000, 2006; Benvenuti et al., 2001; Abbazzi et al., 2008; Delfino & Rook, 2008, e letteratura contenuta).

Durante il Messiniano, si verificò una considerevole riorganizzazione nella paleobiogeografia dell’area tirrenica. Da un punto di vista faunistico, questo intervallo temporale è caratterizzato da un cambiamento drammatico. Tutti i taxa di mammiferi appartenenti al complesso faunistico endemico furono rimpiazzati da un nuovo insieme faunistico (noto come V3) che includeva taxa continentali con chiare affinità europee (Hürzeler & Engesser, 1976; Rook, 1999; Rook et al., 2006). L’associazione V3 portò a una rinnovata e definitiva connessione paleobiogeografica con l’Europa: i grandi mammiferi subirono una completa sostituzione a livello di genere (Fig. 6.1) e nessun taxon delle associazioni V1-V2 sopravvisse all’interno dell’associazione V3 del Messiniano. Una caratteristica peculiare di questo turnover, apprezzabile in Fig. 6.1, è il differente pattern mostrato nell’erpetofauna dai cheloni. Contrariamente ai grandi mammiferi, le tartarughe sopravvissero con almeno due generi d’acqua dolce, Mauremys e Trionyx, che rappresentavano due diverse famiglie (Geoemydidae e Trionychidae). Sembra quindi che le tartarughe acquatiche non siano state interessate dal turnover che rimodellò le associazioni a mammiferi e siano quindi sopravvissute nel Messiniano, come mostrato dal record di M. campanii nell’insieme V3 (Fig. 6.1).

Fig. 6.1. Confronti tra le presenze dei taxa di rettili e di mammiferi nel Miocene superiore della Toscana, prima e dopo la crisi del Messiniano (da Chesi et al., in stampa).

La presenza di una terza famiglia di cheloni in questi raggruppamenti pre-Messiniani (V1-V2) è stata riportata in letteratura da Ristori (1895), che attribuì provvisoriamente a Testudo ? sp.,

alcuni resti provenienti da Montebamboli e Casteani, sulla base dei “profondi solchi degli

anelli di crecita, lasciati dagli scudi cornei” (Ristori, 1895: 85). IGF 11757V e MSNTUP

I10556-partim, attribuiti in schaedis a “Testudo ? sp.”, forse rappresentano i resti osservati da Ristori, ma appartengono alle testuggini palustri della specie M. campanii, per un frammento, e al genere Emys per un altro frammento di corazza. Conseguentemente, la presenza della famiglia Testudinidae nel Miocene superiore della Toscana, è qui considerata come ristretta alle località del Miocene finale con raggruppamento V3: Cinigiano (provincia di Grosseto; “Testudo” amiatae Pantanelli, 1893), Gretoni (provincia di Siena; Testudo s.l.; Delfino, 2002), e Torrente Melacce, vicino Cinigiano (Testudo s.l.; Delfino, 2002).

Testudo s.l. è presente in Italia solo a partire dal Messiniano (MN13). In aggiunta alle località

V3 toscane appena descritte, è stato rinvenuto anche in altri siti: Santa Vittoria d’Alba (provincia di Cuneo; Portis, 1879; questo lavoro) e Cava Monticino (Brisighella, provincia di Ravenna; Delfino, 2002). L’arrivo di Testudo s.l. potrebbe essere forse collegato alla dispersione dei nuovi raggruppamenti a vertebrati del Messiniano all’interno della penisola italiana (Rook et al., 2006), una dispersione che nella Toscana meridionale caratterizzò l’associazione V3 a vertebrati. Secondo il registro fossile attualmente conosciuto che, bisogna riconoscerlo, è fortemente influenzato dalla rarità di località del Miocene inferiore e medio, l’Italia rappresenta l’ultima regione colonizzata dai testudinidi della linea Testudo s.l., già presente a partire da MN1 in Spagna, MN2 in Germania e in Francia, MN5 in Austria, e MN8 in Grecia (Paraskevaïdis, 1955; Crusafont-Pairo & Golpe-Posse, 1974; Lapparent de Broin, 2001; Böhme & Ilg, 2003).

