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Dottor Sergio Mazzotti

Il dottore della gente

Era dal 2012 che, a causa di un linfoma mantellare particolarmente raro e aggressivo, aveva smesso di esercitare la professione medica, anche se per tanti erbuschesi lui era rimasto “il dottore”. Si è spento prematuramente il 30 gennaio, a 66 anni, Sergio Mazzotti, per arresto cardiocircolatorio negli Spedali Civili di Brescia.

Sergio era da più di trent’anni medico di base ad Erbusco: una professione che lo ha impegnato totalmente, che egli viveva come una missione e che solo lo straziante calvario della malattia

gli ha impedito di continuare a praticare.

Ciò nonostante è sempre rimasto un fido consigliere, un “amico” per tutti i suoi ex pazienti. Uomo dedito totalmente alla professione medica, che svolgeva con criterio, serietà e anche con umanità, ripeteva spesso la frase: «Cos’è l’uomo senza umanità?». La sua grande sensibilità l’ha portato spesso a vivere con una certa vicinanza i problemi dei suoi pazienti, assistendoli amorevolmente fino al momento finale della loro malattia, dimenticandosi di tutto il resto, compreso se stesso. Nato a Remedello (BS) nel 1949, laureato in Medicina e chirurgia all’Università di Padova nel 1977, specializzatosi in geriatria e gerontologia, il dottor Sergio Mazzotti era arrivato ad Erbusco nel 1979

come medico condotto e «aveva impiegato poco tempo a farsi apprezzare non solo per la competenza, ma anche per la

disponibilità e la capacità di ascolto – come riportato da Stefania Vezzoli, ex paziente e giornalista del «Chiari Week» –, doti sempre più rare,

con cui accoglieva ciascun paziente».

Amava la professione medica cui dedicava passione e voglia divperfezionarsi

continuamente, partecipando a numerosi congressi, anche all’estero. Credeva nell’approccio terapeutico tradizionale, seppur affascinato dalle metodiche di medicina alternativa: infatti, si è specializzato in omotossicologia. «Non era solo un medico preparato, presente il giorno e la notte, ma anche un amico e un confidente – ha sottolineato il parroco don Luigi Goffi durante l’omelia funebre –. Nella sua borsa, oltre agli strumenti del mestiere, aveva il suo cuore. Ha affrontato

il suo calvario con grinta e con fede».

Infine amava molto il suo paese, Erbusco, al quale ha prestato servizio come assessore della cultura e dello sport, nonché in qualità di vicesindaco per due mandati, prestando ulteriore servizio alla cittadinanza. Con la sua passione per la cultura e la musica ha ispirato e creato l’evento culturale di respiro internazionale “Settimane Musicali della Franciacorta” e ha contribuito a realizzare il centro sportivo di Erbusco. Ha rivestito inoltre, in maniera esemplare, il ruolo di

membro della commissione di invalidità all’ASL di Palazzolo sull’Oglio

per parecchi anni. Sergio Mazzotti ci ha lasciato un vuoto difficile da colmare,

ma ci ha donato la consapevolezza della sua grandezza morale e altruistica, divenendo per noi, i suoi cari, un esempio da seguire, che rimarrà vivo per sempre nei nostri cuori.

La famiglia

Luigi (Gino) Morandini

(1922 - 2016)

Subito dopo la laurea conseguita nel periodo immediatamente successivo alla guerra (Padova 1948) il dottor Luigi Morandini (Gino) ha iniziato a lavorare come chirurgo presso l’Ospedale di Breno (Bs) in anni in cui ci si rivolgeva alle strutture ospedaliere solo nei casi più gravi. Qui è rimasto per tredici anni conseguendo, mentre lavorava, la specializzazione in Ostetricia e Ginecologia (Parma 1959) per trasferirsi nel 1961 a Piamborno (Bs), prima come medico condotto e ufficiale sanitario, poi come medico di base.

I quasi novantaquattro anni della sua vita sono stati segnati da grandi trasformazioni sia sociali sia nel campo medico. Il lavoro nella condotta lo ha messo a confronto con una realtà umana e sociale complessa.

Mio padre ha saputo seguire negli anni il cambiamento della domanda di assistenza da parte dei malati, unendo il rapporto personale alla comprensione di quanto la complessità dei bisogni andasse aumentando: il tuo medico restava

“il tuo medico”.

Negli ultimi anni si era fatto più triste, non solo perché vedeva cose che non gli piacevano nella sua professione, da cui pure si era ritirato settantenne nel 1992, e neppure perché colpito da qualche malanno fisico,

ma soprattutto per l’acuta consapevolezza, che non poteva sfuggire all’occhio del medico, che “senectute ipsa morbus” e che per tutte le persone consapevoli quello che conta è che la qualità della vita sia alta. Ecco, credo che a questo abbia sempre mirato mio padre: garantire una buona qualità di vita a tutti con la sua azione di medico e con la sua vicinanza ai problemi delle persone.

Il figlio Andrea Morandini

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Dottor

Giovanni Straneo

Mio padre Giovanni Straneo ha esercitato l’attività di medico universitario prima e ospedaliero poi in un’epoca che sembra infinitamente lontana. Non si parlava di Evidence Based Medicine né di protocolli né di medicina difensiva. Seppure privo del sostegno dell’imponenza fisica o di pregiati status symbol, conosceva bene invece l’autorevolezza della vita spesa al letto dei malati, del rispetto reciproco, dell’attenzione. Rifuggo, come lui rifuggiva, i cliché, le espressioni di rito, eppure la sua vita è sempre stata orientata all’impegno:

osservare, seguire gli eventi, interrogarsi, agire con tutti i mezzi di conoscenza,

ingegno, studio e creatività su ogni problema ospedaliero, erano il suo pane quotidiano.

