Green biotech
La posizione degli Stati membri dell’Unione Europea sull’introduzione di piante geneticamente modificate in agricoltura resta ampiamente contradditoria e orientata a un diffuso ostracismo: tredici Stati hanno adottato strumenti giuridici che ne decretano, di fatto, la proibizione.
In questi anni sono state tuttavia sviluppate numerose e approfondite ricerche per verificare le condizioni di coesistenza tra le colture convenzionali e quelle derivate dalle moderne tecniche di trasformazione genetica. Sulla base delle evidenze raccolte, sono stati sviluppati protocolli di coesistenza nell’intento di tradurre in pratica, e rendere reciprocamente compatibili diverse forme di agricoltura.
Ciò nonostante, il 2012 vede l’Europa tenere ancora ai margini le tecnologie e le colture OGM, a dispetto dell’evidenza della loro applicabilità e praticabilità.
Anche l’Italia è schierata sul fronte del no, e se i toni
propagandistici che hanno alimentato una cultura del sospetto in fatto di sicurezza per la salute e per l’ambiente si sono andati attenuando nel tempo, altre considerazioni di natura più prettamente economica sono rimaste in prima linea.
Tali considerazioni non solo sono state fatte proprie da quelle organizzazioni da sempre avverse all’innovazione in campo agricolo, ma sono state anche tradotte dalle istituzioni in una legislazione e in una pratica amministrativa che non lascia ormai spazio nemmeno alla sperimentazione.
L’argomento sotteso a questo atteggiamento è che l’agricoltura italiana, basata su prodotti tipici e di qualità, non ha bisogno dell’innovazione che origina dagli OGM, e può tranquillamente continuare a utilizzare le pratiche agronomiche abituali, senza investire nella selezione e nel miglioramento genetico delle varietà tradizionali.
Il dibattito si è comunque focalizzato sulle grandi colture che in questi anni sono state protagoniste dello sviluppo biotecnologico: il mais e la soia, in particolare, per il loro ruolo nell’alimentazione zootecnica. Solo marginalmente è stato coinvolto il settore delle colture arboree e della vite.
Se da una parte è evidente il ruolo che queste hanno nelle
La ricerca italiana nel miglioramento genetico di varietà
Capitolo 6
vantaggi dalla vicinanza con realtà imprenditoriali simili o complementari, con le quali possono condividere strutture e servizi.
Gli investimenti in R&S riferiti all’anno contabile 2010 sono stimati in € 111 milioni, con un aumento - a campioni omogenei - di € 27 milioni rispetto
Melo Sono stati ottenuti importanti risultati sperimentali nel miglioramento della resistenza alla ticchiolatura, malattia fungina la cui gestione comporta il ricorso a numerosi e costosi trattamenti fungicidi
Vite Sono state sperimentate tecniche per il miglioramento della resistenza alle malattie virali, e per la selezione di varietà di uve apirene (senza semi), caratteristica molto apprezzata dai consumatori
Agrumi Sono state sperimentate con successo tecniche per migliorare la resistenza alle malattie fungine, così come le caratteristiche vegetative dei portinnesti Kiwi Le tecniche di miglioramento genetico sperimentate attengono al
miglioramento della resistenza alla muffa grigia, e la radicazione della pianta Albicocco e susino Sono state sperimentate tecniche per migliorare la resistenza alle
infezioni virali
Ciliegio Le tecniche di miglioramento genetico sperimentate attengono alla possibilità di ottenere piante con sviluppo vegetativo più compatto Fragola e lampone Sono state sperimentate tecniche per migliorare la fertilità della pianta e
il peso dei frutti Tabella 6.2
Miglioramento genetico nelle principali piante da frutto 42%
10%
48%
Figura 6.4
Analisi per localizzazione, imprese green biotech (Fonte: elaborazioni Ernst & Young)
n Sede autonoma n Università/Istituti di ricerca n Parco scientifico o incubatore
56%
37%
7%
Figura 6.5
Analisi investimenti in R&S per tipologia, imprese green biotech (Fonte: elaborazioni Ernst & Young)
n Pure biotech italiana n Altra biotech italiana n Multinazionale con sede in Italia
al 2009; tale aumento è in larga parte dovuto agli importanti investimenti di una singola multinazionale.
