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Esame “riflessivo” della perception e delle funzioni conoscitive Locke comincia la trattazione delle idee di riflessione nel sesto capitolo del Second

L’Esprit: contenuti e funzioni conoscitive

2. Esame “riflessivo” della perception e delle funzioni conoscitive Locke comincia la trattazione delle idee di riflessione nel sesto capitolo del Second

Livre. L’oggetto dell’”occhio” della mente non sono più le idee fornite dall’esperienza

sensibile, bensì un ambito sui generis che emerge all’attenzione “in occasione” della ricezione dei contenuti psichici di natura sensitiva: si tratta di operazioni dell’esprit ottenute, scrive Locke in inglese, «when it [leggi: the Mind] turns its view inward upon itself, and observes its own Actions about those Ideas it has»238. In francese, utilizzando una terminologia forse meno discorsiva e più tecnica di quella di Locke, il Coste riesce a “salvare”, a mantenere l’eterogeneità di tale ambito sperimentale della “soggettività” (eterogeneità che abbiamo visto essersi persa in due occasioni all’interno dell’Essai a causa di una mancata comprensione del significato della

reflection lockiana): «L’Esprit faisant réflexion sur lui-même, & considérant ses

encore de la mauvaise coûtume de ne rien concevoir qui ne soit estendu. L’Immensité de Dieu n’est rien autre chose que sa Toute puissance, par laquelle il est present à toutes les Creatures en general, à cause qu’il les produit & les conserve; il est present aux Corps en particulier, parce qu’il les estend & les contient, les arrange, les meût, ou les arreste; & aux Esprits en particulier, d’autant qu’il assiste à toutes leurs pensées & concourt à toutes les determinations de leurs volontez» (de La Forge, Traité de

l’Esprit de l’Homme, 12, pp. 181-186).

propres opérations par rapport aux idées qu’il vient de recevoir tire de-là d’autres idées qui sont aussi propres à être les objets de ses contemplations»239.

Due sono le principali “actions de l’Ame” (“Actions of the Mind”), sperimentalmente ricavabili dalla consapevolezza del concreto esercizio da una parte della “percezione” (“Perception or thinking”) e dall’altra della “volizione” (“Volition or

Willing”). Da queste due azioni sono “inducibili” le due “Faculties” della Mind, che

Locke ri-definisce in termini di “Powers or Abilities”: si tratta, dal punto di vista conoscitivo, dell’Understanding e, dal punto di vista pratico, del Will. Ora, come si pone in Coste di fronte alla complessità terminologica e alle sottili distinzioni concettuali presentate dal testo lockiano?

Per capire se e fino a che punto la traduzione francese abbia rispettato l’originale inglese, occorre esaminare comparativamente i passi in cui si tratta di tali idee di riflessione. Partiamo dal secondo paragrafo del capitolo sesto del Second Book. Qui, Locke scrive: «The two great and principal Actions of the Mind, […] are these two:

Perception, or Thinking, and Volition, or Willing. The power of Thinking is called the Understanding, and the Power of Volition is called the Will, and these two Powers or

Abilities in the Mind are denominated Faculties»240. Dall’altra parte, nella versione francese troviamo: «Il y a deux grandes & principales actions de notre Ame […]. C’est la Perception ou la Puissance de penser, & la Volonté, ou la Puissance de vouloir. La puissance de penser est ce qu’on nomme l’Entendement, & la Puissance de vouloir est ce qu’on nomme la Volonté: deux puissances ou dispositions de l’Ame auxquelles on donne le nom de Facultés»241.

Ora, come si può vedere, se le scelte lessicali del Coste rispettano la distinzione tra

Perception/Thinking e Understanding (una terminologia che non dà certo problemi al

traduttore, il quale ricorre a sostantivi più volte utilizzati quali Perception, Penser,

Entendement), è invece quella ben più sottile tra Volition/Willing e Will a non essere

resa adeguatamente, dando luogo a un evidente “equivoco”: Volonté indica infatti tanto l’atto volitivo del soggetto, quanto la facoltà. Anche nel titolo del paragrafo,

239 Locke, Essai, II, 6, 1, p. 83.

240 Locke, Essay, II, 6, 2, p. 128. Il Nidditch evidenzia come l’ultima proposizione del passo

appena citato (proposta nelle edizioni dell’Essay dalla seconda alla quinta e postuma) nella prima edizione del 1690 si presentasse in modo diverso (benché il significato fosse il medesimo): «The power in the Mind of producing these Actions we denominate Faculties, and are called the Understanding, and the Will». Cfr. ibidem, sezione critica a piè di pagina.

