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Ricerca stilistica e scelte personal

Tecla: un’evocazione visuale in tre bozzetti di una città invisibile di Italo Calvino* Benedetta Tramontano

Accademia di Belle Arti di Napoli

È sicuramente difficile ricreare e plasmare le idee che si formano in qualche parte remota della mente durante una lettura. Ancor più lo è quando il libro che si ha fra le mani è Le città invisibili (1972) di Italo Calvino, dove metropoli immaginarie – descritte da un transepocale Marco Polo – si susseguono, eccitando di continuo la fantasia del lettore. In questo mio lavoro ho tentato di rendere “visibile” “l’invisibile” Tecla: la città-cantiere. L’ho fatto in una prospettiva del tutto soggettiva e dunque rinunciando in partenza a qualsiasi (improbabile) pretesa meramente rappresentativa. Il processo creativo ha attraversato diverse fasi, nel corso delle quali ho toccato con mano e preso coscienza di nozioni e problematiche che precedentemente non vedevo o osservavo impaurita soltanto da lontano.

Ho scelto di soffermarmi sulla parte più artistica e libera del lavoro scenografico: la realizzazione dei bozzetti. Il primo approccio è stato caratterizzato da una fase centrata esclusivamente su schizzi molto essenziali, necessari a mettere in chiaro i miei pensieri, per giungere in seguito alla realizzazione di una sorta di storyboard che mi ha consentito di visualizzare Tecla attraverso una serie di disegni preparatori in sequenza, i quali – a loro volta – hanno rappresentato la base per la sintesi delle diverse inquadrature, la scelta dei colori da utilizzare e la definizione dell’aspetto da far assumere alla città nella sua interezza. (figg.1, 2).

Era diventato un po’ come un diario che seguiva i miei umori e le mie riflessioni; tutto finiva per trasformarsi in immagini di città: i libri che leggevo, le esposizioni d’arte che visitavo, le discussioni con gli amici.1

Queste parole di Calvino, tratte dalla Presentazione, descrivono una metodologia simile a quella da me usata per la creazione dei miei disegni di Tecla. Ho tracciato, con tratto forte e deciso – prima nella mia mente e poi sul foglio –, in maniera del tutto astratta e quasi impulsiva, la veduta della mia città- cantiere (Tecla, appunto),2 seguendo e affidandomi all’istintività della fantasia, lasciandomi libera di vedere e percepire dentro di me i mille aspetti dell’invisibile.

Il mio personale intento è stato quello di ricreare in uno spazio aperto il cantiere in continua evoluzione, vissuto e contemporaneamente senza tempo, ponendovi al suo interno strutture e macchinari che non fossero riconducibili a un’epoca precisa, ma anzi suscitassero fascino e curiosità nell’osservatore proprio per la loro indeterminatezza storico-temporale.

* Estratto dalla tesi di laurea triennale in Scenografia intitolata: Costruire città invisibili. La città e il cielo: Tecla, Accademia

di Belle Arti di Napoli, 2020. Relatrice: Nera Prota, che voglio qui ringraziare per avermi tenacemente esortato e pazientemente guidato a “conoscere me stessa” attraverso l’esercizio della “mano libera”.

1 I. Calvino, Presentazione, in Id., Le città invisibili, Mondadori, Milano, 20167, p. VI. 2 Cfr. Id., Le città e il cielo. 3., ivi, p. 124.

La storia con i suoi grandi artisti e ingegneri mi è stata di aiuto. In particolare, non potevo ignorare il lascito di Leonardo Da Vinci. I suoi disegni, realizzati proprio per creare macchinari da cantiere e raccolti qualche anno fa in un libro,3 mi sono stati di non poco aiuto nella fase iniziale del mio lavoro: una fase di sicuro connotata in senso più artistico che progettuale. Così come non potevo non rimanere affascinata dagli schizzi veloci e immediati di Giovanni Battista Piranesi, dalle sue ciclopiche ricostruzioni storiche e fantastiche: sollecitazioni preziose per stimolare l’immaginazione e indirizzarla verso qualcosa di nuovo e personale (figg. 3, 4, 5, 6, 7).

