• Non ci sono risultati.

Le riforme della maglia provinciale nel Piemonte sabaudo (1697-1749)

COSTRUZIONE DELLO STATO MODERNO: LE RIFORME DELLA MAGLIA PROVINCIALE SABAUDA NEL PIEMONTE DEL SETTECENTO

2. Le riforme della maglia provinciale nel Piemonte sabaudo (1697-1749)

Gli Stati sabaudi offrono un osservatorio particolarmente interessante: essi appaiono infatti piena- mente riconducibili al modello della composite monarchy (Barbero, 2002; Vester, 2013), costituendo il proprio territorio transalpino per acquisizioni successive, come sommatoria di unità che mantengono a lungo ampi margini di autonomia e specificità istituzionale (ducati di Savoia e Aosta, contea di Niz- za, principato di Piemonte, etc.). Allo stesso tempo, essi sono stati riconosciuti come l’unico, tra gli an- tichi stati italiani, in cui nel corso dell’et| moderna il potere centrale sia riuscito a ‚procedere con deci- sione‛ nell’imposizione di forme di subordinazione amministrativa all’insieme dei corpi politici su cui aveva progressivamente esteso la propria autorità (Mannori, 1997, p. 31). Uno degli strumenti attra- verso cui si è esplicata tale uniformazione e subordinazione istituzionale delle periferie è costituito proprio dalla progressiva creazione di una maglia di circoscrizioni provinciali come ambiti di azione di funzionari centrali, attraverso una successione di interventi di riforma e di aggiustamenti parziali ordinati dai sovrani sabaudi tra 1560 e 1750. Questa azione di regionalizzazione amministrativa si è esercitata con maggiore innovatività e sperimentalità rispetto al ritaglio spaziale delle preesistenti uni- tà politiche incapsulate entro il dominio sabaudo soprattutto nella sua porzione piemontese, mentre una maggiore conservatività di ambiti territoriali e ordinamenti ne caratterizza le componenti più pe- riferiche, quali la Savoia, la Valle d’Aosta e la Contea di Nizza, oltre a quelle di acquisizione più recen- te, come i territori orientali, conquistati al Monferrato e allo stato di Milano con le guerre del Seicento e della prima metà del Settecento.

Limitando quindi il nostro sguardo al solo Piemonte, il primo embrionale tentativo di regionaliz- zazione risale al 1560, con l’introduzione da parte di Emanuele Filiberto di cinque prefetture controlla-

2 Com’è noto tale nozione è stata coniata nel 1975 da H.G. Koenigsberger, per poi essere ripresa da Elliott

(1992) e divenire centrale nel recente dibattito storiografico sullo stato moderno.

3 Sul significato di tale termine «come operazione di cui lo stato si è servito per dare organicità e unifor-

mità istituzionale ai complessi umani – territorialmente definiti in entità di diversa origine storica – che lo formano, alle energie e quindi alle produzioni che ciascuno di loro è in grado di metter in opera, e ai rapporti fra loro» si rinvia alla definizione e distinzione fondamentale con la nozione di regionalismo in Gambi, 1977, pp. 276-277.

PROCESSI STORICI DI ORGANIZZAZIONE DEL TERRITORIO 2687

te da ufficiali giudiziari con competenza sulle cause di secondo appello (Libra, 2003). A tale riforma seguirono interventi minori connessi all’esigenza di dare sistemazione a nuove acquisizioni territoriali e a richieste provenienti dal basso, con una moltiplicazione dei prefetti e mutamenti nella distribuzio- ne delle comunità di pertinenza. Nuove organiche riforme delle province si ebbero con il ducato di Carlo Emanuele I, che nel 1619 e 1620 istituì nuovi funzionari (oratori provinciali) con il compito di rappresentare presso il centro gli interessi delle comunità e attribuì loro il controllo su sedici nuove unità provinciali, ridotte a dodici e unificate con le prefetture nel 1622. Negli anni seguenti il numero delle province crebbe nuovamente, raggiungendo le diciotto unità, a seguito di riforme amministrati- ve, dei mutamenti territoriali implicati dalle guerre e di ulteriori richieste locali. Per tutti questi primi interventi è tuttavia prematuro parlare di maglia amministrativa in senso moderno in quanto essi paiono espressione di una concezione ancora ‚personale‛ più che ‚territoriale‛ dell’amministrazione (Libra, 2003, p. 109): con essi gruppi di comunità vengono attribuiti alla responsabilità di funzionari centrali, secondo un disegno spaziale che appare segnato da molte lacune, discontinuità e incastri, ol- tre che estremamente fluido, in relazione agli eventi militari e alle fitte negoziazioni tra centro e peri- feria.

