Nel Medioevo e durante l’Età Moderna le «nazioni mercantili»1 europee stabilitesi volontariamente in terra straniera furono presto riconosciute dai poteri politici della madrepatria e del paese ospitante e dovettero perciò assumere un volto istituzionale, ovvero una rappresentanza che le vincolasse normativamente alle autorità connazionali e straniere. Le comunità mercantili residenti, dunque, furono sottoposte al controllo di un rappresentante inviato dalla madrepatria chiamato console, il quale era incaricato di proteggere e tutelare presso le autorità locali gli interessi della nazione e dei singoli mercanti. La loro legittimazione consolare, tuttavia, era legata a forme di regolamento sociale, all’osservanza di specifiche norme di comportamento e all’assunzione di precisi oneri finanziari stabiliti dalle autorità nazionali di riferimento 2.
Questa rappresentanza istituzionale era ben presente tra le comunità venete nel Mediterraneo orientale. La nazione mercantile veneziana, infatti, era amministrata da una rete consolare caratterizzata dalla diversità e dalla flessibilità delle sue strutture. Secondo il prestigio dei luoghi, la loro importanza strategica o economica, o ancora le necessità dell’azione internazionale della Serenissima, il processo di nomina dei consoli era differente e il personale reclutato distinto. Al vertice gerarchico di questa rete consolare c’era il bailo a Istanbul, la figura più autorevole di tutto il Levante, che riuniva nella sua carica le funzioni di ambasciatore residente e di console. Vi erano poi i consolati prestigiosi d’Alessandria, dal
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L'identità nazionale nel Mediterraneo dell'era moderna era un concetto molto dinamico e fluido. L’appartenenza dei singoli individui a una «nazione» in terra ottomana indicava prima di tutto un’identità di carattere regionale o comunque associata al luogo di nascita. Tuttavia, a costituire la «nazione» veneziana in Levante c'erano anche individui di origine linguistica, etnica, religiosa, politica e geografica molto eterogenea. A formare queste nazioni quindi non erano necessariamente ceti privilegiati, ma anche individui socialmente meno qualificati. Le nazioni mercantili erano perciò delle comunità forestiere di mercanti che si organizzavano spontaneamente attorno ad una bandiera al fine di assicurarsi il riconoscimento ufficiale della loro presenza e ottenere quindi privilegi commerciali dalle autorità locali. Questo riconoscimento ufficiale, però, era vincolato al benestare del dominio politico locale e all’interesse economico che aveva spinto la nazione alla permanenza nel luogo. Dursteler, Venetians in Costantinoples, pp. 10-21; Rossetti, Nazione l’Italia o gli Italiani?, pp. 30-31; Petti Balbi, Introduzione,.pp. XI-XXIII.
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Petti Balbi, Introduzione, pp. XV-XVIII; Figliuolo, L’organigramma della nazione fiorentina pp. 191-200; Galoppini, «Nationes» toscane nelle Fiandre, pp. 135-164; Balard, Consoli d’Oltremare, pp. 83-94.
1553 al Cairo, e di Aleppo, riservati, esattamente come la carica bailaggia, al patriziato veneziano; gli incaricati dovevano esser eletti dal Maggior Consiglio e detenevano il titolo di pubblici rappresentanti3. In tempi successivi furono creati ulteriori consolati, come quello di Cipro e quelli dei Balcani e del Mar Nero, attribuiti essenzialmente ai cittadini veneziani4. Questi rappresentanti di consolati minori detenevano il titolo di fattori, ossia di agenti della nazione; la loro elezione era solitamente affidata alla magistratura dei Cinque savi alla
mercanzia, spesso affiancati nella nomina dal Pien Collegio5 o dai pubblici rappresentanti come il bailo6. Furono infine installati alcuni consolati sulle coste e nelle isole dell’area egea in cui furono incaricati generalmente membri della popolazione locale, concedendo loro delle patenti e trasformandoli così in agenti della Repubblica7.
Lo sviluppo in un articolato sistema di relazioni consolari in Levante fu principalmente dovuto all’aumentato numero dei porti ed empori che emersero al di fuori del tradizionale sistema di traffici controllati da pochi centri decisionali, mutando così le vecchie vie del commercio e attribuendo un nuovo ruolo agli scali mediterranei8. Il processo dell’intensificarsi di agenti consolari marciani in corrispondenza dell’imporsi dei nuovi centri commerciali può considerarsi dunque espressione delle linee di traffico in cui era attivo il negozio veneziano. L’istituzione di un consolato, infatti, coincideva con la volontà politica da parte delle magistrature venete di tutelare affari che in quel sito si erano rivelati fruttuosi9. Ne conseguiva un sistema gerarchico di una certa complessità, ma che si adattava meglio alle realtà locali.
