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La rinegoziazione del contratto e l’obbligo di rinegoziare: tesi e

e confutazione

Nonostante sia divenuta oggetto di attenzione dei giuristi solo recentemente, la rinegoziazione non può giudicarsi del tutto avulsa dalla nostra tradizione codicistica.

Nel codice civile la rinegoziazione del contratto è innanzitutto rimessa alla volontà delle parti397: i contraenti, nell’esplicazione della propria autonomia privata,

possono liberamente determinare il contenuto del contratto, introducendo una specifica clausola con cui si impegnano a trovare soluzioni ai conflitti che potrebbero insorgere a causa delle sopravvenienze398.

La rinegoziazione di fonte convenzionale non genera questioni di meritevolezza, ma sposta il problema sull’effettiva coercibilità dell’impegno399, posto

che la clausola rinegoziativa, pur vincolando le parti a trattare, non impone alle medesime di concludere un accordo modificativo.

Se il mero vincolo a rinegoziare non è uno strumento di sicura continuazione del rapporto400, appare più proficuo per le parti, che ne temono l’interruzione,

introdurre nel contratto un meccanismo di adeguamento automatico. Si tratta di

397 Così C. BRUNO, La questione delle sopravvenienze: presupposizione e rinegoziazione, in Giust. civ., 2010,

p. 237 ss.. G. SICCHIERO, La rinegoziazione, in Contr. e impr., 2002, p. 809, afferma che la rinegoziazione è attività che, ove sfoci nella modifica del precedente accordo, assume natura contrattuale, in virtù della formula contenuta nell’art. 1321 c.c..

398 F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 214, definisce

le clausole di rinegoziazione del contratto come uno strumento in grado di assicurare il controllo, costante e per tutta la durata del rapporto, sulla realizzabilità del risultato economico finale. Per approfondimenti si rinvia a V.M. CESARO, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell'equilibrio

contrattuale, Napoli, 2000, a M.P. PIGNALOSA, Clausole di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, Nuova g. civ. comm., 2015, pp. 411 ss. e a E. TUCCARI, Clausole di rinegoziazione ed eccezione d’inadempimento nel contratto di somministrazione, in I Contratti, 2014, pp. 990 - 996.

399 V. ROPPO, Il contratto, Bologna, 2011, p. 972, rileva che indipendentemente dalla fonte dell’obbligo

di rinegoziare - contrattuale (clausola di rinegoziazione) o legale (buona fede integrativa) - si apra un problema in caso di inadempimento della parte che rifiuta di rinegoziare o rinegozia contro buona fede.

400 E. TUCCARI, Clausole di rinegoziazione ed eccezione d’inadempimento nel contratto di somministrazione, in I Contratti, 2014, p. 994.

109 clausole che riescono, in una certa misura, a neutralizzare le sopravvenienze prevedibili o più temute401.

I contraenti che, al contrario, non abbiano preventivamente concordato la rinegoziazione o l’adattamento automatico del contratto potrebbero - al verificarsi di sopravvenienze impreviste - intavolare delle trattative per superare la problematica. In questa ipotesi, si preferisce parlare di negoziazione piuttosto che di rinegoziazione, poiché l’avvio della trattativa è spontaneo e deve essere svolto nel rispetto dei consueti doveri di correttezza e buona fede402.

Nel codice civile la rinegoziazione del contratto è riconducibile anche ad altre previsioni normative tra cui: (i) l’art. 1467 c.c., che introduce una particolare forma di revisione del contratto, seppur rimessa all’iniziativa di una sola parte e (ii) l’art. 1664 c.c., che fa espresso riferimento alla revisione del prezzo nel contratto di

401 A. GENTILI, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione e rinegoziazione del contratto, in Contr. e impr., 2003, p. 711, valorizza le numerose sottospecie che si possono includere nel macrosistema delle

clausole di rinegoziazione. Vi sono, invero, clausole che prevedono la libera facoltà delle parti di negoziare, senza obblighi, come se fosse un suggerimento. A tali clausole deve essere negata una rilevanza giuridica. Bisogna, quindi, spostare l’attenzione sulle clausole che introducono un obbligo, seppur quest’ultime, per non rischiare di essere nulle, dovrebbero fornire criteri di adempimento. Allo stesso tempo l’inserimento di criteri di adempimento dettagliati in una clausola che impone alle parti di rinegoziare non lascia spazio ad alcuna attività rinegoziativa, richiedendo solo una applicazione concreta dei medesimi.

