B) Argomenti contrari
5.7 I riflessi pratici ed applicativi della sentenza della Corte Costituzionale n. 20/2019
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rendono “non irragionevole” il mantenimento in capo agli stessi della trasparenza dei dati reddituali e patrimoniali di cui all’art. 14, comma 1, lett. f).
Secondo la Corte, inoltre, le competenze spettanti ai dirigenti di cui all’art. 19, comma 3 e 4 del d.lgs. 165/2001, rendono manifesto il collegamento sussistente tra la loro attività e quella degli organi di decisione politica con il quale il legislatore presuppone l’esistenza di un rapporto fiduciario, tanto da disporre che i suddetti incarichi siano conferiti su proposta del ministro competente.
La Corte, infine, ha dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza la questione sollevata d’ufficio dal TAR Lazio con riferimento al comma 1 ter dell’art. 14 nella parte in cui prevede l’obbligo di pubblicazione degli
“emolumenti complessivi” percepiti da ogni dirigente della pubblica amministrazione a carico della finanza pubblica, in quanto il giudizio principale verterebbe su atti che non danno applicazione a tale comma, per cui la decisione del caso concreto prescinderebbe dalla norma in questione.
5.7 I riflessi pratici ed applicativi della sentenza della Corte Costituzionale
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giugno 2019, interpretando la sentenza nel senso di una massima estensione degli obblighi.
E ciò in quanto, ad avviso dell’Authority , in primo luogo le indicazioni date dalla Corte costituzionale riguardano tutti i dirigenti che prestano servizio presso le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ivi comprese le autorità portuali, le autorità amministrative indipendenti di garanzia, di vigilanza e regolazione nonché degli ordini professionali, sia nazionali che territoriali.
L’art. 14, comma 1, lett. c) trova, pertanto, applicazione ai titolari di incarichi dirigenziali a qualsiasi titolo conferiti, anche senza procedure pubbliche di selezione.
In pratica l’obbligo viene considerato dall’AGCM estendibile ai dirigenti con incarichi amministrativi di vertice, ai dirigenti interni e a quelli
“esterni” all’amministrazione, compresi i titolari di incarichi di funzione dirigenziale nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione, anche se non muniti della qualifica di dirigente pubblico o comunque non dipendenti da pubbliche amministrazioni.
La disposizione, inoltre, viene riferita, secondo l’ ANAC anche ai dirigenti ai quali non sia affidata la titolarità di uffici dirigenziali, ma che svolgono funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall’ordinamento.
Con riferimento, invece, ai dati reddituali e patrimoniali, ad avviso dell’Autorità, le questioni da affrontare attengono all’ambito soggettivo di applicazione, sia con riferimento alle amministrazioni e agli enti interessati sia con riferimento all’individuazione dei titolari di incarichi dirigenziali cui riferire la disposizione in considerazione.
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L’ANAC ricorda che per assicurare un nucleo minimo di tutela della trasparenza la Corte ha rinviato all’art. 19, comma 3 e 4 del d.lgs. 165 del 2001.
Secondo l’Autorità il criterio adottato e desumibile dalla norma è quello della individuazione dei dirigenti cui spetta l’obbligo di pubblicazione dei dati di cui alla lett. f) non in ragione dell’amministrazione di appartenenza quanto in relazione alle attribuzioni spettanti e alla posizione all’interno dell’organizzazione rivestita, essendo rilevanti i titolari di quegli uffici che hanno al loro interno una struttura complessa articolata per uffici dirigenziali generali e non.
Il fatto che la Corte abbia richiamato una norma del d.lgs. 165 del 2001 come parametro unico di riferimento per graduare gli incarichi dirigenziali non permetterebbe di escludere che la normativa, nei termini indicati dalla Corte, possa essere applicabile anche alle amministrazioni non statali, ma anzi proprio da una lettura complessa della sentenza si dovrebbe ritenere che anche queste ultime vadano ricomprese nell’ambito di applicazione della disciplina.
L’ANAC insiste sul fatto che la Corte si sarebbe pronunciata sulla disposizione di cui all’art. 14 nei confronti di tutti i dirigenti pubblici, indipendentemente dalle amministrazioni cui sono preposti dal momento che apparirebbe singolare che la sentenza in una parte faccia riferimento a tutti i dirigenti e in altra parte limiti il campo di applicazione a quelli che prestano servizio presso amministrazioni statali.
