Emanuele BaUistelli
Che in natura nulla si crei e nulla si distrugga è — per usare un termine curiale •— pacifico. Né scomoderemo l'ombra di
Lavoisier per trarne una
confer-ma. Ma ciò non toglie che la na-tura trasformi continuamente il suo volto. La tinta del quale do-vrebbe essere — come negli evi remoti — prevalentemente ver-de, e purtroppo non lo è più. Di anno in anno il verde restrin-ge la sua area, aggredita da nuo-ve costruzioni edilizie, da cica-trici stradali e autostradali. An-che il verde urbano non ha sor-te migliore. Gli alberi dei viali, dei parchi, intristiscono vittime dell'aria inquinata, o vengono impietosamente abbattuti per dar posto a nuove aree edilizie e ad aree di parcheggio automo-bilistico.
In Italia il verde urbano ha concentrazioni di qualche inte-resse in alcuni grandi centri cit-tadini, ma non è paragonabile a quello che delizia le grandi me-tropoli europee. Giova sotto que-sto aspetto accennare — tanto per fare un esempio significati-vo — ad Amsterdam.
Quella città olandese possie-de un parco di circa 1000 ettari, strappati, in questi ultimi qua-rant'anni, a palmo a palmo, alla palude, alla cimosa marina. Al-l'ombra dei suoi folti viali cir-colano autovetture, si snodano sentieri pedonali, piste ciclabili. Forse una edizione minore di quel capolavoro è ravvisabile nel parco di Castelporziano alle porte di Roma e, senz'altro, nel-la Foresta nera in Germania.
Nelle nostre città il verde non è soltanto quello dei parchi e dei viali, mai abbastanza vasti. Il verde fa mostra di sé anche nei giardini delle case patrizie bor-ghesi, e perfino nei cortili delle case popolari. Ma è un verde anemico, morituro per insuffi-cienza di aria e di luce. Gli al-beri ivi assomigliano ed altret-tanti uccelli in gabbia: esponenti di una mortificante tristezza. Si che non ha torto il poeta quan-do commisera la sorte di un al-bero condannato all'angustia di
un cortile: « È piccolo, e piccolo ci resta •— Sì, crescere: come gli piacerebbe! — Ma discutere che serve: — Ha troppo poco sole! » Peraltro, il verde in campa-gna e in montacampa-gna scompare per-ché i boschi scompaiono sotto la furia rotavizzatrice. Il neolo-gismo vuole alludere alla sorte dei pioppeti, degli eucalitteti, degli strobeti, delle abietine, dei lariceti, il legname dei quali for-nisce la cellulosa per l'industria della carta richiesta dalle rotati-ve. Il verde scompare anche
per-Sponda fluvialo Indifesa. Il tentativo dolla pioppicoltura di ripa ò errato rispetto alla difesa verdo imperniata sulla robinie pseudoacacle, sugli ontani, ecc.
Esuberante cortina arborea a tergo della quale corre pertanto inoffensivo un fiume.
ché una ottusità burocratica ral-lenta la moltiplicazione dei bo-schi, delle selve e delle foreste: manifestazioni gerarchiche del-l'arboricoltura da legno.
Ed allora dovremmo assistere senza preoccuparcene, alla disos-sigenazione atmosferica, al denu-damento vegetale del suolo, solo perché l'economia è sorda alle esigenze dell'ecologia?
Non dovremmo piuttosto in-coraggiare un modus vivendi tra l'insediamento dell'una e il rispetto per l'altra?
È ben vero che il nemico della motorizzazione civile e rurale è l'albero, ma è altrettanto vero che l'inimicizia può essere neu-tralizzata. Basterebbe allineare alberi ornamentali lungo le stra-de, nazionali, provinciali, comu-nali, interpoderali, vicinali; lun-go gli argini fluviali, i margini perimetrali delle aree occupate dalle dimore extracittadine (2a
casa di campagna o di montagna) a guisa di cortine ombrose e fran-givista; nei terreni del demanio statale e parastatale oggi abban-donati all'incoltura dalla defe-zione contadina e
imprenditoria-le; ovunque uno spazio disponi-bile inviti al piantamento di al-beri dalle chiome abbondanti e splendenti.