E. TUCCARI, Clausole di rinegoziazione ed eccezione d’inadempimento nel contratto di somministrazione, in I

Contratti, 2014, p. 994, ritiene che per assicurare la massima flessibilità al contratto debbano prevedersi

clausole di rinegoziazione generiche. Sennonché malgrado gli indiscutibili vantaggi le clausole a contenuto generico sollevano delle perplessità: (i) ciascun contraente potrebbe approfittare della genericità della clausola a proprio vantaggio; (ii) le clausole di rinegoziazione vincolano a trattare senza necessariamente costringere a modificare il negozio originario; (iii) tali clausole attribuiscono una facoltà a rinegoziare. L’autore considera, quindi, tale strumento sostanzialmente superfluo: “Le

clausole che stabiliscono la mera facoltà delle parti di rinegoziare il contratto originario finiscono per rappresentare soltanto clausole di stile, poco o nulla aggiungendo a quanto già desumibile dai principi generali del nostro sistema”.

Sono considerate clausole di adeguamento le clausole di incidizzazione, che costituiscono una costanza nei contratti destinati a protrarsi in tempo al fine di proteggere il valore delle prestazioni pecuniarie, così F. MACARIO, I Rimedi mantenutivi l’adeguamento del contratto e la rinegoziazione, in Trattato del

Contratto, a cura di V. Roppo, V, Rimedi -2, Milano, 2006, p. 709.

402 Così A. GENTILI, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione e rinegoziazione del contratto, in Contr. e impr., 2003, p. 705.

Non sembra aderire alla definizione proposta da Gentili, F. GAMBINO, voce Rinegoziazione, in Enc.

giur. Treccani, Agg., XV, Roma, 2006, p. 3, che definisce la rinegoziazione come il momento in cui le

parti tornano sul contenuto di un precedente negozio, manifestando la loro inclinazione alla conclusione di un accordo modificativo: “Il ritorno ad una fase anteriore”.

110 appalto. In simili circoscritti casi è, dunque, la legge a prevedere la rideterminazione del rapporto, sollecitando (senza imporre) la rinegoziazione403.

Come più volte rilevato - a parere della dottrina favorevole alla rinegoziazione - le richiamate previsioni codicistiche non fornirebbero risposte soddisfacenti alle problematiche concernenti i contratti di durata404.

La medesima scienza giuridica ritiene che nel codice civile sia, però, rinvenibile una tendenza generale a conservare il rapporto nel tempo, in virtù della quale sarebbe possibile ricorrere ad un’interpretazione storico-evolutiva delle norme del nostro ordinamento405, al fine di introdurre nello stesso strumenti di

salvaguardia di quei contratti di durata che, apparendo come “contenitori da

riempiere in itinere”, richiedono una continua cooperazione tra le parti406.

403 A. GENTILI, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione e rinegoziazione del contratto, in Contr. e impr., 2003, p. 706, ritiene che una legge che detti regole di contenuto, destinate a rideterminare gli

aspetti del rapporto contrattuale, e che fornisca indicazioni anche sull’atteggiamento che le parti devono tenere nella rinegoziazione, debba essere considerata una forma di integrazione legale del patto preesistente. Si cfr. anche G. SICCHIERO, La rinegoziazione, in Contr. e impr., 2002, p. 778.

404 C.G. TERRANOVA, L'eccessiva onerosità nei contratti, artt. 1467 - 1469, Il Codice Civile, in Commentario

diretto da P. Schlesinger, Milano, 1995, p. 239. La stessa riduzione della prestazione è reputata dalla giurisprudenza un rimedio di conservazione del rapporto, preferibile alla risoluzione. Si veda A. DI MAJO, La tutela del promissario-acquirente nel preliminare di vendita: la riduzione del prezzo quale rimedio

specifico, in Giust. civ., I, pp. 1636 ss..