Ancora una volta, infatti, sono le multinazionali con sede in Italia a coprire la quota maggiore degli investimenti in R&S (56%), seguite dalle pure biotech (37%) e dalle altre biotech italiane (7%) (Figura 6.5).
White biotech
Le biotecnologie industriali attengono all’uso dei moderni metodi biotecnologici per la lavorazione e la produzione di prodotti chimici, materiali e carburanti, incluse le tecnologie di bioremediation applicate all’ambiente.
L’ampia e diretta applicabilità di queste tecnologie accresce l’interesse per un settore potenzialmente trainante
per l’affermarsi di modelli di sviluppo industriale ecosostenibili.
Rispetto al campione del Rapporto 2011, il numero di imprese white biotech è cresciuto di 5 unità, per un totale di 54 imprese (Tabella 7.1).
A fronte di 4 imprese di nuova costituzione e di 3 che, nel corso del periodo in esame,
Le biotecnologie industriali utilizzano enzimi e micro-organismi per sviluppare bioprodotti in settori diversi quali, tra gli altri, quelli chimico, cartario, tessile e della bioenergia. L’utilizzo di materie prime rinnovabili costituisce, infatti, uno degli approcci più innovativi e promettenti per ridurre le emissioni di gas serra.
Le tecnologie white consentono inoltre di migliorare le rese dei processi industriali e il valore stesso della produzione, con considerevoli vantaggi in termini economici e di tutela ambientale.
Stime OCSE prevedono che, nel 2030, le biotecnologie industriali e agro-alimentari, nel loro complesso, varranno per il 75% del valore aggiunto lordo del settore biotecnologico.
Tabella 7.1
Dati di sintesi settore white biotech, dettaglio imprese OCSE e pure biotech (Fonte: elaborazioni Ernst & Young)
* I dati sono stati modificati per rendere i campioni confrontabili.
White biotech Rapporto 2011* Rapporto 2012
Totale Pure biotech Totale Pure biotech
Numero imprese 49 35 54 40
Fatturato € 130 milioni € 127 milioni € 161 milioni € 157 milioni
Investimenti in R&S € 22 milioni € 20 milioni € 28 milioni € 25 milioni
Numero addetti in R&S 430 405 456 430
hanno esteso il loro business al white, si devono considerare 2 imprese non più attive nel settore.
Un’ulteriore analisi ci ha consentito di individuare 6 imprese già attive in campo white che, per omogeneità di confronto, sono state aggiunte al campione 2011.
Nel complesso, la maggioranza delle
7 Capitolo 7
imprese che fanno biotecnologie industriali è costituita da imprese pure biotech (74 %), seguite da altre biotech italiane (26%) e da un’unica multinazionale con sede in Italia, che ha fatto del white il proprio core business.
La percentuale di imprese multi core attive nell’ambito delle biotecnologie industriali è invece del 37%.
Alle pure biotech italiane è riconducibile la quasi totalità del fatturato white, che ha raggiunto € 161 milioni, con un incremento di € 31 milioni sul risultato 2009; tale aumento origina dalla crescita dei ricavi (24%) di una singola pure biotech di media dimensione.
La larghissima maggioranza delle aziende white (87 %) rientra per dimensione nelle
3%
Figura 7.1
Analisi per dimensione, imprese white biotech (Fonte: elaborazioni Ernst & Young)
10%
54% 33%
n Grande n Media n Piccola n Micro
Figura 7.2
Analisi per origine, imprese white biotech (Fonte: elaborazioni Ernst & Young)
7%
19%
3%
52%
17%
2%
n Start-up n Spin-off n Filiale di multinazionale o spin-out industriale n Spin-off accademico n Altro
Figura 7.3
Analisi per localizzazione, imprese white biotech (Fonte: elaborazioni Ernst & Young)
12%
54%
34%
n Sede autonoma n Università/Istituti di ricerca n Parco scientifico o incubatore
categorie delle micro e delle piccole imprese (Figura 7.1).
Come logico aspettarsi, poiché il settore white è costituito per la quasi totalità da imprese pure biotech, tale percentuale é ancora più alta di quella dei comparti red e green.
