1. L’Istituto per le case popolari di Torino
dalla prima guerra mondiale al regime fascista
Alle soglie della grande guerra la situazione patrimoniale dell’ente continuava a essere condizionata dagli ammanchi dovuti agli alloggi sfitti, il cui numero non era ancora irrisorio, seppur gradualmente scemato. Un ulteriore contraccolpo derivò pertanto dalla congiuntura economica negati- va generata dall’apertura del conflitto, dato che già nell’estate 1914 il pre- sidente dell’Istituto ricevette alcune richieste di deroga al pagamento dei canoni.1 Preoccupato «seriamente delle sue condizioni finanziarie e degli oneri per il pagamento dei debiti», l’Istituto concesse un’esenzione parzia- le e, grazie al supporto di un comitato costituitosi tra gli inquilini, fu anche eseguita un’«inchiesta sulle condizioni delle famiglie che avevano presen- tata domanda», al fine di contenere «la naturale tendenza, se non ad abusar- ne, ad approfittare nel maggior modo».2 La successiva stabilizzazione del mercato indusse a revocare tali provvedimenti, permettendo di recuperare una quota cospicua delle pigioni, sebbene nel frattempo parecchi allog- gi fossero rimasti vuoti per effetto delle disdette volontarie e degli sfratti che l’ente, non essendo «istituto di beneficenza», aveva dovuto intimare.3 Tuttavia l’entrata in guerra dell’Italia offrì nuove e inaspettate opportu- nità: le forze militari occuparono parecchie camere e altre furono messe a disposizione dei profughi provenienti dalle aree belligeranti.4 Non solo
1. ASIACPT, Verbali Consiglio di amministrazione (d’ora in poi VCA), 1911/1919, Ver-
bale della seduta del Consiglio di amministrazione (d’ora in poi Verbale cda) 29 agosto 1914.
2. ASIACPT, Conto Consuntivo (d’ora in poi CC) anno 1914. 3. ASIACPT, VCA, 1911/1919, Verbale cda 31 gennaio 1915. 4. Ivi, Verbale cda 29 agosto 1914.
inizialmente il Comune si fece carico delle relative spese, ma parecchie famiglie rimasero nelle abitazioni versando regolarmente l’affitto.5 Così sul principio del 1917 il Consiglio di amministrazione poteva finalmente affermare che «tutti gli alloggi [erano] affittati».6
L’ineluttabile parsimonia dettata dal frangente bellico impedì però lo svolgimento di un’adeguata manutenzione, lasciando che il patrimonio edilizio venisse afflitto da un evidente degrado. Agli inizi degli anni Venti nelle case popolari albergava non poca sporcizia: le operazioni di pulizia e rimozione dei rifiuti avvenivano in maniera irregolare, mentre il malfunzio- namento della fognatura formava ristagni putrescenti in diversi complessi.7 A ciò si aggiungevano comportamenti da parte degli inquilini ai limiti del vandalismo, secondo un amalgama di atti irriverenti ed escamotage dettati dall’intento di sopperire alle privazioni imposte da una ristretta economia domestica, come l’abitudine di allevare abusivamente galline e conigli nei cortili, oppure rimuovere i vetri dalle finestre delle parti comuni a scopo di riutilizzo o vendita. Sebbene la direzione dell’ente tendesse a imputare tali mancanze a ignoranza e scarsa educazione, l’infelice stato dei caseggiati gettava discredito sull’attività svolta, non diversamente da quanto accadu- to nell’anteguerra quando un giornale satirico cittadino aveva ironizzato sull’umidità da cui era intaccato il 2° quartiere.8
Questa situazione non invalidò comunque l’impegno sostenuto, da cui scaturì il preambolo alla ripresa in città dei lavori nel settore edilizio, mal- grado il protrarsi della crisi innescata dalla guerra.9 Già all’indomani dell’ap- provazione del decreto legge 23 marzo 1919, n. 455, recante provvedimenti a favore delle case popolari, l’Istituto elaborò infatti un ampio programma di costruzioni in accordo con l’amministrazione civica capeggiata nuovamente dal sindaco Frola. Nel 1921 risultavano disponibili i primi due complessi
5. ASIACPT, CC anno 1914.
6. ASIACPT, VCA, 1911/1919, frammento di verbale [s.d.]. Cfr. L’Istituto per le case
popolari di Torino, in «Città di Torino. Ufficio del lavoro. Bollettino e statistica», 5 (1916),
pp. 9-12; ivi, 2 (1917), pp. 18-19.