Inoltre, sempre secondo l’Autorità, un’applicazione rinviata all’intervento legislativo per dirigenti di alcune amministrazioni sarebbe contraria al principio di uguaglianza e alla stessa finalità espressa dalla Corte per giustificare il proprio intervento manipolativo, ovvero quello di assicurare
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la salvaguardia, almeno provvisoria di un nucleo minimo di tutela del diritto alla trasparenza amministrativa in relazione ai dati personali indicati dalla disposizione censurata.
In conclusione, secondo questo ragionamento, l’art. 14, comma 1, lett.
f), si applicherebbe alle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ivi comprese le Autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione nonché gli ordini professionali, sia nazionali che territoriali, come previsto dalla delibera dell’Autorità 241 del 2017.
Peraltro nella medesima delibera l’ANAC aveva già chiarito che la temporanea sospensione degli obblighi a seguito della sentenza della Corte costituzionale doveva ritenersi decaduta con efficacia retroattiva comportando l’obbligo in capo ai soggetti obbligati di provvedere alla pubblicazione dei dati anche per gli anni pregressi, prevedendo un’attività di vigilanza sul punto a decorrere da 3 mesi dalla pubblicazione della delibera n. 586 del 2019.
Proprio il riferimento all’estensione degli obblighi di cui all’art. 14, lett.
f) merita un riflessione alla luce anche e soprattutto della sentenza della Corte costituzionale in considerazione.
Come visto, infatti, l’attuale art. 14 del decreto 33, così come modificato dal d.lgs. 97 del 2016, afferma che “Con riferimento ai titolari di incarichi politici, anche se non di carattere elettivo, di livello statale regionale e locale, lo Stato, le regioni e gli enti locali pubblicano con riferimento a tutti i propri componenti, i seguenti documenti ed informazioni”. Gli ordini professionali risulterebbero, quindi, palesemente esclusi.
Sulla questione, tuttavia, già la determinazione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 241 del 8 marzo 2017, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del
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24 marzo 2017, avente ad oggetto “Linee guida recanti indicazioni sull’attuazione dell’art. 14, del d.lgs. 33/2013 «Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali» come modificato dall’art. 13 del d.lgs. 97/2016”, stabiliva espressamente che “per gli ordini professionali, sia nazionali che territoriali … sussiste l’obbligo di pubblicare i dati di cui all’art.
14, relativamente agli incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo comunque denominati”130.
Avverso tale atto è stato proposto da alcuni consigli nazionali ricorso per l’annullamento parziale, previa sospensione, del provvedimento.
Il TAR Lazio con la sentenza 1736 del 14 febbraio 2018 ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso le linee guida richiamando il parere della Commissione speciale n. 1257 del 29 maggio 2017, reso sullo schema in tema di “Aggiornamento delle Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza”131.
130 Si veda G. COLAVITTI, Concorrenza, trasparenza e autonomie. Regolazione dei mercati e nuove forme di governo pubblico dell’economia, Bari, 2018, 121 e ss laddove si consideri che, in numerose decisioni ANAC è rilevabile quantomeno un chiaro indirizzo, difficilmente non qualificabile come “politico” volto ad ampliare la propria sfera di influenza. E’ quanto accaduto nel settore degli appalti, dove ANAC ha assunto diverse decisioni volte ad ampliare la sfera di applicazione del regime vincolistico, sia sotto il profilo soggettivo, con riferimento alla individuazione della platea degli enti di diritto pubblico soggetti alle procedure di evidenza pubblica, sia sotto il profilo oggettivo, con riferimento alla sostanziale inclusione nel campo di applicazione delle predette procedure anche di settori esclusi dalle conferenti fonti europee (le direttive appalti).