Coerentemente con l’aumento del numero delle imprese, cresce anche il numero degli addetti in R&S, che ammonta a 456 unità. Gli addetti impiegati in R&S rappresentano il 21% del totale degli addetti delle imprese white biotech.
A conferma del fatto che il settore delle biotecnologie industriali presenta le caratteristiche strutturali tipiche dell’intero comparto biotech, il 52 % delle imprese white origina da start-up, il 19 % da spin-off
accademici e il 7% da spin-off o spin-out industriali (Figura 7.2).
Il 54% delle imprese white biotech ha sede autonoma, il 34% opera all’interno di parchi scientifici o incubatori, e il 12% presso università o istituti di ricerca (Figura 7.3).
Quanto alla localizzazione geografica, le regioni che ospitano il maggior numero di imprese white biotech sono, anche quest’anno, la Lombardia (14) e il Piemonte (11).
Gli investimenti in R&S riferiti all’anno contabile 2010 sono stimati in € 28 milioni, con un incremento - a campioni omogenei - di € 6 milioni sul risultato 2009. Tali investimenti sono stati quasi totalmente sostenuti (91%) dalle imprese pure biotech.
Molte delle nostre pure biotech sono localizzate all’interno di Parchi Scientifici e Tecnologici (PST).
Favorendo lo sviluppo di autentici poli di aggregazione tra operatori della ricerca, imprese e investitori, i PST italiani garantiscono alle aziende incubate un network di eccellenza, servizi di consulenza in ambiti diversi e attività di promozione e supporto per finalità di fundraising, e agiscono così da intermediari tra la domanda di competenze e l’offerta di innovazione e risorse finanziarie.
come soggetto in grado di offrire servizi di consulenza in ambiti diversi (legale, fiscale, marketing, partnering, proprietà intellettuale, risorse umane, ecc.), e attività di supporto e promozione delle imprese incubate per finalità di fundraising.
Anche i PST italiani si sono, infatti, dotati di un vasto e articolato network, così che le imprese incubate riescono a entrare facilmente in contatto tra loro, e con i possibili investitori, nazionali e internazionali.
Questo approccio, fondato sulla possibilità di condividere e scambiare risorse, è assolutamente vincente per quelle imprese che operano in settori globali e altamente competitivi, il cui sviluppo è legato a progetti a elevato contenuto di innovazione, e il cui esito è spesso condizionato dalla mancanza della massa critica e dei mezzi necessari. Non è un caso, quindi, che le imprese biotech rappresentino un numero importante delle imprese presenti all’interno dei PST italiani. Generalmente, si tratta di start-up che non dispongono ancora delle risorse strutturali, organizzative e finanziarie per portare avanti in autonomia i propri progetti. Negli ultimi anni, tuttavia,
anche alcune multinazionali con sede in Italia hanno mostrato interesse ai distretti tecnologici, nei quali vedono un’opportunità di investimento per poter creare sinergie e integrazione tra realtà diverse ma complementari.
I parchi agiscono perciò da intermediari tra la domanda di competenze e risorse non disponibili in-house da parte delle imprese incubate, e l’offerta di innovazione e risorse finanziarie da parte, rispettivamente, di centri di ricerca e investitori. I parchi sono inoltre al centro di una radicale evoluzione nel criterio di allocazione dei finanziamenti pubblici: messa da parte la logica degli interventi “a pioggia”, si guarda alle esigenze delle imprese e alla qualità dei loro progetti. In modo analogo, è proprio lo stretto rapporto con il mondo delle imprese che consente ai PST di orientare l’investitore privato nella scelta dell’azienda su cui investire, o di farsi portavoce delle problematiche delle imprese incubate in sede istituzionale.
In Italia si contano una trentina di PST, le cui dimensioni non sono tuttavia paragonabili a quelle dei parchi attivi in altri paesi.
Parchi Scientifici e Tecnologici
I Parchi Scientifici e Tecnologici (PST), nati con lo scopo di fornire una gamma di attività di supporto alle imprese innovative che operano nei settori hi-tech, rappresentano una realtà importante e davvero unica per lo sviluppo e la crescita di un territorio.