laddove Locke scrive Willing, il proposant usa ancora Volonté. Il che non si può certo ritenere in linea con le intenzioni del filosofo inglese di utilizzare termini distinti per indicare concetti distinti, evitando così quella fonte di errori che è l’ambiguità lessicale. A ciò si deve inoltre aggiungere un’ulteriore “mancanza”, a mio avviso ancor più profonda: se ben si osserva il passo in questione, presentando per la prima volta Perception e Volonté, il Coste pensa bene di tradurre Thinking e Willing (che Locke accosta a Perception e Volition come loro sinonimi) con due perifrasi, “Puissance

de penser” e “Puissance de vouloir”. Così facendo, tuttavia, il Coste complica e oscura il

senso del paragrafo, poiché propone come significato di Perception e di Volonté, l’uso attuale delle facoltà (gli atti concreti di percezione e di volizione), il significato di “facoltà di pensare” (Entendement) e di “facoltà di volere” (la Volonté come Faculté): ne deriva la perdita dell’impostazione “gnoseologica” della psicologia lockiana, ossia il partire dal fatto dell’azione concreta (del pensiero o del volere) per giungere induttivamente all’affermazione del power corrispondente (Understanding e Will).

Due mancanze cui il Coste rimedierà nel ventunesimo capitolo242, laddove Locke presenta la definizione delle due puissances che il soggetto trova in se stesso grazie alla riflessione: «Une chose qui du-moins est évidente, à mon avis, c’est que nous trouvons en nous-même la puissance de commencer ou de ne pas commencer, de continuer ou de terminer plusieurs actions de notre esprit, & plusieurs mouvements de nostre corps […]. Cette Puissance que notre esprit a de disposer ainsi de la présence ou de l’absence d’une idée particuliére, ou de préférer le mouvement de quelque partie du corps au repos […] c’est ce que nous appellons Volonté. Et l’usage actuel que nous faisons de cette Puissance […] c’est ce qu’on nomme Volition. […] La Puissance d’apercevoir est ce que nous appellons Entendement; & la Perception […] un acte de l’Entendement»243. In tale passaggio il francese viene così ad acquisire una precisione terminologica che fino ad allora pare non possedere244, a differenza del

242 Un capitolo, il ventunesimo, che costituirà per Locke (in relazione ai concetti di power e liberty)

un “punctum dolens” e che sarà oggetto di importanti revisioni e perfezionamenti anche da parte del Coste (in vista della seconda edizione dell’Essai, basandosi sulle correzioni approntate dal filosofo stesso): cfr. Simonutti, Considerazioni su Power e Liberty nel Saggio sull’intelletto umano secondo un

manoscritto di Coste, pp. 179-194 e 195-199 per i corrigenda segnalati dal Coste; Leibniz, Die philosophischen Schriften, dritter Band, IV, Coste an Leibniz (25 août 1707), pp. 394-399.

243 Ivi, II, 21, 5, p. 182.

244 Cfr. Dictionnaire de l’Académie françoise, p. 660, voce “Volonté”: «Faculté, puissance par laquelle

latino, che, come mostra il Lexicon rationale (1692) di Chauvin, presenta la distinzione tra volitio (“actus voluntatis”) e voluntas (“facultas”)245. Anche in questo caso il Coste si trova a “dover” prendere posizione nei confronti della lingua francese: l’utilizzo che Locke fa di “volition” è infatti tecnico e, poiché tale concetto (con la sua essenziale distinzione dall’idea di “volonté”)246 gioca un ruolo chiave nella definizione di “libertà” e “necessità”, il traducteur non può evitare l’introduzione di un termine che ben sapeva essere in-audito, come si evince da una nota a piè di pagina inserita già nella prima edizione: «Pour bien entrer dans le sens de l’Auteur, il faut toujours avoir dans l’esprit ce qu’il entend par Volition, & Volonté, comme il l’a expliqué ci-dessus §. 5. & §. 15. Cela soit dit une fois pour toutes»247. Non è un caso che il Coste rimandi il lettore a due paragrafi del ventunesimo capitolo248 (e non all’incipit del sesto capitolo, dove l’argomento riceve la prima presentazione), poiché, come ho cercato di evidenziare, è qui che compare la vera definizione di “Volition”, “vera” perché rispetta non solo la concettualità, ma anche la terminologia lockiana249.