7. ASCT, Affari Sanità e Igiene, c. 136, f. 2, Ispezione ai diversi gruppi di case popo-
lari. Relazione al Signor Sindaco, 8 luglio 1922.
8. La canzone dell’inquilino delle “Case popolari” fu pubblicata sul giornale «Il Toro: giornale politico, satirico, umoristico, illustrato», 19 gennaio 1911.
9. L’attività edilizia torinese dal 1900 al 1929, in «Torino», 12 (1929), p. 921; Il pro-
blema delle costruzioni e degli affitti. Ciò che si è fatto e ciò che resta da fare, in «Gazzetta
del Popolo», 3 dicembre 1919; Le industrie torinesi e la guerra. L’industria edilizia, in «Città di Torino. Ufficio del lavoro. Bollettino e statistica», 4 (1916), pp. 2-7.
del periodo post-bellico: il gruppo A, poi 10° quartiere, percorso dall’asse di via Arquata e delimitato dall’attuale corso Dante (allora Parigi) e le vie Solero, Rapallo, Pagano; il gruppo B (12° quartiere), lungo via Lauro Rossi, tra le vie Cigna e Châtillon.10 Si trattava di oltre duemila camere, uno sforzo senz’altro ingente, anche per via dei problemi dovuti alle riparazioni neces- sarie nei caseggiati esistenti e alle difficoltà di recuperare gli affitti delle fa- miglie di quanti erano stati al fronte. Un certo malcontento serpeggiava però tra gli inquilini, come attestano alcune istanze per un coinvolgimento diretto nell’attività decisionale dell’ente attraverso appositi “consigli di casa”, una prospettiva accolta con tiepido entusiasmo forse a causa della denomina- zione proposta, incline a rievocare l’esperienza dei consigli di fabbrica.11 D’altronde non ebbe neppure seguito l’idea di includere rappresentanti degli inquilini nel Consiglio di amministrazione, nonostante il consenso manife- stato da alcuni suoi membri. L’attività svolta in quegli anni fu comunque assorbita dalla priorità di garantire l’incremento del piano edilizio, un obiet- tivo che implicava un confronto costante con le autorità civiche innanzi- tutto al fine di ottenere gratuitamente i terreni per l’edificazione.12 Le due istituzioni procedevano di concerto, tramutando il sostegno municipale in un presupposto ineluttabile alla programmazione edilizia, ben più di quanto fosse avvenuto in precedenza.13 Sebbene non ne costituisse una struttura di- retta, l’ente per le case popolari configurava ormai uno strumento di azione del municipio, tanto che lo stesso presidente Bonelli non aveva esitato ad asserire: «L’Istituto si è sempre considerato come un organismo costituito dal Comune per adempiere in sua vece ad una funzione sociale».14
Queste parole comparivano in una lettera indirizzata al sindaco sul fi- nire del 1920, nell’intento di consolidare quella prassi che garantiva aree fabbricabili gratuite e fideiussioni per la stipula dei mutui, dato che l’Istituto «non lavora[va] per sé, ma per il comune e per l’interesse generale».15 Tutta- via la partnership così definita cominciava a essere insidiata dalla valutazio- ne di altre opportunità:16 nel febbraio 1921 il Consiglio comunale deliberò la costruzione di un gruppo di case economiche municipali, sotto l’egida di
10. ASCT, Progetti edilizi, 1919/272; 1920/349. 11. ASIACPT, VCA, Verbale cda 20 giugno 1920. 12. Ivi, 1911/1919, Verbale cda 25 maggio 1919. 13. ASIACPT, CC anno 1919, Relazione.