Essi favoriscono, infatti, la creazione di autentici poli di innovazione dedicati alla R&S, soprattutto in ambito Life Science, generando occupazione e opportunità di crescita economica. Ideati per connettere gli interessi dell’industria a quelli della ricerca mediante la localizzazione delle imprese incubate in uno specifico distretto geografico, essi hanno sempre più avvicinato le possibilità di sviluppo territoriale a quelle di sviluppo settoriale.
In Italia, un numero rilevante di imprese localizzate all’interno di Parchi Scientifici e Tecnologici sono imprese biotech. Tali realtà, spesso di micro o piccola dimensione, cercano forme di collaborazione con altre imprese per usufruire di piattaforme tecnologiche, competenze e professionalità esterne, necessarie a sostenere il loro sviluppo.
Da qui il ruolo dei PST sia come sistema per creare una rete di collaborazioni, sia
8 Capitolo 8
Parco Scientifico Tecnologico - Incubatore Imprese, enti di ricerca, consorzi
Sardegna ricerche (Cagliari) 30
Bio Industry Park Silvano Fumero (Ivrea) 28
AREA Science Park (Trieste) 27
Parco Tecnologico Padano (Lodi) 14
Toscana Life Sciences (Siena) 13
Parco Scientifico Romano (Roma) 6
Parco ScientificoTecnologico della Sicilia - PSTS (Catania) 5
Parco Scientifico Tecnologico Luigi Danieli (Udine) 4
Pont-tech (Pisa) 2
Totale 129
1. Nella Tabella 8.1 si contano due unità in più, poiché due delle imprese considerate hanno più laboratori, distaccati e
incubati in parchi diversi.
2. Ai fini della nostra stima, non si sono considerate le imprese con sede autonoma, che hanno laboratori che operano all’interno dei PST, non essendo possibile scomporre il fatturato da loro generato.
I parchi più importanti, in termini di numero di imprese e network, sono una quindicina e, come si è visto nel capitolo 5, si nota una certa correlazione tra la localizzazione geografica dei parchi più importanti e la concentrazione delle imprese red biotech di micro o piccola dimensione.
All’interno dei PST italiani operano complessivamente 127 tra imprese, enti di ricerca e consorzi attivi in ambito Life Science (Tabella 8.1)1. Selezionando le imprese che operano nei PST italiani in base alla definizione Ernst & Young di impresa biotech, è stato possibile individuare 113 aziende, per un fatturato complessivo di circa € 87 milioni2, investimenti in R&S per € 147 milioni, e
Tabella 8.1
Numero di imprese biotech localizzate presso PST o Incubatori (Fonte: elaborazioni Ernst & Young)
un numero di addetti in R&S superiore alle 600 unità. Si tratta di realtà piccole, ancora in fase di avviamento, ma con una pipeline di prodotti ad alto potenziale.
Per sfruttare pienamente le potenzialità del sistema, 14 PST italiani e le Agenzie Regionali, con il supporto delle rispettive Associazioni di Categoria, Assobiotec e APSTI (Associazione Parchi Scientifici e Tecnologici Italiani), hanno dato vita a Italian Bioparks, un tavolo di condivisione, confronto e lavoro sui grandi temi che attengono allo sviluppo del settore delle biotecnologie, con particolare attenzione alle esigenze delle piccole imprese innovative che caratterizzano questo settore.
All’iniziativa Italian Bioparks hanno aderito:
• AREA Science Park
• Bioindustry Park Silvano Fumero
• Campania Innovazione
• Consorzio Technapoli
• Fondazione Filarete
• Friuli Innovazione
• Metapontum Agrobios
• Parco Scientifico Romano
• Parco Scientifico Tecnologico della Sicilia
• Parco Tecnologico Padano
• Pont-Tech
• Sardegna Ricerche
• Toscana Life Sciences
• Vega Park
Il ranking dei cluster territoriali e dei Parchi, il supporto allo sviluppo internazionale delle imprese, l’erogazione di servizi avanzati in modo condiviso, la creazione di percorsi di sviluppo imprenditoriale, sono solo alcuni dei temi discussi e affrontati. Italian Bioparks si adopera per supportare lo sviluppo di aggregazioni territoriali anche multi regionali, affinché il pieno sfruttamento delle risorse possa sopperire ad alcuni dei limiti di sistema del contesto italiano, e per favorire l’internazionalizzazione delle proprie imprese: perché queste possano cogliere le opportunità di maggiore interesse, e competere al meglio in un mercato globale quale quello delle scienze della vita.