Essendo rappresentanti di una società che con il commercio aveva ottenuto indubbi profitti, le funzioni degli agenti della rete consolare veneziana erano evidentemente legate al settore mercantile. Il loro compito primario era infatti quello di regolare le attività commerciali, favorendo lo sviluppo della navigazione e le relazioni con gli altri gruppi mercantili e riducendo quanto più possibile i rischi che minacciavano la sicurezza degli
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ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, s. II, f. 33, memoria mercantile n. 89, parte terza, Console veneto a Smirne, 22 aprile 1709.
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La questione della cittadinanza veneziana sarà riproposta nel primo paragrafo del secondo capitolo, dove si analizzerà la nazione veneziana presente a Smirne.
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Il Pien Collegio era un organo centrale permanente nella Repubblica al quale il Maggior Consiglio delegava progressivamente alcune sue funzioni. Da Mosto, L’archivio di Stato di Venezia, p. 22.
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ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, s. II, f. 33, memoria mercantile n. 89, parte terza, Console veneto a Smirne, 22 aprile 1709.
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Per un’analisi dettagliata dei consoli veneziani nel Mediterraneo orientale si veda Pedani, Consoli veneziani nei
porti del Mediterraneo in età moderna, e Id., Venezia porta d’Oriente, pp. 77-110. 8
Salvemini, Negli spazi mediterranei della «decadenza», pp. 13-14.
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scambi veneti nei mercati levantini. A confermarlo fu lo stesso Giovanni Antonio Luppazzoli, appena nominato nella carica consolare nella scala di Smirne:
[...] ne mancarò alle occasioni raguagliarle delli affari del negotio, navi mercantili, e mercanti acciò si stabilisca maggiormente la navigatione col cresimento et abbondanza delle merci nella Dominante, in virtù delle prudentissime parti che si degnarono l’E.E.V.V. formulare à beneficio del comune con togliere li abusi che nel lungo corso della guerra passata furono introdoti sotto straniere bandiere10.
Una volta ottenuta la patente imperiale, il console aveva il compito di procurarsi dalle autorità locali delle fedi, ossia documenti di riconoscimento necessari per chi desiderasse recarsi in quella scala in qualità di suddito veneto. In assenza di questi documenti legali, infatti, i veneti giunti in Levante erano identificati come sudditi non musulmani del Sultano e rientravano perciò nella giurisdizione delle autorità ottomane11. Il console veneto, dunque, si occupava di registrare presso la cancelleria del kadı12 della città in cui risiedeva i sudditi della Serenissima che intendevano insediarsi lì temporaneamente o stabilmente. Il rappresentante marciano consegnava poi a questi ultimi la fede attestante il loro status di protetti dalla Repubblica marciana. Per tale motivo a tutti i mercanti che dovessero muoversi e agire in territorio ottomano questo documento, e quindi il supporto di un console che glielo procurasse, era imprescindibile13.
I consoli s’incaricavano poi di portare a buon esito le transizioni commerciali e finanziarie di mercanti veneti non residenti nel luogo, ma dove comunque questi ultimi detenevano degli interessi mercantili. Poteva difatti accadere che dei mercanti privati intrattenessero una corrispondenza con il rappresentante veneto al fine di veder tutelati i propri affari. Un esempio è fornito nel maggio del 1672, quando il mercante residente a Venezia, Marco Antonio Mocenigo, inviò una missiva al console di Smirne Francesco Luppazzoli per raccomandargli il buon esito dell'operato del suo agente a Smirne e Metellino chiamato Rendi14.
Nei territori soggetti al Sultano non c'erano dei fondachi o dei locali riservati ai mercanti cristiani come invece esistevano a Venezia e in molti altri porti del Mediterraneo e dell'Europa settentrionale. La mancanza di un centro commerciale nei porti levantini con una simile funzione era un altro motivo per cui il consolato fungeva da punto focale per la nazione
10
ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, s. I, b. 749, 17 aprile 1704.
11
Dursteler, Venetians in Costantinoples, pp. 86-87.
12
Il kadı era la massima autorità giuridica a livello locale.
13
Costantini, Il Sultano e l’isola contesa, pp. 157-158; Borgherini Scarabellin, Il Magistrato dei Cinque Savi
alla Mercanzia, p. 43. 14
mercantile veneta. Il consolato veneziano di Smirne, così come la sede istituzionale degli altri rappresentanti europei in questo stesso porto, svolgeva la funzione di stoccaggio delle merci in magazzino15 e, spesso, anche di alloggio per funzionari e agenti della Repubblica16.