14. ASIACPT, VCA, Verbale cda 19 dicembre 1920. 15. Ibidem.
Luigi Grassi, all’epoca assessore supplente ai lavori pubblici, nonché noto imprenditore edile, titolare del brevetto di prefabbricazione che sarebbe sta- to applicato negli edifici. In virtù del ruolo svolto, tutelato dalle relazioni intessute nell’establishment cittadino quale fervido assertore del nascente fascismo, Grassi era riuscito ad assicurare lauti guadagni alla propria attivi- tà in un momento di stasi per il settore edilizio, in coerenza con quei tratti di scaltro professionista che nel 1927 gli avrebbero procurato la condanna al confino. In tali circostanze il prefetto di Torino non avrebbe risparmiato riferimenti espliciti ad abusi di potere, sino ad addossargli la responsabilità di aver rallentato lo svolgimento del programma edilizio dell’Istituto per le case popolari.17 In effetti verso la metà degli anni Venti il venir meno dell’apporto fornito dal Comune lasciò paventare una preoccupante impasse e solamente l’uscita di scena di Grassi consentì la ripresa dei progetti pre- parati nell’immediato dopoguerra, oltreché la ricomposizione degli interessi maturati tra i due enti. Nel biennio 1927-1928 furono completati l’ampio gruppo C (13° quartiere), in corso Lecce, tra le vie Orta, Belli, Medici, e l’altrettanto esteso gruppo D (14° quartiere), tra i corsi Peschiera e Racco- nigi, eretti su terreni assegnati dall’amministrazione civica già nel 1919. In attesa dell’utilizzo, il presidente del Football Club Torino aveva persino chiesto di poter utilizzare l’area lungo corso Peschiera per lo svolgimento delle partite.18 L’impostazione dei nuovi complessi si discostava dalla tipo- logia edilizia adottata nell’anteguerra: agli insediamenti intensivi articolati in palazzine a quattro o cinque piani suddivise in alloggi di pochi vani si pre- ferivano ora interventi di fabbricazione estensiva con stabili di tre o quattro piani strutturati in alloggi più ampi e intervallati da spazi destinati a giardini e orti.19 Inoltre le aree libere erano destinate all’inserimento di servizi come bagni, lavatoi e asili, poco sviluppati sino ad allora, al fine di assicurare un miglioramento degli standard qualitativi e proporre «un complesso di casa moderna che elimina[va] l’agglomeramento di popolazione, che [aveva] tut- ti i requisiti per affezionare l’inquilino alla casa, alla famiglia».20
Nel corso degli anni Venti l’attuazione del piano edilizio fu comun- que rallentata non solo dagli eventi sopra ricordati, ma anche dall’inge- 17. Sulla figura di Grassi e l’avvio delle case economiche municipali rimando a Maria D’Amuri, 1848-1923. Edilizia popolare a Torino. Il problema della casa e la politica muni-
cipale, Torino, Archivio storico della Città di Torino, 2010, pp. 148-153, 173-180, 185-194.
18. ASCT, Affari Ufficio Lavori pubblici, c. 496, f. 3. 19. ASIACPT, VCA, Verbale cda 1 aprile 1920. 20. Ivi, Verbale cda 19 dicembre 1920.
renza di altri fattori, come l’esaurimento dei fondi ricavati da un mutuo con la Cassa di Risparmio di Torino, il disavanzo dovuto agli importi non corrisposti dalle famiglie di quanti erano stati richiamati al fronte e addirittura gli atti di malversazione compiuti da un dipendente incari- cato di riscuote le pigioni.21 In seguito a tale episodio e in considerazio- ne dell’ampliamento del patrimonio posseduto, nel 1922 il presidente aveva promosso la riorganizzazione dell’ente, con l’entrata in vigore di regolamenti disciplinari per impiegati, custodi e inquilini.22 A rendere necessarie norme scritte per questi ultimi erano stati senza dubbio gli atteggiamenti poco rispettosi cui si è fatto cenno: tra le prescrizioni aval- late campeggiavano infatti il divieto di spargere la spazzatura e allevare animali da cortile, accanto all’obbligo di una diligente cura dell’alloggio e degli spazi comuni.23
