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Il riconoscimento giuridico e morale come precondizione al terzo riconoscimento.

3. Il terzo stadio del riconoscimento

3.1. Il riconoscimento giuridico e morale come precondizione al terzo riconoscimento.

L’analisi che qui affronteremo chiarirà il motivo per il quale abbiamo escluso, nel terzo riconoscimento, lo schema fin qui adottato nei due riconoscimenti precedenti. Tenendo fede all’ultima grande opera Il diritto della

libertà, ci proponiamo di presentare il terzo riconoscimento della “volontà

democratica” come successivo di un riconoscimento giuridico e morale che fanno da architrave a questo terzo stadio.

Il riconoscimento giuridico secondo la ricostruzione che Honneth svolge si muove su due fronti. Uno è quello della proprietà privata, l’altro sugli esempi dei già citati diritti soggettivi.

Per quanto concerne la proprietà privata Honneth la vede come Hegel, ovvero come una forma oggettiva e materiale di come il cittadino possa cogliersi come persona giuridica75. “Questo è mio” dà infatti un riconoscimento pratico alla

volontà del singolo all’interno dell’astrazione del diritto cui tutti facciamo

riferimento, di modo che gli individui possano averne una prova fisica e materiale. Al tempo stesso la vede come Marx, ovvero come metodo coercitivo del sistema-mercato “per soddisfare le crescenti necessità del sistema economico capitalistico” 76. Eppure nell’evoluzione storica che Honneth ci presenta, egli ci

informa anche dell’evoluzioni che questo genere di riconoscimento ha avuto. Oltre alla proprietà privata infatti, anche i diritti soggettivi vanno in questa direzione. Il diritto di parola, di fede, di espressione delle proprie preferenze sessuali ecc. sono tutti diritti volti alla tutela del singolo. Abbiamo già visto alcuni limiti in merito. Qui è ora importante comprendere che tali diritti insorgono all’interno di quella libertà che Honneth definisce come negativa. Di fatto ci sono spazi che lo Stato, come rappresentate del bene comune, assicura ai singoli come luoghi di approfondimento e meditazione in cui sviluppare la propria autonomia morale e decisionale. Questi diritti però, lo abbiamo detto, non garantiscono l’effettività di queste “riflessioni” su livello pratico. Cioè non dicono nulla sulla loro realtà. Per esempio, posso ragionare sulla mia presunta fede cristiana perché il diritto me lo riconosce, ma la comprendo solo praticandola: santificando la

75 Cfr., Ivi, p.91.

domenica, con la partecipazione a ritiri spirituali, nella pratica della confessione, insomma sulla base di un tessuto pratico-sociale effettivo. Questo significa che solo nel campo sociale posso mettere in pratica le mie volontà morali e realizzarle, non nella riflessione che lo Stato mi garantisce favorendomi un ritiro in un luogo privato mediante l’astrazione giuridica.

I diritti soggettivi come quelli liberali e sociali garantiscono diritti esclusivamente al singolo, come d’altronde anche quelli politici. La discriminante però sta nel fatto che i diritti politici, a differenza degli altri due, hanno un aspetto che li rende unici nel loro genere. Honneth qui è molto chiaro. Mentre nei diritti liberali e sociali c’è come una barriera invisibile che delimita e permette al singolo individuo di ritrarsi in uno spazio privato accessibile solo a lui, nei diritti politici questo confine viene meno. O meglio, essendo sempre riferiti al singolo attore sociale, mantengono sempre un riferimento pubblico imprescindibile. Accade cioè che il beneficiario e l’autore di questi diritti sono la stessa persona, almeno sul piano formale. Da una parte quello privato in cui beneficia delle scelte discusse a livello cooperativo, dall’altra, nello spazio pubblico, in cui è invece l’autore.

Tutti i diritti soggettivi sono diritti individuali, cioè sorti per assicurare al singolo un suo spazio in cui indagare la propria persona. E così vengono percepiti anche dal sentimento comune. L’unico che sembra uscire da questa regola sono allora i diritti politici, perché questi sono privati quando l’individuo passivamente ne beneficia, ma pubblici nella misura in cui servono a creare una volontà pubblica

attiva in cui tutti ne sono gli autori.

Se questi aspetti, dalla proprietà privata ai diritti soggettivi, appartengono alla libertà negativa e quindi a un luogo di ritiro e non di azione del singolo individuo; le cose stanno diversamente per quanto riguarda invece l’altro tipo di libertà, ovvero la libertà morale. L’idea dell’autonomia morale è quindi quella della capacità che un individuo possa agire moralmente, di ritenere cioè una azione come legittima di essere perseguita all’interno di un sistema di regole socialmente riconosciuto. Questo aspetto non ha alcun principio vincolante da parte dello Stato. Abbiamo già presentato nel nostro lavoro questo tipo di libertà (Cap.1.3). Essa si rifaceva a Kant. Il soggetto cioè si interroga dal punto di vista morale se l’azione che vuole intraprendere è “giusta” o “meno”, interpellando idealmente gli attori sociali e cercando in loro un’approvazione oppure no. Questo genere di libertà

ha una sostanziale differenza con la prima. Infatti la libertà negativa crea col diritto solamente un spazio temporaneo, mentre la libertà riflessiva permette proprio l’interrogazione. È chiaro che entrambe sono intrecciate l’un l’altra, ma solo la disposizione morale rende possibile la domanda.

Anche qui però, l’interrogazione non ha niente a che vedere con l’azione, con la messa in atto. Cioè non rimette la libertà alla sua pratica. Si può dire che sia la prima che la seconda, sono in un certo qual modo libertà ideali, eppure strutturali per l’individuo giuridico in quanto la messa in pratica dell’azione comunque viene tutelata tramite il diritto da una parte e la facoltà morale dell’individuo dall’altra. In più, la facoltà morale su base giuridica della libertà negativa è precondizione fondamentale per l’aggiornamento costante dei diritti. Non dobbiamo mai dimenticare la struttura de Il diritto della libertà, la quale anche nella ricostruzione delle due libertà appena presentate, mira di fatto al raggiungimento della terza, ovvero quella sociale. È solo la libertà sociale che può istituzionalmente mettere in pratica la libertà dell’uno-e-dell’altro. La ricostruzione normativa così esplicitata da Honneth ci dice che le due libertà precedenti sono la base evolutiva per il raggiungimento della terza. Tutte e tre cioè convivono intrecciate e i limiti di ognuna sono integrati dall’ultima, ovvero dalla libertà sociale.

Non si dimentichi inoltre che riconoscersi sul piano giuridico significa anzi tutto mettere tra parentesi le caratteristiche tipiche e particolari di ogni individuo. Honneth lo dice molto chiaramente in Lotta per il riconoscimento, quando sostiene che un conto è riconoscere giuridicamente un individuo, un conto è stimarlo socialmente77. La prima guarda il soggetto in virtù di quei diritti inalienabili che

conferiamo a lui in quanto persona giuridica e che lo rendono uguale a tutti gli altri, la seconda guarda invece alle sue specifiche caratteriali e che quindi lo contraddistinguono in quanto tale. In più, ogni soggetto riconosciuto giuridicamente è in grado da solo di piena autonomia su questioni morali, come per l’appunto la libertà riflessiva ci ha fatto bene intendere.