Come accennato in precedenza, di frequente gli agenti consolari della Serenissima si occupavano anche di ridurre le spese cui dovevano far fronte le navi nei porti levantini e di limitare le prepotenze subite da questi per opera dei ministri ottomani. Il fine ultimo dei rappresentanti veneziani, infatti, era di favorire la navigazione e il commercio marciano. Il già citato console veneto di Smirne Francesco Luppazzoli, ad esempio, utilizzò tutta la sua influenza di rappresentante di una potenza come Venezia, ancora in possesso di un certo prestigio nel Mediterraneo orientale, per impedire che fosse fatta «la cerca e guardiani»17 sopra le imbarcazioni veneziane. Questa pratica di controllo effettuata dagli ufficiali della dogana smirniota, oltre ad essere una spesa a carico degli ufficiali delle navi, finiva spesso per danneggiare le merci imbarcate sulle imbarcazioni, provocando quindi le lamentele dei mercanti e dei capitani delle navi sotto la protezione della bandiera di San Marco. Oltre a ciò, Francesco Luppazzoli riuscì a ridurre le spese di ancoraggio che dovevano pagare i vascelli, portando questo contributo da 140 reali a 89 e ½18 e in seguito a 88 e ½19. Qualche anno dopo, il sospetto delle autorità locali che sui vascelli giungenti a Smirne ci fossero imbarcate monete false portò a maggiori controlli doganali e a queste verifiche si accompagnarono spesso anche abusi e malversazioni da parte degli stessi ministri della dogana ottomana. Anche in questo caso l'agente consolare veneto cercò con tutte le sue risorse di impedire che fosse effettuata la «cerca» e che fosse imposto un guardiano sulle navi con la bandiera marciana20. Questa volta, però, riuscì a esonerare le imbarcazioni veneziane dalla cerca e dal «metter li guardiani» solo con il pagamento di 16 reali da parte di ogni imbarcazione veneta21. Ancora nel 1681 il console Luppazzoli rifiutò di dare supporto alla flotta del gran ammiraglio della marina ottomana ancorata a Chio22. Il Pascià di Smirne, infatti, era intenzionato a utilizzare una nave con bandiera veneziana per portare rifornimento alla flotta turca impegnata contro i francesi.
15
ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, s. I, b. 749, 3 giugno 1683.
16
Il consolato, ad esempio, nel 1680 diede ospitalità al capitano delle navi pubbliche veneziane. Ivi, 16 dicembre 1680. La stessa cosa si ripeté anche nel 1683 con altri capitani della flotta veneziana e con illustri rappresentanti della Serenissima. Ivi, 15 settembre 1683.
17
La «cerca», chiamata anche visita, era la perquisizione metodica messa in atto dai funzionari ottomani del porto sulle imbarcazioni degli europei per controllare se ci fossero passeggeri indesiderati o se il carico imbarcato fosse stato regolarmente denunciato alle autorità doganali e non appartenesse a gruppi o individui sgraditi alla piazza. Greene, Beyond the Northern Invasion, pp. 64-65.
18
ASV, Bailo a Costantinopoli, b. 117, 18 maggio 1673.
19
Ivi, 13 agosto 1675.
20
Ivi, 1 maggio 1675.
21
Ivi, 13 agosto 1675; ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, s. I, b. 749, 16 settembre 1683.
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Il trasporto coatto di materiale strategico e vettovaglie destinate alle forze militari ottomane avrebbe imposto la riduzione, se non la totale esclusione, del carico mercantile normale. Il rappresentante della Serenissima riuscì faticosamente a sottrarre le imbarcazioni sotto la sua tutela a questo servizio, ma il suo intervento fu necessario per salvaguardare i vascelli mercantili veneti poiché le navi avrebbero rifornito le navi barbaresche, nemiche della navigazione veneziana, o sarebbero state depredate dai francesi,danneggiando così in ogni caso il traffico marciano23.