La disponibilità finanziaria dell’ente era stata anche condizionata dal divieto di aumentare i canoni negli stabili realizzati prima del conflitto, in conformità alle disposizioni legislative che avevano introdotto il cosid- detto “vincolismo locativo”.24 L’adozione di tali provvedimenti era stata osteggiata strenuamente dall’economia liberista per l’effetto di intralciare il funzionamento del mercato in una fase di grave recrudescenza della crisi abitativa, come lamentò a più riprese Luigi Einaudi, per altro in quegli anni membro del Consiglio di amministrazione dell’Istituto per le case po- polari di Torino. Pertanto gli organismi direttivi salutarono positivamente il decreto legge 7 gennaio 1923, n. 8, grazie al quale sarebbe stato possi- bile introdurre alcuni aumenti a partire dal 1° luglio dell’anno successivo, benché gli inquilini avessero la facoltà di presentare ricorso presso spe- ciali commissioni arbitrali. Intenzionato a raggiungere la cifra di lire 23 per camera,25 l’ente si dovette però scontrare con una certa resistenza, in particolare da parte degli abitanti del secondo gruppo. A detta del consi- gliere Mario Gobbi, esponente del fascismo torinese, questi ultimi erano sobillati dai comunisti e solamente il provvido intervento dei gruppi fasci- sti di zona aveva scongiurato il propagarsi di una protesta eversiva, tanto che, in risposta a una lettera del prefetto, aveva proposto di sospendere
21. Ivi, Verbali cda 30 agosto, 14 novembre 1921. 22. Ivi, Verbali cda 20 febbraio, 26 aprile 1922.
23. ASIACPT, CC del quindicesimo esercizio, anno 1922.
24. Sul tema si veda D’Amuri, 1848-1923. Edilizia popolare a Torino, pp. 171-173. 25. ASIACPT, VCA, Verbale cda 5 marzo 1924.
le richieste di aumento, onde evitare argomenti di «speculazione politica anti-nazionale». Alle sue parole aveva replicato seccamente Einaudi: «Non può ammettere che l’Istituto, ente di natura apolitica, faccia oggi proprio della politica: si tratta poi di un sacrificio di danaro che il bilancio dell’Isti- tuto basato su criteri matematici di equilibrio tra l’entrata e l’uscita, non consente».26 Secondo Bonelli sarebbe stato sufficiente procrastinare l’ap- plicazione delle nuove tariffe, come convennero quasi tutti i consiglieri, poco inclini ad assecondare i desiderata fascisti.27
Sullo sfondo del clima di esacerbata conflittualità ideologica ormai in atto, tale episodio resta sintomatico dell’incipiente politicizzazione dell’en- te, attestando al contempo lo scarso interesse dei suoi amministratori verso la vulgata populista perseguita dal fascismo. L’Istituto non tardò ovvia- mente a essere intaccato dal processo di fascistizzazione che, sulle spoglie della secessione aventiniana, investì capillarmente il corpo delle istituzioni politiche e civili.28 Nel marzo 1926 Bonelli rassegnò le dimissioni, seguito da diversi consiglieri,29 mentre sul finire dello stesso anno si insediava a Torino il primo podestà, l’ammiraglio Luigi Balbo Bertone di Sambuy.30 Dopo diciannove anni di lavoro, Bonelli consegnava ai suoi successori un organismo efficiente, in grado di gestire un patrimonio di quasi settemila camere. Nella seduta del 10 maggio iniziava il mandato del nuovo Consi- glio di amministrazione, guidato dall’ingegnere Giovanni De Vecchi, fra- tello del celebre quadrumviro Cesare Maria insignito del predicato feudale di Val Cismon.31 Unico segno di continuità con il corso precedente era la permanenza di Carlo Montù e Camillo Chinca, rispettivamente rappresen- tanti della Cassa di Risparmio e dell’Istituto delle Opere Pie di San Paolo sin dalla fondazione dell’ente, oltreché la figura di Giacomo Fochesato, di- rettore tecnico già all’apertura dei primi cantieri. Segnalato al prefetto per assenza ingiustificata nel febbraio 1929, Fochesato rinunciò all’incarico poco dopo, ufficialmente per dedicarsi alla libera professione, ma in realtà
26. Ivi, Verbale cda 12 giugno 1924.
27. Ivi, 11-1924/1928, Verbale cda 7 febbraio 1925.
28. Alberto Aquarone, L’organizzazione dello Stato totalitario, Torino, Einaudi, 1995, pp. 34-36.
29. ASIACPT, VCA, 11-1924/1928, Verbale cda 15 marzo 1926.
30. Carla Brogliatti, Il processo di fascistizzazione dell’amministrazione comunale di
Torino, in «Mezzosecolo», 4 (1980-1982), pp. 251-252.