P.G. MARASCO, La rinegoziazione e l’intervento del giudice nella gestione del contratto, in Contr. e impr., 2, 2005, p. 545, considera l’art. 1467 c.c. inadeguato perché riconosce la possibilità di chiedere la revisione del contratto divenuto iniquo solo alla parte che in teoria avrebbe meno interesse al riequilibrio, la parte avvantaggiata.

405 F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, pp. 76 ss.,

fautore della tesi che riconosce l’esistenza implicita di un obbligo di rinegoziare nei contratti di durata, ritiene che esista nel nostro ordinamento un generale principio di adeguamento del contratto, che trova la sua espressione normativa in regole specifiche. Vi sarebbe, quindi, un interesse riconosciuto dall’ordinamento come meritevole di tutela alla prosecuzione del contratto. Macario ritiene, inoltre, legittimo il tentativo di riorganizzare in termini sistematici la materia, essendo il rapporto contrattuale di durata contrassegnato da una propria autonomia concettuale. Lo stesso autore in Rischio contrattuale

e rapporti di durata nel nuovo diritto dei contratti: dalla presupposizione all'obbligo di rinegoziare, in Riv. dir. civ., 2002, p. 71 e in I Rimedi mantenutivi l’adeguamento del contratto e la rinegoziazione, in Trattato del Contratto, a cura di V. Roppo, V, Rimedi -2, Milano, 2006, pp. 693 ss., individua i dati normativi

rinvenibili nel nostro codice civile in favore della conservazione del contratto.

P.G. MARASCO, La rinegoziazione e l’intervento del giudice nella gestione del contratto, in Contr. e impr., 2, 2005, p. 545, afferma che la preferenza a revisionare il contratto trovi conferma nell’art. 1467 c.c. e nella disciplina speciale delle fattispecie contrattuali influenzate dal tempo.

406 In questo senso si veda C.G. TERRANOVA, L'eccessiva onerosità nei contratti, artt. 1467 - 1469, Il Codice Civile, in Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1995, p. 245.

F. CARNELUTTI, Sulla efficacia delle clausole non accettate contenute nelle fatture commerciali, in Riv. dir.

comm., 1915, II, pp. 2 e 3, dichiara: “Sennonché è anche naturale, e perciò frequente, che il regolamento espresso dal rapporto contrattuale, breve e incompleto al momento in cui il contratto si forma, si completi successivamente

111 In mancanza di strumenti convenzionali, il mezzo giuridico decisivo per ottenere l’adeguamento dei rapporti di durata in corso d’esecuzione è stato individuato nell’offerta individuale di modificare le condizioni del contratto di cui al comma 3, dell’art. 1467 c.c.407.

L’analisi del dettato letterale di questa norma evidenzia come il contraente onerato a causa della sopravvenienza non abbia alcuna possibilità di domandare la riduzione ad equità del contratto. Quest’ultimo è legittimato unicamente a richiedere la risoluzione del contratto divenuto eccessivamente gravoso, sperando che la parte convenuta ne proponga la modifica equitativa408.

Tuttavia, per le teorie che affermano l’esistenza dell’obbligo legale di rinegoziare, l’offerta unilaterale - con cui si rimette al giudice la valutazione dell’assetto contrattuale equo - dovrebbe essere intensa come un invito a trattare e, dunque, come una proposta modificativa finalizzata ad evitare che si pervenga ad un emendamento del contratto attraverso una pronuncia giudiziale, sostitutiva dell’accordo409.

In altre parole, l’offerta di modifica (ai sensi del comma 3, dell’art. 1467 c.c.) darebbe avvio ad una vicenda puramente negoziale, fondata sull’obbligo delle parti di cooperare - alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede - per realizzare il regolamento contrattuale desiderato410. Se così non fosse, afferma Francesco

Macario, il diritto di evitare la risoluzione risulterebbe mutilato411.

in condizioni di maggior tranquillità per i contraenti con l’iniziativa di uno di questi e con l’adesione dell’altro”.