La malattia inspiegata, la difficoltà tecnica, la situazione umana disagiata, il problema organizzativo: non esisteva ai suoi occhi nessun aspetto sufficientemente marginale da non meritare il suo interesse. L’ospedale doveva “funzionare” come un unico organismo per il bene dei malati. Etichette e celebrazioni non gli appartenevano: non era per questo che lavorava; sapeva per esperienza personale cosa significassero il dolore fisico e morale, e per istinto si buttava a capofitto nelle imprese più temerarie con la certezza di poter almeno portare conforto.

Perciò l’ospedale ha rappresentato la sua speranza, la sua casa, il centro dei suoi pensieri. È facile dire “esser presenti giorno e notte”; più difficile attuarlo, specialmente con poca salute. Eppure la tenacia non è venuta mai meno, neppure nei periodi più tristi, ed è stata così impetuosa da coinvolgere parenti, conoscenti, vecchie amicizie personali e professionali. Perché affrontare a testa alta i problemi altrui è stato sempre il suo stile di vita. Nessun

timore reverenziale, nessuna timidezza: per gli interessi dell’ospedale ha bussato a tutte le porte del sapere e del potere, certo di essere ascoltato, perché non chiedeva nulla per sé. Aveva coinvolto le sue conoscenze universitarie per convegni e congressi, perché la conoscenza di nuove cure e nuove tecniche circolasse liberamente in un luogo disagiato come la sua amata Vallecamonica.

L’adesione a studi policentrici come il GISSI 1 e 2, vanto della ricerca italiana cardiologica a livello internazionale, ha introdotto la neonata cardiologia di Breno nella cerchia di quelle più note e celebrate.

Con la fondazione dell’AsCLO ha promosso la stretta collaborazione tra molte cardiologie della Lombardia. L’abbattimento di tutti gli ostacoli per la realizzazione e l’apertura del nuovo Ospedale di Vallecamonica, ha richiesto una straordinaria profusione di energie. Papà, che non è mai stato un

“tiepido”, ha pagato di persona per queste conquiste, come attestano i suoi ultimi anni.

Come figlia posso dire che la famiglia, pur importante, veniva dopo l’ospedale, ma ciò è sempre stato vissuto anche dai familiari come un onore. Come medico che ha condiviso le sue passioni, non posso che sentirmi fortunata.

Posso attestare che nessuna delle nuove disposizioni in fatto di privacy, condotta professionale e personale, protocolli operativi, ha potuto a tutt’oggi aggiungere qualcosa di significativo a quanto già non conoscesse e applicasse ogni giorno e chiedesse ai sottoposti. Le parole non sono mai state il suo forte, eppure, con inaspettata agilità, ha trovato le parole giuste per gli scoraggiati, tenere per i disperati, comprensibili per ogni condizione sociale, di apprezzamento e orgoglio per i collaboratori,

dure, ma non di condanna definitiva, per chi sbagliava. Ha chiamato con il loro nome tutte le realtà buone e quelle spregevoli, senza lasciarsi trascinare in sequele sterili.

Ciò precisato, ha anche difeso con veemenza il suo personale contro pettegolezzi e

ingiustizie, ha viaggiato in Italia e all’estero, anche malato o ingessato, per non perdere tempo prezioso. Infine si è ritirato in buon ordine quando la malattia lo ha fermato.

La figlia Umberta Straneo

Dottoressa Maria

Giovanna Battistel e Dottor Luigi Morandini

Se ne è andata mia madre, se ne è andato mio suocero. Due persone ineguagliabili, due vecchi medici condotti. Appartenevano ad un altro mondo, il mondo della medicina di un tempo, quello delle estrazioni manuali di placenta sul tavolo della misera cucina della partoriente, delle radiografie fatte nella stanza attigua all’ambulatorio, delle avulsioni dentarie, dei gessi, delle uscite nel cuore della notte, delle urgenze il giorno di Natale... Così, tutto insieme, come un prodigio. Loro, i “tuttologi” indefessi, oggi quasi figure kafkiane se osservati dai nostri ambulatori lindi e tecnologici; ma Loro ci hanno lasciato un’eredità senza uguali: l’etica, la loro etica, una filosofia della medicina e della vita che nessun cattedratico potrà mai riuscire ad infondere. Grazie Colleghi, anzi... grazie mamma, grazie Gino.

Enrica Gregorini, figlia e nuora

Dottor

Giovanni Zorat

Ci ha lasciati, lasciando un grande vuoto e dolore, Giovanni Zorat (Jeanclaude per parenti ed amici), Medico di base, specializzato in psicoterapia, ma soprattutto il primo ad aver portato l’agopuntura a Brescia.

Uomo di grande cultura, generoso, attento, sempre vicino alle persone più deboli sia fisicamente che psicologicamente; sempre fedele senza alcuna distinzione su chi avesse di fronte, al giuramento di Ippocrate.

Non ci abbandonerà mai, sarà sempre nei nostri pensieri ed atti, perché tanto ci ha trasmesso e donato, sia come padre, nonno, zio, compagno, amico.

Il figlio Renato Zorat

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L’Ordine dei Medici Chirurghi

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