131 Sul sindacato del giudice in materia di linee guida si veda F. CINTIOLI, Il sindacato del giudice amministrativo sulle linee guida, sui pareri del c.d. precontenzioso e sulle raccomandazioni di Anac, in Dir. proc. amm., 2017, p. 381 ss.; ID, I regolamenti delle Autorità indipendenti nel sistema delle fonti tra esigenze della regolazione e prospettive della giurisdizione, in www.giustizia-amministrativa.it, 2003; C.DEODATO, Nuove riflessioni sull’intensità del sindacato del giudice amministrativo. Il caso delle linee guida ANAC, in www.federalismi.it, n. 3/2017. Sull’effettività della tutela giurisdizionale G.ABBAMONTE, Completezza ed effettività della tutela giudiziaria secondo gli artt. 3, 24,
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In tale pronuncia la Commissione ha infatti esordito, precisando che le Linee guida in questione costituiscono un “atto non regolamentare”, mediante il quale l’ANAC chiarisce la portata applicativa e le ricadute organizzative degli adempimenti stabiliti dalla normativa di cui alla legge n. 190/2012 e al d.lgs. 33/2013, come novellato dal d.lgs. 97/2016, a carico dei soggetti pubblici e privati sottoposti, al pari delle pubbliche amministrazioni (anche se in misura non sempre coincidente), agli obblighi finalizzati a prevenire la corruzione e ad assicurare la trasparenza nell’azione amministrativa, rispetto ai quali l’Autorità ha una potestà di vigilanza.
Nel parere, il Consiglio di Stato ha specificato, sul punto che qui rileva, come le Linee guida in esame appaiano riconducibili al novero delle Linee guida “non vincolanti”132, mediante le quali l’ANAC “…fornisce ai soggetti interessati indicazioni sul corretto modo di adempiere agli obblighi previsti dalla normativa e sull’adempimento dei quali ha poteri di vigilanza, indicazioni
103 e 113 Cost. in Studi in onore di F. Benvenuti, Modena, 1996; G. GALVAZZI,Effettività (principiodi), in Enciclopediagiuridica.,XII, Roma, 1988,p.420; Tra i contributi successivi al c.p.a. G.MARI, La giurisdizione amministrativa, in M. A. SANDULLI (a cura di), Il nuovo processo amministrativo, Milano, p. 61; M.A.SANDULLI, Principio di legalità e effettività della tutela: spunti di riflessione alla luce del magistero scientifico di Aldo M. Sandulli, in Dir.
e soc, 2016; ID.,Poteri dei giudici e poteri delle parti nei processi sull’attività amministrativa, in www. federalismi.it, n. 18/2015.Sull’effettività della tutela al giudizio amministrativo, ex multis, Cons. St., sez. VI, 14 ottobre 2016, n. 4266.
132 Su soft law e Autorità indipendenti si veda si veda A. PIZZORUSSO, La produzione normativa in tempi di globalizzazione, Torino, 2008, nt.26;. E. MOSTACCI, La soft law nel sistema delle fonti: uno studio comparato, Padova, 2008, p. 1 afferma che “l’espressione in parola non allude a un concetto stabile e ben sedimentato (…) al contrario, nell’uso corrente, essa mostra di avere un significato a volte vago, altre autonomamente interpretato, senza che sembri rintracciabile un centro di gravità attorno al quale le accezioni del termine convergano in modo coerente”;S.CASSESE, Le autorità indipendenti: origini storiche e problemi odierni, in S.CASSESE-C.FRANCHINI (a cura di), I garanti delle regole, Bologna 1996, p.217 ss.; S.
MORETTINI, Il soft law nelle autorità indipendenti: procedure oscure e assenza di garanzie?, in www.osservatorioair.it, n. 4/2012.
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che costituiranno parametro di valutazione per l’esercizio di tali poteri e l’adozione dei provvedimenti conseguenti.
Ne deriva che, secondo quest’ultimo parere, tali Linee guida non sono immediatamente lesive, considerando possibile l’eventuale lesività solo all’esito del procedimento instaurato per “l’adozione dei provvedimenti conseguenti”. Sul punto lo stesso Consiglio di Stato ha precisato – proprio per la natura “non vincolante delle stesse – che comunque i destinatari ben
“…possono discostarsi dalle linee guida mediante atti che contengano una adeguata e puntuale motivazione, anche a fini di trasparenza, idonea a dar conto delle ragioni della diversa scelta amministrativa…”
A prescindere, però, dalla natura delle linee guida ANAC il ragionamento portato avanti dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 20 del 2019 consente di affermare che l’obbligo in questione sarebbe sproporzionato nei confronti dei componenti di Consigli che non gravano in alcun modo sul bilancio dello Stato poiché si autofinanziano attraverso le quote degli iscritti.