Piantare alberi tanto per pian-tarne potrà placare un desiderio, ma è necessario non perdere di vista il relativo aspetto econo-mico, paesaggistico e idrogeo-logico.
È risaputo che gli alberi sono classificabili botanicamente in aghifoglie e latifoglie o caduci-foglie, per quanto alcune aghi-foglie — come il cipresso calvo, i larici — siano a foglia caduca, e alcune latifoglie siano sempre-verdi. Ma è una classificazione scolastica che, per quanto utile, non serve alla selvicoltura prati-ca, soprattutto a quella impren-ditoriale. La classificazione che dovrebbe integrare l'accennata è quella che cataloga:
— gli alberi a funzione orna-mentale,
— gli alberi a destinazione in-dustriale,
— gli alberi a difesa idrogeo-logica del territorio.
Gli alberi ornamentali che de-tengono il brevetto della maesto-sità li troviamo tanto nella clas-se delle aghifoglie quanto in quella delle latifoglie. La scelta spazia in una gamma vastissima. Basta consultare un qualunque "catalogo vivaistico in
policro-mia per sincerarsene.
C'è nella folla degli alberi e degli arbusti ornamentali una graduatoria di valori. Alcune specie caducifoglie conservano la loro maestosità perfino du-rante il letargo invernale, grazie alle perfette geometrie delle chio-me. Altre costituiscono l'archi-tettura verde e variopinta del-l'eleganza vegetale.
Ma quante sono le specie ar-boree e arbustive, congeniali al nostro clima, che disimpegnano il ruolo decorativo loro affidato da Madre Natura e spesso esal-tato dalla certosina opera gene-tica dell'uomo?
Più di 300 specie se ne con-tano, molte delle quali varietal-mente prolifiche, di cui un centi-naio appartiene alla classe delle conifere sovraneggiata dal Pino italico (Pinus pinea), l'albero eletto a simbolo della flora deco-rativa italiana.
La maggior parte delle latifo-glie di allineamento, compren-dente platani, ippocastani, fras-sini, pioppi tremuli, liriodendri tulipiferi, tigli, ecc, fiancheggia le grandi strade mutandole in viali ombrosi. Se ne dovrebbero però moltiplicare i piantamenti. Sennonché un subentrato cismo vi si oppone. È un ostra-cismo alimentato dagli automo-bilisti più disattenti e spericolati che paventano in ogni albero un pericolo d'infortunio e di morte. Gli alberi di allineamento sono — e lo abbiamo già det-to — a foglia larga. Ciò non det- to-glie però che alcune specie a fo-glia aghiforme, come la conifera
Douglasia (Pseudotsuga) possa essere fra le prescelte, sebbene il collocamento ideale delle
co-nifere sia nei parchi e nei giar-dini.
Nello spazio spartitraffico del-le autostrade dovrebbe trovare collocamento la numerosa schie-ra di arbusti a foglia caduca — ne esistono circa 150 specie — che per la varia tonalità di co-lore del fogliame e l'abbondan-tissima fioritura neutralizzereb-be la nudità e la monotonia del nastro stradale. Il corridoio cen-trale popolato di fantastiche flo-re potflo-rebbe costituirne una ma-gia caleidoscopica.
Gli alberi a destinazione in-dustriale, p u r non difettando di una apprezzabile attrattiva, so-no ben altra cosa, e h a n n o ben altra sede.