Secondo E. GUERINONI, L’incompletezza e completamento del contratto, Milano, 2007, p. 7: “Le parti spesso

preferiscono non pianificare in maniera rigida i termini dell’accordo, ma lasciare flessibile il contratto, aperto a eventuali complementari adattamenti”. Contra F. GAMBINO, voce Rinegoziazione, in Enc. giur. Treccani,

Agg., XV, Roma, 2006, p. 3, il quale esclude che le norme del codice, relative alla conservazione del contratto, possano essere ricondotte alla rinegoziazione e M. BESSONE, Adempimento e rischio

contrattuale, Milano, 1969, p. 49, secondo cui l’art. 1467, anche se interpretato facendo ricorso

all’interpretazione complessiva delle norme e all’analogia, lascerebbe aperto il problema per un gran numero di casi in cui i rischi rientrano nella normale alea del contratto.

407 F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 298.

408 Per una compiuta ricostruzione si veda F. GAMBINO, voce Rinegoziazione, in Enc. giur. Treccani,

Agg., XV, Roma, 2006.

409 F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, pp. 290 ss.. 410 F. MACARIO, I Rimedi mantenutivi l’adeguamento del contratto e la rinegoziazione, in Trattato del Contratto, a cura di V. Roppo, V, Rimedi -2, Milano, 2006, p. 699, osserva che alcuni autori hanno

auspicato l’inserimento nel codice civile di regole di carattere dispositivo, sulla revisione del contratto per la soluzione di controversie originate dalle sopravvenienze, lasciando comunque al giudice la

112 Da questa prima ricostruzione sistematica il medesimo autore è giunto a riconoscere un obbligo implicito a rinegoziare per tutti i contratti destinati a durare nel tempo, in modo da rendere “l’attuazione del regolamento contrattuale congrua

rispetto agli interessi dei contraenti”412. L’obbligo di rinegoziare sarebbe, quindi, un

rimedio mantenutivo dei contratti di lunga durata che deve essere aggiunto ai rimedi previsti dal codice civile per i contratti istantanei.

Tale conclusione è stata giustificata osservando che, se le parti fossero state a conoscenza delle sopravvenienze, avrebbero contrattato tenendole in scelta finale con riferimento alla soluzione più equa in relazione alle circostanze del contratto. In proposito, lo stesso autore ritiene che la commistione tra la vicenda processuale e quella negoziale non possa essere evitata, pur rilevandosi occasionale, poiché determinata dal fatto che l’art. 1467 comma 3, rimette solo alla parte chiamata in causa, per la risoluzione, l’iniziativa dell’adeguamento, cfr. F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 292.

411 Viene individuato nel dettato normativo un diritto soggettivo ad evitare la risoluzione, manifestato

con la proposizione dell’offerta, a cui corrisponde l’obbligo della controparte di trattare le condizioni di modifica. Solo così il meccanismo di adeguamento offerto dal comma 3 dell’art. 1467, diviene idoneo a realizzare gli interessi dei contraenti nel caso concreto, in questo senso F. MACARIO, Adeguamento e

rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, pp. 290 ss..

Per una ricostruzione sintetica della tesi di Macario si rinvia a M. BARCELLONA, Appunti a proposito di

obbligo di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Europa dir. priv., 2003, p. 482. Contra P.G.

MARASCO, La rinegoziazione e l’intervento del giudice nella gestione del contratto, in Contr. e impr., 2, 2005, p. 569.

412 Cit. F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 320.

Macario si domanda inizialmente se l’individuazione dell’obbligo di rinegoziare, a seguito dell’offerta

ex art. 1467 c.c., possa consentire di ricostruire tale obbligo per tutti i contratti a lungo termine: “In sostanza, l’esistenza stessa di un rapporto contrattuale destinato a protrarsi nel tempo potrebbe implicare un obbligo reciproco dei contraenti a trattare le condizioni della modificazione del contratto, anche indipendentemente dalla ricorrenza di tutti i requisiti per la risoluzione ex art. 1467, ossia quante volte la situazione di fatto sia tale da non permettere l’adempimento delle obbligazioni assunte, senza un sostanziale sacrificio economico per il debitore (ancorché in misura tale da far scattare presupposti della risoluzione per eccessiva onerosità)” cit. F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli,

1996, p. 312.