La sentenza della Corte costituzionale, come visto, riconosce che l’art.
14, comma 1, lett. f) viola l’art. 3 della Costituzione innanzitutto sotto il profilo della ragionevolezza intrinseca in quando impone indiscriminatamente ai titolari di incarichi dirigenziali di pubblicare una dichiarazione contenente l’indicazione dei redditi, soggetti all’IRPEF nonché dei diritti reali su beni immobili e su beni mobili iscritti in pubblici registri, delle azioni in società, delle quote di partecipazione a società e dell’esercizio di funzioni di amministratore o di sindaco di società.
In particolare, i giudici di legittimità riconoscono che non erra il giudice rimettente laddove, considerata questa massa di dati, intravede un rischio di frustrazione delle stesse esigenze di informazione veritiera e, quindi, di
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controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, poste a base della normativa sulla trasparenza.
Se già tali obblighi sono sproporzionati per il controllo delle risorse pubbliche a maggior ragione lo sono nei confronti di enti, come gli Ordini professionali, sia nazionali che territoriali, che non gravano in alcun modo sul bilancio dello Stato.
Va a tal proposito ricordato che di recente la sentenza del TAR Catania, I sez., 5 dicembre 2018, n. 2307 ha affermato che data la specifica natura degli ordini professionali “il legislatore si è preoccupato, di volta in volta, di estendere espressamente agli ordini professionali, con specifiche disposizioni, questa o quella normazione afferente alle pubbliche amministrazioni ed agli enti pubblici”.
In particolare, come riconosciuto dalla citata sentenza gli Ordini professionali non possono essere considerati come enti pubblici non economici tout court, rientrando nella peculiare categoria degli enti pubblici a carattere associativo.
Da tale definizione deriva il carattere ambivalente degli Ordini professionali. Per un verso sono riconosciuti come veri e propri enti pubblici, appunto perché capaci di adottare atti incidenti in via autoritativa sulla sfera giuridica altrui; per altro verso, però, continuano ad essere conformati come enti esponenziali di ciascuna delle categorie professionali interessate e, quindi, come associazioni, organizzazioni proprie di determinati appartenenti all’ordinamento giuridico generale.
L’assetto organizzativo degli Ordini professionali non può non risentire di questa loro duplice natura. Sono certamente soggetti alla disciplina generale per quanto attiene al regime degli atti che emanano nell’esercizio delle loro
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potestà pubblicistiche, tali enti godono al contempo di una naturale autonomia, sottolineata dai giudici del TAR Catania, che costituisce il riflesso della loro natura associativa. Godono di autonomia finanziaria e contabile perché non ricevono alcun contributo statale, potendo provvedere alla propria sussistenza unicamente con le quote degli iscritti.
Gli ordini professionali non a caso sono stati sottratti dal legislatore alle norme in materia di spending review. Come noto l’art. 2 del d.l. 6 luglio 2012 n. 95 convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 ha previsto una riduzione delle dotazioni organiche “delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, delle agenzie, degli enti pubblici non economici (…..). La ratio di tale provvedimento è senz’altro la riduzione della spesa pubblica e, quindi, misure di contenimento della spesa di soggetti il cui funzionamento costituisce un onere a carico dello Stato.
Gli Ordini, pertanto, sono stati espressamente esclusi dal campo di applicazione soggettivo della normativa in questione grazie al successivo decreto legge 31 agosto, n. 101, convertito dalla legge n. 125 del 2013.
Da quanto sopra esposto si evince chiaramente che non essendovi un interesse al controllo della spesa pubblica l’applicazione degli obblighi di trasparenza in materia di redditi e patrimoni appare del tutto sproporzionata nei confronti degli Ordini professionali.
L’applicazione dell’art. 14, comma 1, lett. f) a tali enti sarebbe palesemente contraria ai principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza e che l’ANAC ha riletto ricercandone a tutti i costi un’interpretazione favorevole alla massima estensione soggettiva degli obblighi.
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Capitolo 6
I rimedi all’ accesso denegato