245 Chauvin, Lexicon rationale, voci “Volitio” e “Voluntas”, pagine non numerate.

246 Si considerino i passi in cui Locke si basa proprio sulla distinzione di “Volition” e “Will” per

rispondere alla domande circa la “libertà della volontà” e la “libertà della volizione” e si pensi a quanto diverrebbero “equivoci” i ragionamenti di Locke con l’utilizzo dell’unico termine “Volonté” ad indicare tanto “Volition/Willing”, quanto “Will”. Ora, per Locke non si può certo dire che la “volonté” è libera, poiché sia la volontà che la Liberté sono due puissances (di préférer una cosa a un’altra – sia essa pensiero o movimento –, la prima, di pensare/non pensare, di muoversi/non muoversi – in base alla propria préférence –, la seconda: cfr. ivi, II, 21, 5-6, pp. 182-183; II, 21, 8, p. 183) e l’una non può essere attribuita all’altra (mentre solo il soggetto in quanto agente si può dire libero, se può effettivamente realizzare quell’atto di détermination actuelle de la volonté che è la volition: cfr. ivi, II, 21, 8, p. 183). Dall’altra parte nemmeno la volition può dirsi “libera”, giacché essa è una azione che, una volta presentatasi alla sua mente come da compiersi, è necessariamente voluta o non voluta (cioè sarà necessariamente compiuta o non compiuta in base alla scelta del soggetto): cfr. ivi, II, 21, 22-25, pp. 190-191.

247 Ivi (1700), II, 21, 23, p. 288; ivi (1755), II, 21, 23, p. 190.

248 Avendo già riportato il testo del paragrafo quinto cui fa riferimento il Coste, riporto il testo del

quindicesimo paragrafo in merito alla definizione di Volition: «La Volition est visiblement un Acte de

l’Esprit exerçant avec connoissance l’empire qu’il suppose avoir sur quelque partie de l’Homme pour l’appliquer à quelque action particuliére, ou pour le détourner. Et qu’est-ce que la Volonté, sinon la Faculté de produire

cet Acte? Et cette Faculté n’est en effet autre chose que la puissance que notre esprit a de déterminer ses pensées à la production, à la continuation ou à la cessation d’une action, autant que cela dépend de nous» (ivi, II, 21, 15, p. 186).

249 Il ventunesimo capitolo del secondo libro pone il Coste di fronte ad altri termini difficili da

tradurre: si consideri il tredicesimo paragrafo (cfr. ivi, II, 21, pp. 185-186), in cui Locke, dopo aver detto che l’opposto di ciò che è “volontaire” non è ciò che è “nécessaire”, bensì “involontaire”, sostiene che quando la nécessité si trova in un agente capace di volizione (dove per “necessità” si intende il non poter esercitare la capacità di agire o non agire, pensare o non pensare), se l’inizio o la continuazione di un’azione è contraria alla determinazione dell’esprit quale è la volition, si ha “contrainte”, mentre

Né è da trascurare l’influenza che l’Abrégé (1688) del Le Clerc può aver avuto sulle scelte lessicali del Coste (benché non sia apertamente citato da quest’ultimo), in quanto proprio nella traduzione del passo relativo al ventunesimo capitolo egli utilizza senza esitazione il termine “volition”, distinguendolo da “volonté”: «La puissance que nous trouvons en nous-mêmes de préferer la présence d’une pensée particuliere à son absence, ou d’un mouvement particulier au repos, est ce que nous appellons Volonté. La préference actuelle d’une action à la cessation, ou au contraire, est ce qu’on nomme Volition»250.

quando l’impedimento o la cessazione di un’azione si oppone alla volizione (qui il Coste traduce impropriamente l’originario inglese “volition” con “volonté”), si ha la “cohibition”. Con “contrainte” il

proposantrende il termine “compulsion” (cfr. Locke, Essay, II, 21, 13, p. 240; termine presente in Hobbes,

Leviathan, IV, 42, 8, p. 270), facilitato in questo dal fatto che il termine francese ne era considerato

l’equivalente (cfr. Cotgrave, A Dictionarie of the french and english tongues, voce “Contrainte”, pagine non numerate; cfr. anche Richelet, Dictionnaire de la langue françoise, voce “Contrainte”, p. 399). Con “Cohibition” egli cerca invece di tradurre adeguatamente “Restraint” (cfr. Locke, Essay, II, 21, 13, p. 240; termine che troviamo in Hobbes, Leviathan, II, 17, 1, p. 85; 26, 8.4, p. 139; 28, 20, p. 164; 31, 12, p. 189: in Hobbes con esso si indica appunto la restrizione del “naturale” agire umano), aggiungendo in una apposita nota linguistica a piè di pagina (cfr. Locke, Essai, II, 21, 13, p. 186) che il francese è sprovvisto di un termine corrispondente. Il Coste guarda così al latino, in cui trova “Cohibitio”, citando il