Trattandosi di un'istituzione che operava fuori dal dominio veneto, questi legati avevano l’importante funzione di garantire la protezione della legge veneziana a chi, trovandosi in territorio straniero, rientrava sotto la tutela della Serenissima. Questa giurisdizione extraterritoriale vantata dai rappresentanti veneti consentiva loro di poter svolgere un’attività giudiziaria e intervenire nelle controversie che potevano minacciare i mercanti che trafficavano sotto la protezione della bandiera di San Marco, sospendendo la validità delle leggi ottomane24. Gli inviati veneti alle diverse scale levantine, quindi, non avevano solo il compito di occuparsi delle liti fra veneziani che rientravano sotto la loro giurisdizione, ma s’impiegavano affinché i sudditi della Serenissima non fossero soggetti a prevaricazioni da agenti europei o, cosa che accadeva più spesso, dai magistrati ottomani. Scrivendo alla magistratura dei Cinque savi alla mercanzia, il neoeletto console Antonio Luppazzoli affermò:
[...] mi portai à questa Città, dove giunsi li 22 marzo caduto con ricevere il possesso di questa Carica Consolare Veneta con sodisfatione particolare di tutte le nationi, e dei sudditi che sperano ogni valida diffesa nei loro interessi in queste parti che per essere sottoposte al Dominio Ottomano affidano le loro persone, et haveri nella buona condota del loro Capo. Nè io ometterò tutta la possibile assistenza per assicurarli da ogni molestia, et avanie nella conformità che si governò nelli tempi passati [...]25.
I legati del governo veneziano dovevano però difendere anche i diritti della Repubblica dalle truffe commerciali messe in atto proprio da chi trafficava sotto la protezione veneziana. I dispacci dei vari rappresentanti veneti nella piazza smirniota riportano molti casi di questo genere. Francesco Luppazzoli denunciò ad esempio la collusione delle autorità ottomane nel compiere questi imbrogli:
23
Ivi, 8 dicembre 1681.
24
Salvemini, Negli spazi mediterranei della «decadenza», p. 41.
25
Della partenza delle Navi nostre per SanSpiridone, Capitan Francesco Picolo, che vene qui da Costantinopli con mezo carico, Colomba d’oro, et Madonna del Rosario, Capitan Bavilaqua, che fu li 15 di Settembre dell’anno caduto, dal Tenedo con l’Eccellentissimo Signor Capitan delle Navi, mi sono con altre mie lettere espresso circa il Carico delle predetteNavi, et delle fraudi, che commettono li Capitani, scrivani, Sopracarichi, Mercanti, et Marineri, sostentati dall’istesso Doganiero, et da direttori delle medeme, che sono Francesi, le quali fraudi io non li ho in alcun modo divertire, senza l’assistenza dell’EE. VV26.
Oltre che intercedere come arbitri in caso di necessità, i consoli si occupavano anche di controllare e dirigere i beni delle colonie, di riscuotere le tasse dovute e di fungere da intermediari con le autorità locali e con i rappresentanti degli altri stati presenti nel luogo in nome di tutta la comunità nazionale27. In particolare poi, gli inviati consolari intervenivano nelle dispute sui pagamenti di crediti28, sui naufragi29, sulle eredità e su eventuali debiti lasciati da defunti30.
L’agente consolare, nel compiere le sue funzioni giurisdizionali, esercitava poteri di controllo, ispezione e amministrazione della giustizia che non erano circoscritti alla sola sfera civile, ma erano estesi anche all’ambito criminale, con autorità di arrestare e punire chi minacciava la regolarità dei traffici o infrangeva le leggi penali31. Inoltre, con il loro costante attaccamento alla certezza del diritto e con i loro sforzi nel contrattare le prerogative che avrebbero caratterizzato la vita dei membri della nazione veneziana residenti nei territori del Sultano, il bailo e il console svolgevano una sorta di pubblicità al governo della Serenissima. La Repubblica marciana era direttamente interessata affinché pubblicamente si rendesse noto che l’opera di difesa di chi navigava e commerciava sotto la bandiera di San Marco fosse eseguita secondo le forme internazionali della diplomazia. Così facendo, queste misure assumevano quindi un intento che, oltre ad essere politico, mirava a commercializzare il proprio servizio.
26
Ivi, 15 gennaio 1684.
27
Pedani, Venezia porta d’Oriente, p. 86; Berchet, La Repubblica di Venezia e la Persia, pp. 121-122.
28
Emblematico è il caso del patrizio Giovanni Battista Rotta; il nobiluomo richiese al console di Smirne, per mezzo del bailo, la tutela del credito da lui vantato di 300 zecchini nei confronti di alcuni mercanti residenti nella scala smirniota e che vide coinvolti in prima persona il francese Boijé, il veneto Antonio Borghetti e l’armeno Agameri. A complicare la risoluzione della vertenza fu la ferma volontà del patrizio di rifiutare della merce come strumento di pagamento per il saldo del credito, proposta dal Boijé in 300 pipe di cristallo e 500 reali di rubini e smeraldi. ASV, Bailo a Costantinopoli, b. 126 I, 4 luglio 1704.