Un decisivo passo avanti verso l’adozione di un’innovativa concezione degli spazi amministrativi appare invece individuabile a partire dal ducato di Vittorio Amedeo II, cui si deve l’introduzione del- le intendenze4, con relativo riparto in dodici province, nel 1697. La ricostruzione cartografica testimo-

nia in questo caso una chiara razionalizzazione spaziale del disegno provinciale, che – se paragonato sia alle diciotto unità gradualmente emerse nei decenni anteriori sia al precedente tentativo di riforma organica del 1622 – rivela una posizione più baricentrica dei capoluoghi e un’inedita compattezza del- le sue unit| costitutive, con l’eliminazione di molte enclave e irregolarit| confinarie. Le nuove varia- zioni dei confini statali implicate dalle guerre di Successione, insieme alle politiche di rafforzamento del controllo centrale sulle periferie, ispirano ulteriori e ripetuti rimaneggiamenti delle circoscrizioni provinciali nella prima met| del Settecento: nel 1717, con la riduzione a sette del numero dei ‚dipar- timenti‛ delle intendenze; nel 1723 con un riordino tendente a far coincidere le circoscrizioni dei pre- fetti e degli intendenti entro nove province, cui si aggiungono quattro province di ‚nuovo acquisto‛ che mantengono tuttavia ordinamenti particolari; nel 1729-30, con la variazione delle sole circoscri- zioni delle prefetture, che salgono a quattordici, oltre alle cinque per i territori orientali di nuovo ac- quisto, con vistose sfasature rispetto al ritaglio delle intendenze, soprattutto nel Piemonte sud- occidentale.

I problemi lasciati aperti – e, per certi versi, accentuati – da oltre tre decenni di interventi e ripen- samenti sul ritaglio delle intendenze e delle prefetture sollecitano ben presto ulteriori progetti di revi- sione della maglia provinciale, che trovano condizioni favorevoli per la loro realizzazione solo nel 1749, dopo la chiusura della lunga fase bellica delle guerre di Successione. A tale anno risale l’ultima complessiva riforma conosciuta dalle circoscrizioni provinciali piemontesi nel Settecento, ad opera di Carlo Emanuele III. Tale riordino è animato da tre esigenze, esplicitamente testimoniate dalla docu- mentazione preparatoria degli editti del 1749 e 1750 con cui la riforma fu attuata: rendere più unifor- me il controllo del governo centrale sulle periferie, attenuando le differenze tra aree di più antico do- minio e acquisizioni recenti; coordinare meglio le differenti funzioni amministrative (intendenze, pre- fetture e governatorati militari), facendole coincidere entro un unico ritaglio, e operare una comples- siva razionalizzazione spaziale delle circoscrizioni. L’esame della maglia provinciale uscita dalla ri- forma mostra come tali obiettivi vennero raggiunti, seppur con un maggior grado di efficacia per i ter- ritori piemontesi rispetto alle provincie orientali di nuovo acquisto e, soprattutto, rivela l’applicazione

4 Questa carica, già sporadicamente attestata negli ultimi due decenni del Seicento, viene stabilizzata da

Vittorio Amedeo II, con compiti di tipo fiscale, statistico, di controllo sui bilanci delle comunità e dei lavori pubblici (Libra, 2003, p. 130).

2688 ATTI DEL XXXIICONGRESSO GEOGRAFICO ITALIANO

di rigorosi e innovativi principi di razionalità spaziale (valutazione delle distanze tra capoluoghi e comunit| dipendenti, regolarizzazione dei confini con l’eliminazione di tortuosit| e enclave, valuta- zione dell’incidenza degli accidenti naturali quali spartiacque vallivi e corsi d’acqua sulle comunica- zioni).

È quindi opportuno volgere ora l’attenzione alle tracce – via via più esplicite tra XVII e XVIII secolo – del ruolo esercitato dalla cultura geografica e dalla produzione cartografica nell’orientare l’azione riformatrice dei sovrani sabaudi e nel registrarne gli esiti, favorendo quella transizione verso una con- cezione territoriale e moderna degli spazi amministrativi, che con la riforma del 1749-50 può dirsi in gran parte compiuta.