A tale prima questione l’autore sembra fornire una risposta negativa, per cui laddove si presenti una variazione economica dovrebbe continuare ad applicarsi l’art. 1467 c.c.. Diversa è, invece, la soluzione per i casi in cui sia intervenuta un’alterazione incidente sull’aderenza del contratto alla situazione reale, in soccorso dei quali, attraverso l’applicazione del principio di buona fede, può certamente riconoscersi un obbligo di rinegoziare (in proposito, veda la ricostruzione di M. BARCELLONA,

Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Europa dir. priv., 2003, p.

482, nota 41). Macario sembra, tuttavia, ammettere nel seguito della propria trattazione che anche l’imposizione dell’adempimento incondizionato, a fronte di una situazione economicamente incongrua rispetto alle pattuizioni originarie, può avere l’effetto di impedire definitivamente la realizzazione di un investimento nel suo complesso e rivelarsi pregiudizievole per le parti (F. MACARIO, Adeguamento

e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 324).

Si ricorda, in proposito, la risposta di R. SACCO, R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da R. Sacco), II, 3° ed., Torino, 2004, p. 722, alla compatibilità tra l’obbligo di rinegoziare di fonte legale e l’art. 1467 c.c.: il primo non è da considerarsi in contrasto con la normativa dell’eccessiva

113 considerazione, poiché è irragionevole una negoziazione basata su condizioni prive di riscontro nella realtà413. A ciò si aggiunga che, l’inadempimento o il

comportamento ostruzionistico di una parte all’obbligo di rinegoziare dovrebbe essere inteso come “opportunistico e quindi non tutelato dall’ordinamento” per contrarietà alla buona fede (ai sensi dell’art. 1375 c.c.)414.

Il pensiero di Macario segue il filone già aperto da chi ha individuato la base normativa dell’obbligo a rinegoziare proprio nel canone di buona fede o in, alternativa, nell’equità415.

Come anticipato, le posizioni che arrivano a fondare un obbligo legale di rinegoziazione non hanno trovato unanime condivisione416. Tra le argomentazioni

contrarie, si è giustamente valorizzata l’incapacità dell’art. 1375 c.c. a riformulare in modo coercitivo la volontà dei contraenti, affinché il contratto si adegui alle sopravvenienze417.

onerosità sopravvenuta essendo tale previsione evidentemente pensata per fattispecie contrattuali diverse da quelle di lunga durata.

413 F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 321. 414 Cit. F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 321.

Si veda in merito F.P. PATTI, Obbligo di rinegoziare, tutela in forma specifica e penale giudiziale, commento alla ordinanza del Trib. Bari, 14 giugno 2011, in I Contratti, 2012, p. 579, che aderisce alle tesi dottrinale in esame: “È verosimile che, generalmente, sia il contraente svantaggiato a domandare alla controparte

l’adeguamento del contratto, indicando altresì le modifiche da apportare alle condizioni precedentemente pattuite. L’altro contraente deve cooperare e condurre la rinegoziazione in modo costruttivo secondo i canoni di buona fede. Ovviamente, anche il contraente svantaggiato ha l’obbligo di tenere un comportamento corretto, chiedendo la modificazione del contratto soltanto se ricorre un mutamento delle circostanze idoneo a dar vita all’obbligo di rinegoziare”.

415 Con specifico riferimento alle tesi che hanno fondato l’obbligo di rinegoziare sull’equità e/o sulla

buona fede si rinvia al Paragrafo precedente, ricordando che a parere di R. SACCO, R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, in Tratt. dir. civ. (diretto da R. Sacco), II, 3° ed., Torino, 2004, p. 723, attraverso l’equità di cui all’art. 1374 c.c., è possibile sottintendere nei contratti a durata particolarmente lunga una clausola di rinegoziazione per la sostituzione del dato obsoleto e non più funzionale.