31. Enzo Santarelli, De Vecchi, Cesare Maria, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 39, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1991, ad vocem.
esasperato dalle angherie subite dalla milizia e dalle intimidazioni ricevute da De Vecchi, come avrebbe segnalato alla caduta del regime.32 In effetti i documenti disponibili lasciano intuire forti attriti, come sembra restituire la decisione del Consiglio di amministrazione di negargli le indennità di di- missione nella somma richiesta, senza escludere il licenziamento in modo da annullare il diritto a qualsiasi compenso.33 La carica di direttore tecnico passava così allo squadrista Alessandro Orsi, vice podestà negli anni di Sambuy e membro dell’amministrazione comunale in veste di commissa- rio aggiunto per le tramvie.
2. L’attività edilizia durante il fascismo
La nuova direzione dimostrò subito notevole impegno, dedicando par- ticolari attenzioni non solo al compimento dei gruppi C e D progettati da diversi anni, ma anche alla costruzione del complesso per i tramvieri tra l’attuale via Lancia e corso Trapani (gruppo 15°, TM 1°), in prossimità del deposito dell’Atm in Borgo San Paolo.34 Nello stesso periodo fu predispo- sto un nuovo programma edilizio, grazie al riscontro positivo dei contatti intrattenuti con il potere civico e i vertici della Fiat al fine di ottenere gratu- itamente alcuni terreni. Il 28 ottobre 1930, ottavo anniversario della marcia su Roma, «con solenne e fascistica cerimonia», fu inaugurato il gruppo F (quartiere 16°), eretto in Borgo Vittoria su un’area donata dall’industria au- tomobilistica, lungo l’odierno corso Grosseto, tra le vie Bibiana, Sospello e Chiesa della Salute.35 Composto da fabbricati a cinque piani fuori terra per un insieme di oltre cinquecento alloggi, l’insediamento era dotato di vari comfort, come l’impianto di riscaldamento centralizzato, un complesso di bagni e docce, l’asilo e il nido per l’infanzia, un refettorio e addirittura una piscina. Tali servizi ne facevano un’eccellenza nel panorama dell’edilizia popolare coeva, tanto che il cantiere aveva meritato una visita dei gerarchi 32. ASTO, Sezioni Riunite, Prefettura di Torino, Gabinetto, I versamento, Edilizia,
alloggi, affitti, sfratti, 1930-1956, b. 303, lettera del presidente dell’Istituto per le case po-
polari di Torino al prefetto di Torino, 18 febbraio 1929; ivi, lettera di Giacomo Fochesato al prefetto di Torino, 7 agosto 1943.
33. ASIACPT, VCA, 25-2-1929/12-7-1939, Verbale cda 25 febbraio 1929. 34. Ivi, 11-1924/1928, Verbali cda 28 gennaio, 29 settembre 1926.