Il confronto dei dati italiani con quelli elaborati a livello europeo, evidenzia come l’Italia sia uno dei quattro paesi nei quali si osserva un aumento del numero delle imprese pure biotech. Questo è riconducibile alla crescita nel volume degli investimenti di VC, quasi raddoppiati nell’ultimo biennio. Quanto agli accordi di alleanza strategica con altre imprese del settore, il loro valore complessivo a livello europeo è diminuito, anche se più di un terzo delle pure biotech italiane persegue opportunità di co-development e di out-licensing.
Confronto internazionale
Anche il Rapporto 2012 si chiude con un’analisi dei principali indicatori finanziari che caratterizzano il settore biotech nei vari paesi europei. Questo confronto è indispensabile per riuscire a capire come si posizionino le biotecnologie italiane all’interno dello scenario europeo.
Per realizzare questo benchmark, sono stati utilizzati i dati raccolti dal Centro Studi internazionale sulle biotecnologie di Ernst & Young che, ogni anno, predispone
“Beyond borders”, un rapporto che fotografa lo stato del settore a livello europeo. Ciò che permette di confrontare i dati raccolti in Italia con quelli elaborati in “Beyond borders”, è l’utilizzo della definizione Ernst & Young di impresa biotech.
Come è emerso dall’analisi illustrata nei capitoli precedenti, il biotech italiano è stato caratterizzato negli ultimi anni da una crescita costante.
Italia Regno Unito
Germania Francia Svezia Svizzera Spagna Olanda Danimarca
Figura 9.1
Analisi del numero di imprese pure biotech nei principali paesi europei, confronto anni 2010 e 2011 (Fonte: elaborazioni Ernst & Young) 450
400 350 300 250 200 150 100 50 0
n 2010 n 2011
106 113 98 98 91 95 91 90
402 397
284 282
242 248
181 186
139 136
9 Capitolo 9
Tale trend viene confermato dai dati analizzati quest’anno, per il quale si osserva un aumento del numero delle imprese pure biotech, passato da 242 nel 2010 a 248 nel 2011. Va inoltre sottolineato come gli unici paesi in cui si è osservato un aumento del numero delle pure biotech siano l’Italia, la Francia, la Svizzera e i Paesi Bassi e, come a livello europeo, l’Italia si posizioni al terzo posto per numero di imprese, dopo la Germania e il Regno Unito (Figura 9.1).
La crescita del mercato in termini di numero di imprese è sicuramente riconducibile all’aumentato volume dei finanziamenti da Venture Capital (VC), una delle fonti non istituzionali più importanti per settori in forte espansione quale quello delle biotecnologie, anche in
considerazione del ruolo fondamentale che questi investitori di Private Equity (PE) svolgono nel consolidare l’innovazione in nuove iniziative imprenditoriali.
L’Italia ha visto aumentare notevolmente i finanziamenti da VC, passando da € 9 milioni nel 2010 a € 20 milioni nel 2011 (Figura 9.2). Questo risultato, anche se incoraggiante per la crescita del biotech italiano, evidenzia ancora una spiccata debolezza rispetto a quello di altri paesi europei, primi tra i quali Regno Unito, Svizzera e Danimarca. A livello europeo, infatti, l’Italia è solo undicesima, dopo economie come quelle del Belgio e dell’Austria. È anche vero, tuttavia, che paesi come la Germania e la Francia, storicamente tra i più attivi nell’accedere a questo tipo investimenti, hanno registrato
Danimarca Svizzera
Regno Unito Olanda Germania Spagna Svezia Belgio Francia Italia Austria
300 250 200 150 100 50 0
n 2010 € mln n 2011 € mln Figura 9.2
Analisi finanziamenti da VC ottenuti dalle imprese pure biotech nei principali paesi europei, anni 2010-2011 (Fonte: elaborazioni Ernst & Young)
un autentico crollo dei finanziamenti da VC. Ciò avvalora ancora di più la bontà del risultato conseguito dalle nostre imprese.