I più ricercati e quindi i più coltivati sono quelli a tessuto legnoso tenero o dolce, poco co-lorato, come gli abeti, i pini eso-tici, il tassodio, i pioppi europei, i pioppi americani, i pioppi ibri-di euro-americani, i càrpini, gli aceri. Essi partecipano alla for-mazione della pasta di legno chi-mica, la quale, a sua volta, è la materia prima cellulosica — di maggiore importanza — della fa-melica industria della carta. In-dustria oggi in crisi, per caren-za di materia prima cui non è facile ovviare sollecitamente. Il lungo ciclo di vegetazione (il meno lungo è quello del pioppo, che tuttavia sfiora i 15 anni) in-coraggerebbe soltanto coloro che avessero in simpatia l'accumula-zione dei capitali ad interesse composto, cioè a lungo termine; e coloro che avendo terreni di-sponibili, a seguito della pro-gressiva deruralizzazione del Paese, preferissero alla condu-zione a economia diretta con sa-lariati, o alla coltivazione cerea-licola di ripiego affidata a ditte
meccaniche contoterziste, l'asso-ciazione dei terreni stessi ad es-senze legnose nobili come quelle da falegnameria e da ebanisteria, o a quelle meno nobili come le essenze da cellulosa.
Nemici della selvicoltura — soprattutto delle sue giovani piante — sono più che altro i bovini, quante volte siano por-tati a pascolare le erbe spontanee degli interfilari; e gli incendi, quante volte dolosamente o col-posamente f a n n o ad essi da esca le superstiti erbe intisichite dai freddi invernali o dalle ostinate
aridità estive. Bisognerebbe po-terne evitare l'inquinamento con frequenti fresature, o con l'uso di specifici diserbanti. Fasce di protezione antincendio possono essere costituite con cortine pe-rimetrali di acacia melanoxylon, di ciliegio tardivo (Prunus
sero-tino). Ma esse arginano gli
in-cendi che si sviluppano all'ester-no dei boschi di conifere, dei pioppeti e non quelli all'interno. Q u a l u n q u e tipo di forestazio-ne è già una garanzia alla stabi-lità fisica del terreno e quindi è idrogeologicamente
consigliabi-Statisticamente è più vasto il suolo alto montano nudo, Indifeso, che quello associato ad abetine, a lariceti. Per forestarlo bisognerebbe poter croaro un servirlo obbligatorio forestale, premilitare o
Il tributo montano dalle foreste è economico e idrogeologico insieme. Il larice — conifera a foglie caduche — è la specie più congeniale all'ambiente alto-montano.
le. Ma c'è una specie che in vir-tù del suo apparato radicale ag-glutinante impedisce vittoriosa-mente i franamenti, gli smotta-menti, i crolli spondali. Alludia-mo alla Robinia falsa acacia. Se ne conoscono nove varietà. È il caso di citarle:
— R. pseudo acacia comune (specie spinosa)
— R. pseudo acacia hispida ro-sea (dai fior color lillà) — R. pseudo acacia bassoniana — R. pseudoacacia decaisneana (dai fiori color rosa elegan-tissimi)
— R. pseudo acacia monophyl-la (specie inerme)
— R. pseudoacacia pyramidalis (specie stakanovista o a solle-cito sviluppo)
— R. pseudoacacia semperflo-rens (a fioritura continua) — R. pseudoacacia tortuosa (la
cui caratteristica è nei rami contorti)
— R. pseudoacacia umbriculi-fera (di statura piuttosto pigmea).
Un'altra specie a capillizio ra-dicale agglutinante è individua-bile nel nocciuolo. Ma più che da legno, la specie è da frutto.
Piuttosto sono all'altezza del compito antierosivo alcune altre specie a torto trascurate, come ailanto, ontano verde, ontano napoletano o cordata, maggioc-ciondolo, pino montano o mugo.
Il paludamento verde delle campagne di piano e di colle, soggette a impaludamenti le pri-me e ad erosioni le seconde, è
dal punto di vista arboricolo fa-cile; meno facile è quello delle schiene ispide dei monti, in quanto che esse richiedono prio-risticamente difese idrauliche
intese a drenare le acque del sot-tosuolo, cui sono imputabili le " f r a n e di slittamento e a costruire
sbarramenti nei calanchi e nei burroni favorendone l'insabbia-mento (colmate di monte).