Implicazione paleobiogeografiche.- Dalla fine del Miocene medio (ultimo

ritrovamento di M. sarmatica; Tegel von Hernals e Türkenschanzplatz, Austria, Sarmatiano, MN7-8; Purschke, 1885; Glaessner, 1926) al Pliocene inferiore (Mauremys sp.; Montpellier, Francia, MN14; Bergounioux, 1933; M. portisii; Valleandona, Italia, Rusciniano, MN14-15; Sacco, 1889; questo lavoro) Mauremys è presente solo con pochi resti molto frammentati nell’area del Köhfidisch (MN10; Tav. 18B) (Bachmayer & Mlynarski, 1983). Lapparent de Broin & Van Dijk (1999:149) affermarono che “durante la fine del Miocene, da MN 6 [Francia] a MN 8 [Germania] e da MN 13 [Italia, Spagna] a MN 14-15 [Francia meridionale], l’Europa meridionale subì cambiamenti climatici quali una crescente aridità, così che

Mauremys […] scomparve o fu estremamente ridotta fino a MN 13” e si chiesero se Mauremys fosse stata ancora presente nell’Europa meridionale e/o nel Mediterraneo orientale.

Mauremys nell’Europa meridionale durante un intervallo temporale pre- e post-Messiniano, e

sostenendo la possibilità di una dispersione dal Mediterraneo all’interno della penisola arabica (Mauremys sp.; Baynunah Formation, Emirati di Abu Dhabi, Messiniano, MN12-13; Lapparent de Broin & Van Dijk, 1999) e del Nord Africa (M. leprosa; Aln Boucherit, Algeria, Rusciniano, MN14-15; Lapparent de Broin, 2000 a), come discusso da Lapparent de Broin & Van Dijk (1999) (Tav. 18B). Esistono prove, dal pattern di distribuzione nel Mediterraneo degli z-coralli costruttori di scogliera, che suggeriscono temperature prevalentemente più calde durante il Miocene inferiore e medio, ma con un declino marcato che comincia all’inizio del Miocene superiore (Tortoniano) e continua attraverso il resto del Neogene (Esteban, 1996). Il pattern del registro fossile delle piante (Kovar-Eder et al., 1996, 2008; Suc et al., 1999) e specialmente degli z-coralli di scogliera (Esteban, 1996; Rosen, 1999), conduce a pensare che l’Europa che si affaccia sul Mediterraneo orientale (e specialmente l’area nord- tirrenica) fu un’area dove condizioni più calde e forse più umide perdurarono più a lungo che altrove in Europa. E’ già stato messo l’accento sul fatto che queste condizioni negli ambienti insulari tirrenici resero possibile il mantenimento di habitat adatti che influenzarono l’estinzione o la sopravvivenza di particolari taxa (Rook et al., 2000).

E’ bene inoltre ricordare che nessun turnover significativo può essere individuato all’interno dell’erpetofauna europea nel Miocene superiore e nel Pliocene dell’Europa (Delfino et al., 2003). Anche per il limite Mio/Pliocene, sebbene siano stati riferiti cambiamenti faunistici e nella vegetazione globale (Cerling et al., 1997, e letteratura ivi presente), le modificazioni nelle comunità erpetologiche sono apparentemente distribuite lungo la transizione. Come già notato in letteratura (Barbadillo et al., 1997; Rage, 1997; Delfino et al., 2003), l’erpetofauna tardo-neogenica, in confronto alla fauna a mammiferi, è apparentemente meno affetta da cambiamenti faunistici notevoli. Almeno a livello di famiglia, l’erpetofauna sembra semplicemente dominata da una progressiva riduzione della diversità. L’erpetofauna del tardo Neogene consisteva in una mescolanza di taxa che erano principalmente relitti della fauna termofila miocenica e pochi nuovi immigranti dall’Asia o dal Nord Africa (Bailon, 1991). La differenza nel pattern del cambiamento mostrato dai grandi mammiferi e dall’erpetofauna alla transizione tra faune V1-V2 e associazioni V3 (Fig. 6.1) è evidente a causa del profondo significato del turnover mammaliano in termini di implicazioni paleobiogeografiche (Rook et

al., 2006) e, allo stesso tempo, della sua congruenza con il pattern generale dell’evoluzione

6.1.2. Considerazioni sulla storia evolutiva e il pattern di estinzione nell’area

Nel documento Il registro fossile italiano dei cheloni (pagine 146-150)