Un’altra forma di finanziamento molto importante per le aziende pure biotech è legata alla possibilità di stabilire alleanze strategiche con altre imprese del settore.
Già abbiamo detto che le attività di R&S delle imprese pure sono soprattutto focalizzate sui primi stadi della catena del valore: discovery, sviluppo preclinico e prime fasi di sviluppo clinico.
Questo, con l’obiettivo di gestire i successivi studi registrativi nell’ambito di accordi di licenza o di cessione di brevetto, con partner industriali che dispongono delle risorse organizzative e finanziare necessarie per completare il processo di sviluppo del farmaco e assicurarne
Confronto internazionale
l’immissione in commercio. Tale strategia di business trova conferma nei dati rilevati attraverso il nostro questionario.
Da questi dati si evince che circa il 35%
delle pure biotech è orientata a forme di co-development e di co-promotion, mentre oltre il 20% all’out-licensing.
La Figura 9.3 confronta i valori complessivi degli accordi di alleanza strategica raggiunti dalle pure biotech europee - rispettivamente, con aziende pure, aziende farmaceutiche, e altre biotech - per gli anni 2009, 2010 e 2011.
Quello che ne emerge è che nel 2011 il valore complessivo di tali accordi è diminuito, portandosi al di sotto del dato 2009. Il trend europeo trova riscontro anche nella realtà delle pure biotech italiane, così come confermato dall’analisi dei questionari raccolti, dai quali si evince che, nell’anno in esame, solo il 15% delle imprese intervistate ha dichiarato di avere stabilito nuove alleanze, anche se il 39%
delle aziende considera tale possibilità come molto probabile per il futuro.
Nella Tabella 9.1 sono elencati i principali accordi di alleanza strategica che hanno riguardato imprese pure biotech italiane nel 2011, con una breve descrizione dell’oggetto della collaborazione stessa.
Va detto che il 2011 ha visto fallire un certo numero di accordi, prima che i relativi progetti di ricerca si fossero conclusi. Anche se molti di questi sono stati rinegoziati e portati avanti - a volte con imprese diverse da quelle inizialmente coinvolte - è giusto ricordare quanto sia
importante selezionare il partner giusto non solo sotto il profilo tecnico-scientifico ma anche in termini di equilibrio
negoziale. Gli accordi rappresentano una formidabile opportunità di crescita perché mettono in comune passione, valori ed energie, generando inoltre un flusso di capitali e di conoscenze.
Proprio per le energie utilizzate, il non auspicato caso del fallimento dell’accordo lascia il segno in termini sia di perdite economiche sia di divulgazione di know-how.
A livello europeo resta inoltre attuale l’attività di M&A anche se con una flessione, in termini di valore complessivo degli accordi, rispetto al 2010.
Tuttavia, analizzando il dato, è possibile rilevare un trend decisamente crescente del valore complessivo degli accordi tra imprese biotech, valore che, nel triennio analizzato, passa da € 842 milioni a
€ 2.124 milioni.
Studi recenti hanno evidenziato come, nel 2011, il capitale derivante da operazioni di M&A abbia superato quello raccolto da investimenti di VC. Pur trattandosi di un trend ovviamente non sostenibile nel lungo periodo, il dato mette in evidenza lo straordinario valore delle operazioni di M&A finalizzate in ambito biotech nel 2011.
Mentre a livello europeo si prevede una crescita del numero di operazioni di M&A anche per il 2012, tale forma di finanziamento non sembra rientrare, stando alle opinioni raccolte con il nostro questionario, tra le opzioni prioritarie delle pure biotech italiane.
Figura 9.3
Valori delle alleanze nell’industria biotech in Europa.
Valori in milioni di Euro (Fonte: elaborazioni Ernst & Young)
n Biotech-biotech n Pharma-biotech n Other-biotech 12.000
10.000 8.000 6.000 4.000 2.000 0
6.000 5.000 4.000 3.000 2.000 1.000 0
2010
2010
2011
2011 2009
2009 Figura 9.4
Valore M&A nell’industria biotech. Valori in milioni di Euro (Fonte: elaborazioni Ernst & Young)
n Biotech-biotech n Pharma-biotech n Other-biotech