Il rimboschimento montano è più opera pubblica che privata. È escluso che i privati, a questi chiari di luna, possano affronta-re opeaffronta-re ciclopiche del geneaffronta-re. Ed essendo un'opera pubblica bisognerebbe poter creare un servizio obbligatorio forestale, premilitare o postmilitare.
Il rimboschimento montano — a scopo idrogeologico ed eco-nomico insieme — è un proble-ma annoso, per la soluzione del quale si sono vanamente versati fiumi d'inchiostro e se ne versa-no ancora. Non fosse altro per ribadire i nomi delle specie fore-stali più conformi ai singoli am-bienti fitoclimatici nazionali.
Faremmo eco a u n competente con la C maiuscola, al prof. Ari-berto Merendi, se ne facessimo, come ora qui ne facciamo, una discriminazione.
In quelli che hanno nel casta-gno la specie più rappresentati-va potrebbero trorappresentati-vare utile col-locamento due latifoglie esoti-che, come la quercia rossa e il noce nero, il cui legname d'ope-ra ha una collocazione alta nella gerarchia dei valori e delle uti-lizzazioni.
Più in alto la montagna non può che ospitare il faggio — uni-ca latifoglia — e le aghifoglie: abete bianco (Abies pectinata), pino nero d'Austria; e nelle pie-ghe umide, il Cipresso calvo (a foglie caduche come il larice).
Più in alto ancora fino al li-mite estremo concesso alla
vege-liti Paesi — ii nostro escluso — si fanno enormi sforzi per arginare la deruralizzazione della montagna.
fazione delle piante arboree so-no, ma dovrebbero essere mag-giormente, di scena l'abete ros-so, più noto sotto il soprannome di peccio, il pino silvestre, il pino cembro — chiamato comune-mente cirmolo •—- il pino mugo uncinato e il larice.
Ma, a prescindere da questa fugace rassegna e ipotetica pro-spettiva, l'urgenza del rimboschi-mento, sia nei bacini montani che in quelli submontani e di pianura, è a lato dei corsi d'ac-qua. Trattasi della difesa verde delle sponde fluviali: difesa co-me s'è già detto imperniata so-prattutto sulle robinie pseudo-acacie. Altri ne deprezza il legno non intravedendone nessuna pro-ficua utilizzazione, altri invece ne soppesa l'alta funzione netta-rifera.
Ma tali energiche difese verdi spondali vengono spesso distrut-te da ditdistrut-te escavatrici che, anzi-ché dragare gli alvei, aumentan-done la capacità d'invaso, aggre-discono le sponde e ne prelevano abusivamente il duplice materia-le pietroso e terroso, destinato alle colmate meccaniche, alle so-praelevazioni stradali, ecc. Ogni denuncia dell'abuso e dello scem-pio al Genio civile, ai Carabi-nieri, rimane inevasa.
Ora, a prescindere da questi abusi i quali rimangono impuni-ti, e che pertanto si moltiplicano, resta il fatto che nessun'apprez-zabile rinascita verde — in sen-so più totalitario — sarà possi-bile fino a quando i n f u n e r à
l'esodo rurale.
Il quale è una necessità eco-nomica veramente assoluta?
C'è da dubitarne.
Tuttavia in molti Paesi — il nostro escluso — la defezione contadina e quella imprendito-riale, e le loro conseguenze sul-l'ambiente naturale, suscitano le più gravi apprensioni. E ciò perché le alluvioni più o meno catastrofiche hanno la loro
con-causa nel fatto che le terre sono abbandonate a se stesse. Altrove, come in Giappone, unico Paese al mondo che soppesi i più seri problemi ecologici, i governi stanno facendo enormi sforzi per arginare, comprimere il fe-nomeno dell'urbanesimo, attuan-do una politica intesa al livella-mento dei redditi delle tre grandi categorie economiche: agricole industriali, terziarie.