Dictionaire Latin & François di P. Tachart (1687), in cui “Cohibitio” è definita perifrasticamente «l’Action

d’empêcher qu’on ne fasse quelque chose». E’ interessante notare come il Bosset mantiene “contrainte”, mentre al posto di “cohibition” utilizza il meno tecnico “empêchement” (che il Coste usa nella definizione della stessa “cohibition”, per indicare l’impedimento dell’azione contraria alla volizione): cfr. Bosset, Abrégé de L’Essai de Monsieur Locke, p. 70). Desidero inoltre sottolineare un errore di traduzione del Coste in merito alla definizione di “necessario” e “involontario”: egli rende infatti la proposizione inglese «for a man may preferr what he can do, to what he cannot do» (Locke, Essay, II, 21, 11, p. 239) con «Car un homme peut préférer ce qu’il veut faire, à ce qu’il n’a pas la puissance de faire» (Locke, Essai, II, 21, 11, p. 185), rendendo difficilmente comprensibile il senso del discorso lockiano.

250 Locke, Abrégé, tr. par Le Clerc, p. 71. Rispettando così la terminologia di Locke, che già

nell’Abstract mostra di aver presente la distinzione will/volition, ossia facoltà/esercizio attuale del volere: «The power wi find in ourselves to prefer this or that peculiar thought to its absence, this or that peculiar motion to rest, is that we call will. And the actual preference of any action to its forbeance, or vice versa, is volition» (Locke, Abstract, p. 247). Una distinzione che del resto Locke aveva presente sin dal 1676, come testimonia la nota del suo journal datata 13 luglio: «The simple Ideas that we have from the minde are these: 1°. Perception and the severall species of it as Thinke […]; 2°. Willing voluntas i.e. wherein the minde doth after consideration or at least some thought begin continue change or stop some action which it finds in its power soe to doe Now all the actions that I imagin we have any notion of being either thought or motion and we findeing that there be some both of the thoughts of our minds as well as motions of our bodys (for all are not soe) that we have a power to begin continue vary stop or suspend as we thinke fit, when any variation in any of these is made upon thinkeing ascribe it to the will. Soe that the power of determining our facultys of thinking or motion to act or not to act, to act this way or that way in all cases where they are capeable of obedience is that I thinke which we call the Will» (Locke, An early draft of Locke’s Essay, together with excerpts from

Concentriamoci ora sulla facoltà o potenza conoscitiva, la Perception, la cui trattazione comincia a partire dal nono capitolo del Second Livre: quello che intendo evidenziare è il modo in cui una caratteristica della lingua francese può aver influenzato la traduzione delle espressioni utilizzate da Locke in merito alla funzione conoscitiva/percettiva, finendo per giocare un ruolo chiave nella storia delle idee e del lessico filosofico.

Qual è il significato della coppia “percezione-percepire”? Per Perception, come il filosofo stesso afferma nell’Essay, si deve intendere la prima e principale faculty della

Mind (nel senso di “capacità” di percepire) di cui non si può acquisire il vero

significato se non per via riflessiva, «by reflecting on what he does himself, when he sees, hears, feels, etc. or thinks»251: è infatti impossibile definire in senso stretto (ossia attingendo ad altri concetti) ciò per cui ogni contenuto è presente alla mente (conditio imprescindibile per ogni possibile conoscenza), tanto che, come termine con cui esprimere tale originaria funzione di “passivo trovare”, Locke propone “Thinking”, assumendo però tale sostantivo nell’accezione più generica possibile e richiamando da vicino la definizione cartesiana di “cogitare” e di “penser”, “avere contenuti psichici” (lungi da quel particolare uso inglese di “thinking” per cui esso si avvicina all’“attenta e attiva” considerazione di un’idea quale è la “riflessione”)252.