35. Ivi, 25-2-1929/12-7-1939, Verbali cda 4 marzo, 23 aprile, 23 luglio, 26 agosto
fascisti ed era stato pure meta di un sopralluogo da parte del ministro dei Lavori pubblici Araldo di Crollalanza.36
Nel solco tracciato da Luzzatti agli albori del secolo, l’ente mirava a disciplinare l’organizzazione dell’edilizia popolare cittadina, senza accet- tare la prospettiva di essere esautorato delle proprie funzioni da esperienze similari a quella promossa direttamente dal Comune, esauritasi comunque nel 1927 con l’edificazione dell’ottavo gruppo di case economiche mu- nicipali.37 Oltre a predisporre un ambizioso piano di intervento, il nuovo Consiglio di amministrazione volle infatti inglobare il patrimonio realizza- to nell’ambito di altre iniziative, inclusi gli stabili dell’amministrazione ci- vica. Avviate sul finire degli anni Venti le trattative si conclusero nel corso del decennio successivo: non solo nel 1935 fu assunta la gestione di tutte le case economiche municipali, ma nel frattempo erano stati stipulati accordi per ottenere il conferimento di alcuni gruppi.38 Inoltre negli anni preceden- ti erano state rilevate le palazzine della Società torinese per le abitazioni popolari (Stap) e i villini costruiti a Mirafiori dall’Ente nazionale Città- giardino, dato che entrambe le istituzioni erano state poste in liquidazione a causa di crescenti difficoltà finanziarie. Al contempo era stato possibile annettere anche le proprietà dell’Istituto per le case economiche, promosso ai sensi del decreto 15 luglio 1923, n. 1714.39 Tra le più celebri realizza- zioni di quest’ultimo primeggiava l’imponente edificio in stile razionalista di corso Re Umberto, presso cui l’Istituto per le case popolari sistemò la propria sede, essendo divenuti insufficienti gli spazi che erano stati affittati in via Pietro Micca dopo aver lasciato l’ufficio concesso gratuitamente nel Palazzo civico all’atto della fondazione.40 Ad agevolare le transizioni per l’acquisizione delle case economiche municipali era intervenuta la legge 6 36. La visita delle autorità al nuovo gruppo delle case popolari di Torino, in «La mia casa», marzo 1930, pp. 13-15; Istituto per case popolari di Torino. Comunicati ufficiali, ivi, luglio 1931. Alberto Abriani, Edilizia pubblica a Torino 1919-36, in Torino 1920-1936. So-
cietà e cultura tra sviluppo industriale e capitalismo, Torino, Progetto, 1976, pp. 66 sgg.
37. Case economiche municipali di Torino, in «Torino», 3-4 (1927), pp. 43-52. 38. ASIACPT, VCA, 25-2-1929/12-7-1939, Verbali cda 21 dicembre 1933; 28 dicem-
bre 1934; 1 marzo, 29 luglio 1935; 23 dicembre 1936; 28 luglio 1937.
39. ASIACPT, VCA, 11-1924-1928, Verbali cda 5 marzo, 30 luglio 1924; 15 marzo
1926; 1 febbraio 1928; ivi, 25-2-1929/12-7-1939, 23 luglio, 23 aprile, 15 ottobre 1929; 22 maggio, 10 dicembre 1931; 14 aprile 1933.
40. Ivi, 25-2-1929/12-7-1939, Verbale cda 23 gennaio 1930. Agostino Magnaghi, Mariolina Monge, Luciano Re, Guida all’architettura moderna di Torino, Torino, Lindau, 2006, p. 121.
giugno 1935, n. 1129, che, oltre a prevedere la facoltà di assorbire gli esiti della municipalizzazione, trasformava gli istituti per le case popolari in enti autonomi provinciali, riuniti in un consorzio nazionale alle dipendenze del Ministero dei Lavori pubblici. La sfera di competenza territoriale attribuita tendeva a spezzare quel rapporto sinergico, talora ai limiti della simbiosi, instauratosi tra amministrazioni civiche e istituti per le case popolari, in- cardinando questi ultimi nella maglia dell’organizzazione statale. Gli enti per l’edilizia popolare assurgevano al ruolo di interlocutori privilegiati del potere centrale, per altro in un ambito di azione coincidente con quello deferito all’autorità prefettizia.41 La riforma legislativa aveva dunque se- gnato un netto spostamento di contenuti dal sistema permeato di istanze ispirate all’autonomia comunale alle esigenze di centralizzazione ammini- strativa rielaborate in seno alla parabola dell’autarchia. L’introduzione di tali postulati chiariva l’indirizzo verso cui il regime intendeva incanalare tali esperienze: nel 1937 il Consiglio di Stato riconobbe negli istituti per le case popolari le peculiarità degli enti di diritto pubblico, sciogliendo in parte il dissidio talora generato dall’incontro tra pubblico e privato sino ad allora reso inevitabile dall’emergenza abitativa.42
In coerenza con il ruolo di controllo e coordinamento assegnato, l’Isti- tuto torinese aveva accolto nel 1929 l’offerta di collaborazione avanzata dalla rivista «La mia casa», divenuta così «Organo dell’Istituto per le case popolari e dell’Istituto per le case economiche».43 Si trattava di una testata di economia domestica consacrata ai principi del fascismo, sulle cui pagine