Per l’autore, quindi, è l’equità ad imporre ad i contraenti di riscrivere il contratto. Con riferimento alla buona fede, invece, si vedano a F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 321, V. ROPPO, Il contratto, Bologna, 2011, p. 972 e infine G. BELLANTUONO, I

contratti incompleti nel diritto e dell’economia, Trento, 2000, p. 339, secondo cui: “Nel caso dell’incompletezza contrattuale, l’interpretazione del giudice dovrebbe servire a ridurre i costi complessivi della contrattazione e a riallineare gli incentivi delle parti”.

416 Per G. SICCHIERO, La rinegoziazione, in Contr. e impr., 2002, p. 809, la possibilità di intervento sul

merito del contratto resta limitata ai soli casi in cui è prevista ovvero quando siano state inserite o volute clausole di rinegoziazione che ne rimettano al terzo la rideterminazione.

417 M. BARCELLONA, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Europa dir. priv., 2003, p. 497.

114 Malgrado ciò, si deve prendere atto del fatto che il fascino dell’obbligo a rinegoziare ha portato, anche chi lo considera incongruo (con riferimento all’art. 1467 c.c.) e superfluo (con riferimento all’art. 1664 c.c.)418 a dichiarare che: “Troverà

sempre maggiori fortune nei sistemi giuridici contemporanei” perché “fa sentire più buoni e non costa nulla”419.

Questa dichiarazione di Mario Barcellona è di provvidenziale e preoccupante lungimiranza, se si rivolge lo sguardo alla recente giurisprudenza del Tribunale di Bari420.

Come vedremo, il tribunale barese ha aperto uno spiraglio inedito, essendo le sue decisioni in controtendenza con la giurisprudenza, da sempre contraria

418 M. BARCELLONA, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Europa dir. priv., 2003, pp. 492 ss., ritiene che nel nostro ordinamento siano reperibili due specifichi

strumenti di gestione delle sopravvenienze, rispettivamente definiti nell’art. 1467 c.c. e nell’art. 1664 c.c. Per queste norme il rapporto regola-eccezione esistente tra le stesse deve, però, essere invertito. L’art. 1467 c.c., nonostante trovi collocazione nella disciplina generale del codice, dove essere considerato come disciplina particolare per il rischio quantitativo degli scambi puntuali, al di fuori dei quali non potrebbe essere applicato. Al contrario, l’art. 1664 c.c., che si fonda su un modello giuridico conservativo, dovrebbe essere generalizzato a tutti gli scambi integrativi. In un simile scenario l’obbligo di rinegoziare, apparirebbe incongruo con riferimento all’art. 1467 c.c. e superfluo con riferimento all’art. 1664 c.c..

L’art. 1467 c.c. costituisce un modello consensualistico di gestione del rischio che privilegia la volontà individuale e nel quale le ragioni dell’efficienza economica impersonale del debitore della prestazione cedono alle ragioni dell’autodeterminazione del creditore. Il modello di cui all’art. 1664 c.c. costituisce, invece, un modello conservativo che privilegia l’efficiente allocazione delle risorse. Il rischio è, infatti, integralmente allocato sul creditore a prescindere dal suo consenso. Il primo modello consensualistico appare appropriato per lo scambio puntuale, quando l’esecuzione non presuppone o richiede alcuna duratura interferenza delle sfere patrimoniali dei contraenti nonché alcun condizionamento dei reciproci ed ulteriori programmi economici. Il secondo modello appare, invece, adeguato allo scambio integrativo quando cioè le sfere patrimoniali dei contraenti siano integrate e condizionate.

Ne deriva che: “Rispetto al regime dell’art. 1467 l’obbligo di rinegoziare si dimostra del tutto incongruo, a

misura che finisce per sacrificare il diritto, che tale norma conferisce al contraente avvantaggiato, di sottrarsi (abbandonando l’operazione programmata) alla sopportazione di un onere economico non preventivato, senza che tale sacrificio trovi nel modello degli scambi puntuali alcun reale bilanciamento in una altrimenti inevitabile distribuzione ingiustificata di ricchezza. Rispetto al regime dell’art. 1664, invece l’obbligo di rinegoziazione si dimostra superfluo. Ed infatti, una volta che negli scambi integrativi il dispositivo dell’art. 1467 c.c. risulti ab