In questo mio lavoro ho voluto enfatizzare la curiosità e la suggestione del paesaggio, ricercandole non soltanto attraverso la selezione della prospettiva visuale, ma anche e soprattutto attraverso la tecnica di colorazione e la tavolozza cromatica prescelte. Ogni bozzetto – in totale tre – presenta un punto di vista coincidente con l’occhio di un visitatore immaginario. Nel primo e nel secondo ho voluto instaurare un contatto più stretto e ravvicinato tra la città-cantiere e il presunto ospite, offrendogli la possibilità di scoprire Tecla, non con spavalderia ma con quasi timorosa cautela: la stessa di chi guarda incuriosito, ma di nascosto, qualcosa di affascinante e stupefacente (figg. 8, 9).

Richiesto e atteso dal Marco Polo calviniano in visita, il progetto architettonico – che giustifica l’esistenza e anche il fine dell’enorme agglomerato di impalcature –, con il calar del sole e l’incombere della notte, si svelerà essere la realizzazione del cantiere stesso, senz’altro scopo se non quello di stagliarsi sullo sfondo di un cielo stellato sconfinato, mozzafiato. Questa apparizione conclusiva mi ha spinto a concepire, per il terzo bozzetto, un punto di vista più ampio, aperto sulla notte bagnata dalla luce degli astri (fig. 10).

Come ho già detto, l’atmosfera che ho cercato di creare è frutto anche del tipo di tecnica, di disegno e di colorazione utilizzati. Ogni città nel libro appartiene a una categoria. Tecla rientra in quella indicata come le città e il cielo. Non a caso, quindi, tutti e tre i bozzetti condividono l’effetto di controluce, la soluzione – a mio avviso – più adatta per porre l’attenzione sull’unico elemento configurato (pur nella sua infinità), svettante sull’incompiutezza della città: il cielo. Questa scelta è in un certo senso confortata dalle parole stesse di Calvino, quando fa dire al narratore: «Il lavoro cessa al tramonto. Scende la notte sul cantiere».4 Quando il giorno è finito, la città non è più gremita di operai affaccendanti nei più disparati

compiti: riposa muta nel buio trapuntato di piccole luci. Ed è proprio la notte il momento più importante, l’ora in cui la realtà lascia spazio al sogno e all’immaginazione: l’ora in cui l’invisibile diventa visibile. Dopo il tramonto, sulle terrazze della reggia, Marco Polo esponeva al sovrano le risultanze delle sue ambascerie. D’abitudine il Gran Kan terminava le sue sere assaporando a occhi socchiusi questi racconti finché il suo primo sbadiglio non dava il segnale al corteo dei paggi d’accendere le fiaccole per guidare il sovrano al Padiglione dell'Augusto Sonno.5

Ho tentato, inoltre, di ricreare attraverso i colori un’atmosfera sognante; nello specifico con l’uso dell’acquerello e dei suoi toni pastello, ben visibili anche grazie al formato scelto (50x70), che mi ha consentito di avere spazio sufficiente per la realizzazione di dettagli e particolari. La decisione connessa

3 Cfr. L. da Vinci, Tirari e alzari. Macchine da cantiere, a cura di A. Neuwahl e A. Bernardoni., Ubi Maior, Loro Ciuffenna

(Ar), 2014.

4 I. Calvino, op. cit., p. 124. 5 Ivi, p. 85.

di adoperare la china mi ha dato la possibilità di realizzare grandi giochi chiaroscurali di ombre e sprazzi di luce, esaltando gli elementi più vicini e facendo sprofondare nell’orizzonte quelli più lontani.

Da un punto di vista strettamente progettuale, per la realizzazione di pianta, prospetto (scala 1:200) e sviluppo di un particolare (scala 1:50), la decisione di non utilizzare Autocad è stata puramente estetica, dettata da un mio gusto personale. Contro la staticità e la freddezza del disegno tecnico-digitale, ho ritenuto che la natura emozionale e fascinosa (per chi lo fa e chi lo guarda) del bozzetto fosse più in sintonia con lo stile visionario che mi proponevo di realizzare e che peraltro il libro di Calvino sembra confermare nel suo insieme (figg. 11, 12).

Figura 1.

Figura 2.

Figure 3. 4. e 5. Disegni di Leonardo Da Vinci

Figure 6. e 7.

Figura 8.

Figura 9.

Figura 10.

Figura 11.

Figura 12.

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