251 Locke, Essay, II, 9, 2, p. 143.

252 Cfr. ibidem. Non si dimentichi che “Penser” e “Pensée” costituiscono, nelle Meditationes e nei

Principia philosophiae, la traduzione francese di “Cogito” e “Cogitatio”. Si consideri, ad esempio, il

seguente passo dei Principia: «Cogitationis nomine intelligo illa omnia quae nobis consciis in nobis sunt, quatenus eorum in nobis conscientia est. Atque ita non modo intelligere, velle, imaginari, sed etiam sentire, idem est hic quod cogitare» (Descartes, Principia philosophiae, I, 9, p. 7). Nella traduzione francese di Picot esso si presenta così: «Par le mot de penser [corsivo nostro], j’entens tout ce qui se fait en nous de telle sorte que nous l’apperceuons immediatement par nous-mêmes […]; c’est pourquoy non seulement entendre, vouloir, imaginer, mais aussi sentir, est la même chose icy que penser» (Id.,

Principes de la philosophie, I, 9, p. 28). Sempre nei Principia troviamo l’accostamento di “cogitatio” e di

“perceptio” (cfr. ivi, I, 32, p. 17), termini che in francese trovano i propri equivalenti in “penser” e “perception” (cfr. ivi, I, 32, p. 39). Una concezione, quella per cui Perception vede come sinonimo il generico “pensare” (“Thinking”, “Pensée”, “Cogitatio”), così espressa nel Lexicon rationale di Chauvin (1692): «Perceptio est prima mentis humanae operatio seu cogitatio [corsivo nostro]: ideoque dici etiam consuevit,intellectualis, eaque simplex idea, seu visio simplex eorum, quae menti nostrae objiciuntur. Simplex quidem est sive idea, sive visio; quia mens, dum ea percipit, quae sibi objiciuntur, nil quicquam de illis vel affirmat, vel negat» (Chauvin, Lexicon Rationale, voce “Perceptio”, pagine non numerate). Ora, il Coste, di fronte a Thinking tradurrà con Pensée, riallacciandosi alla tradizione cartesiana: «Mais comme ce dernier mot [Pensée] signifie souvent l’opération de l’Esprit sur ses propres idées lorqu’il agit, & qu’il considére une chose avec un certain degré d’attention volontaire, il vaut mieux employer ici le terme de Perception, qui fait mieux comprendre la nature de cette faculté» (Locke, Essai, II, 9, 1, p. 97). Come emerge dalla lettura comparata dei passi, inglese e francese, il Coste

Un “avere contenuti psichici”, un “trovare” e “vedere” che, se si prende in considerazione il rapporto tra la dimensione fisiologica e quella mentale, si potrebbe tradurre in un indefinibile “momento attenzionale” (o “intenzionale”) che risulta originale rispetto all’impressione prodotta dalla comunicazione dell’impulsion all’organo cerebrale (o anche rispetto alla sua intensità, come vorrà la psicofisiologia fechneriana): benché senza tale processo non si possa certo verificare alcuna “acquisizione” di idee, per parlare di perception o idea è necessario che il contenuto “emerga” (“momento” che Locke esprime perifrasticamente parlando di “to reach the

observation of the Mind”)253. In caso diverso non si avrebbe alcun inizio di vita psichica: «This is certain, That whatever alterations are made in the Body, if they reach not the Mind; whatever impressions are made on the outward parts, if they are not taken notice of within, there is no Perception. […] A sufficient impulse there may be on the Organ; but it not reaching the observation of the Mind, there follows no perception: And though the motion that uses to produce the Idea of Sound, be made in the Ear, yet no sound is heard. […] So that where-ever there is Sense or Perception,

there some Idea is actually produced, and present in the Understanding»254.

Né la complessità del termine “Perception” si limita a ciò: non si dà infatti per Locke contenuto psichico che non sia perceived, “percepito” come “saputo” o “con- saputo”, “Perception” nel senso più pieno del termine. «Consciousness […] is inseparable from thinking, and, as it seems to me, essential to it: It being impossible for any one to perceive without perceiving, that he does perceive. When we see, hear, smell, taste, feel, meditate, or will anything, we know that we do so. Thus it is always

omette di tradurre «in the propriety of the English Tongue» (Locke, Essay, II, 9, 1, p. 143) e, così facendo, pare attribuire anche al francese la distinzione tra le due accezioni di Pensée (generica, ossia equivalente a perception, e specifica). Né in questo egli potrebbe dirsi senza fondamento, dato che il

Dictionnaire de l’Academie Françoise da una parte, alla voce “Penser”, riporta sia «former dans son esprit

l’idée» che «faire reflexion, songer à quelque chose» (cfr. ivi, p. 213), dall’altra, sotto “Pensée”, include