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2.5 DISPOSITIVI PER LA RILEVAZIONE DEL CAMPO MAGNETICO

2.5.3 RILEVATORI A BOBINA

I rilevatori a bobina [Blitz, 1997] hanno il vantaggio di essere economici, resistenti (a patto che siano correttamente incapsulati) e si adattano prontamente alle richieste di determinate applicazioni. Essi sono particolarmente adatti per analizzare aree con ampie superfici. I valori della densità del flusso possono essere determinati misurando o il coefficiente di autoinduzione della bobina oppure, quando viene analizzata una superficie a velocità costante, misurando la tensione indotta. Infatti nel primo caso poiché il coefficiente di autoinduzione di una bobina L è proporzionale alla permeabilità magnetica µ dello spazio racchiuso dall’avvolgimento, cioè del nucleo, allora l’ampiezza della densità del flusso B in un punto in un campo disperso può essere determinata misurando L; mentre nel secondo caso poiché la bobina taglia di traverso le linee di flusso magnetico, viene indotta una tensione in conformità con la legge di Faraday (V = - ∂Φ/∂t, dove V è la tensione indotta e Φ è il flusso del vettore B); la tensione rilevata viene fatta passare attraverso un dispositivo integratore per fornire valutazioni sulla densità del flusso B.

Le bobine, tuttavia, sono generalmente molto più grandi delle sonde a semiconduttore, e possono nascere complicazioni quando sondano attraverso campi che variano rapidamente, specialmente quando i loro assi sono paralleli alla superficie. Esse inoltre non sono in grado di rilevare facilmente piccole fessure. Un tipo di rilevatore a bobina è la Microsonda di Forster [Stanley et al., 1986] che consiste in un piccolo nucleo di ferrite, tipicamente lungo 2 mm e con un diametro di

0.1 mm, circondato da un avvolgimento. Le ferriti possiedono permeabilità magnetiche molto alte e, essendo semiconduttori, sono virtualmente libere da correnti parassite. La bobina è eccitata ad una frequenza relativamente alta, ad esempio 140 kHz. Questa eccitazione è combinata con quella proveniente dal flusso disperso e l’uscita risultante è rilevata attraverso un filtro sintonizzato ad una frequenza doppia di quella d’ingresso. La sensibilità può essere aumentata utilizzando due bobine concentriche, una trasmittente e l’altra ricevente

2.5.4 SQUID

Un recente avanzamento nella misura dei campi magnetici è rappresentato dall’introduzione di un magnetometro chiamato dispositivo superconduttivo ad

interferenza quantica (SQUID: Superconducting Quantum Interference Device) [Blitz, 1997]. Il suo funzionamento è basato sul principio che un campo magnetico induce una corrente elettrica in un circuito superconduttivo chiuso. Esso può rilevare campi molto deboli con un grado di precisione considerevolmente più alto di ogni altro rilevatore magnetico. Uno SQUID può misurare infatti flussi magnetici aventi valori al di sotto di 2.07 ∗ 10-15 Wb a distanze fino a circa 90 mm dall’oggetto che deve essere testato. Esso inoltre è altamente sensibile alle variazioni localizzate dell’intensità del campo ma è insensibile a forti campi esterni. Queste proprietà fanno si che uno SQUID sia in grado di misurare valori molto deboli della dispersione del flusso magnetico derivante dalla presenza di piccole fessure. Un alto grado di precisione e ripetibilità delle misure deriva dal fatto che uno SQUID indica solo i valori quantizzati del flusso magnetico, cioè i multipli esatti di 2.07 ∗ 10-15 Wb. Questa quantità è uguale al rapporto h/e, dove h = 6.63 ∗ 10-34 Js è la costante di Planck ed e = 1.60 ∗ 10-19 C è la carica di un elettrone.

Una caratteristica essenziale di uno SQUID è che qualsiasi conduttore elettrico utilizzato nella sua costruzione ha una resistenza nulla quando è in utilizzo come accadrebbe se il conduttore fosse ad una temperatura sufficientemente bassa da essere in uno stato superconduttivo, cioè se esso diventasse un superconduttore a

che esiste un’altra categoria di materiali che si comportano come superconduttori a temperature all’interno del range 90 – 135 K (–138 a –185 °C); questi materiali sono conosciuti come superconduttori ad alta temperatura ( HTS: High–Temperature Superconductor).

Un breve ma lucido resoconto dei principi che stanno alla base degli SQUID è stato esposto da Hands [Hands, 1985], che ha mostrato come i loro funzionamenti si basano sull’effetto Josephson e sulla quantizzazione del flusso magnetico. Questo effetto si può avere tra due pezzi di materiale superconduttivo quando sono uniti da uno strato isolante con uno spessore dell’ordine di 0.2 µm; la giunzione è chiamata

giunzione Josephson. Coppie di elettroni, conosciute come coppie di Cooper, sono in grado di traforare questo strato, con la conseguenza di generare un cappio superconduttivo. Il cappio superconduttivo crea un flusso magnetico che è un multiplo intero di 2.07 ∗10-15 Wb.

Un resoconto più dettagliato e facilmente leggibile sull’utilizzo degli SQUID è stato presentato da Clarke [Clarke, 1994].

Gli SQUID si suddividono in due categorie, DC ed RF (figura 2.16a).

Figura 2.16 (a) Schemi di SQUID: (i) DC e (ii) RF. S = strati sottili superconduttivi ad alta temperatura che sono depositati su substrati cristallini (non mostrati); E = gradini incisi. (b) I corrispondenti simboli circuitali: J = giunzione Josephson.

In entrambi i casi il circuito consiste in uno strato superconduttivo (S) opportunamente sagomato di dimensioni superficiali approssimativamente 200 µm × 200 µm; lo strato è depositato sulla superficie di un substrato, tipicamente di 10 mm2,

fatto di un materiale come l’ossido di magnesio. Per realizzare la giunzione Josephson, il substrato viene attaccato chimicamente per fornire un gradino (E) avente un’altezza uguale allo spessore dell’isolante appropriato e che biseca le parti strette della sezione trasversale dello SQUID ad angolo retto, così da formare il richiesto collegamento debole. L’accoppiamento tra le parti divise dello strato può essere ottenuto utilizzando un opportuno strato sottile di metallo (ad esempio d’argento). In questo modo attraverso le giunzioni Josephson si presenteranno differenze di potenziale.

Lo SQUID DC consiste in un cappio avente due collegamenti deboli, così da generare due traiettorie parallele per la corrente. Per completare il circuito sono richieste connessioni esterne allo scopo di fornire le misure. Con lo SQUID RF c’è solo un singolo collegamento debole ed il circuito completo è contenuto dentro lo SQUID, così da evitare la necessità di qualsiasi connessione. Questo circuito è collegato per induzione ad un circuito risonante ed è richiesta solo la tensione generata in esso per valutare il flusso magnetico. La figura 2.16b illustra i corrispondenti simboli elettrici che rappresentano i due diversi tipi di SQUID.

Lo SQUID DC è più sensibile perché utilizza un singolo schermo per circondare esso e la sorgente del campo magnetico che deve essere misurata ma è utilizzato raramente per misure NDT; al contrario gli SQUID RF sono meno sensibili ma adeguati per più applicazioni NDT. Perfino con il rumore essi hanno sensibilità considerevolmente più grandi dei dispositivi più convenzionali, come le sonde Hall e le bobine ad induzione. Essi non richiedono contatti elettrici, così che le loro richieste di schermatura sono meno stringenti. E’ perciò possibile collocare uno SQUID RF a distanze fino a 90 mm dall’oggetto da testare.