29
Il console di Smirne Giovanni Antonio Luppazzoli, ad esempio, con l’aiuto del bailo riuscì ad ottenere un comandamento regio della Porta, il quale garantì loro che le autorità locali arrestassero i corsari che avevano precedentemente depredato le navi veneziane e che restituissero al rappresentante veneto il carico derubato. Ivi, 15 settembre 1705.
30
Nelle lettere inviate dal console di Smirne Francesco Luppazzoli al bailo si trova anche l’inventario dei beni posseduti in quella scala dal defunto mercante veneto Nicolò Mariani, con tanto di crediti e debiti lasciati in sospeso. Ivi, b. 119 II, 21 giugno 1680.
31
Borgherini Scarabellin, Il Magistrato dei Cinque Savi alla Mercanzia, p. 83; Berchet, La Repubblica di
Da quanto finora analizzato delle caratteristiche e peculiarità dell’ufficiale consolare, incluso il suo ruolo nell’amministrazione della giustizia, emerge soprattutto una figura legata al mondo mercantile e in particolar modo al commercio marittimo. Queste funzioni da sole, però, non sono sufficienti a spiegare perché nell’arco cronologico preso in esame, ovvero dal 1670 al 1714, l’unico consolato a mantenere una certa continuità istituzionale fosse quello di Smirne. All’indomani della guerra di Candia32 (1645-1669) il governo della Serenissima cercò di introdurre nuovamente in Levante i consolati, sperando con ciò di promuovere il commercio con l’area del Mediterraneo orientale33. A tal fine, furono reintrodotti anche il consolato alla scala di Smirne, «ch’è tra le principali, e dove è maggiore il concorso di merci»34, ad Aleppo e al Cairo. Ben presto, però, il consolato del porto turco rimase l’unico in tutto il Levante35 e, anche dopo la guerra di Morea36 (1684-1699), le autorità veneziane si preoccuparono di mantenerlo istituzionalmente vivo. Queste ultime, infatti, affermarono che il porto di Smirne fin dalla seconda metà del Seicento costituiva il principale scalo levantino per il commercio veneto assieme a Durazzo37. Oltre a ciò, i capi di piazza,38 dopo quest’ultima guerra e dopo la pace di Passarowitz (1718), sconsigliarono di insediare nuovamente dei rappresentanti consolari al Cairo e ad Aleppo, suggerendo invece di istituire nuovi consolati
32
I veneziani chiamavano Creta con il nome di Candia, dal nome della più importante città dell’isola, oggi Iraklio. Il conflitto per la contesa dell’isola di Creta si aprì nel 1645 con l’aggressione di un’imbarcazione ottomana per opera dei Cavalieri di Malta, i quali ripararono nei porti di Candia, all’epoca di dominio veneziano. L’estenuante guerra, che vide la Serenissima combattere senza l’appoggio significativo delle altre potenze cristiane, si concluse con la capitolazione di Venezia e con la perdita dell’isola. La sconfitta, oltre a rappresentare una perdita territoriale rilevante, segnava la fine del tradizionale ruolo di collegamento con l’Oriente che la Serenissima aveva da secoli svolto. Cozzi, Venezia nello scenario europeo, pp. 117-127.
33
ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, s. II, f. 33, memoria mercantile n. 89, parte prima, Console veneto a Smirne, 1 maggio 1670.
34
Ibidem.
35
La carica consolare dell’Egitto venne ufficialmente abolita nel 1677 e solo nel 1745 fu creato un nuovo console. Pedani, Venezia porta d’Oriente, p. 85. La stessa cosa accadde nell’emporio di Aleppo dove, nel gennaio 1676, fu abolito il consolato, per poi vedere nominato un nuovo console solo nel 1762. Costantini, Il
commercio veneziano ad Aleppo, p. 143. 36
Morea è il nome veneziano con il quale s’intendeva il Peloponneso. Minacciata dall’espansione ottomana nella penisola balcanica e dalla politica espansionistica della Francia nel Mediterraneo e nella penisola italiana, Venezia nel 1684 entrò nell’alleanza antiottomana con l’Impero Asburgico e il Papato con la speranza di ottenere almeno una parte dei domini persi dalla guerra di Candia in poi. Con la pace di Carlowitz (1699) la Serenissima si dovette però accontentare del Peloponneso, della riaffermazione del suo dominio sulle isole dell’arcipelago che possedeva prima della guerra e del riconoscimento di alcuni diritti di passaggio nell’Adriatico. Lane, Storia di Venezia, pp. 474-476; Cozzi, Venezia nello scenario europeo, pp. 129-147; Perini,
Venezia e la guerra di Morea, pp. 45-91. 37
ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, s. I, reg. 166, 28 aprile 1699. Per l’importanza di Durazzo nel commercio