Eccomi arrivato alla fine di un percorso lungo e travagliato che ha scandito gli ultimi sei anni della mia vita. L’esperienza accademica rappresenta un bagaglio che ha contribuito in maniera decisiva alla mia formazione, non solo professionale, ma anche personale. Quando si arriva al termine di un’esperienza è doveroso ringraziare tutte quelle persone che in un modo o nell’altro ne hanno fatto parte integrante.
Il primo pensiero va a tutti i miei familiari, chi c’è e chi purtroppo non c’è più. Voi siete stati una costante spinta di energia. Fondamentali per affrontare tutte le difficoltà sia della vita accademica che di quella privata e se oggi sono qui, il merito è anche vostro. Una menzione particolare deve essere riservata alla Mamma che mi ha sempre sostenuto in ogni mia esperienza fornendomi tutto l’appoggio necessario.
Ringrazio tutti i compagni e compagne d’avventura con i quali abbiamo passato momenti indimenticabili sia in Dipartimento che durante i vari “campi” sul terreno: Alessandra, Alessandro, Andrea, Camilla, Enrico, Federica, Filippo, Francesco, Giulia, Riccardo, Sara, Valerio e un ringraziamento speciale è doveroso per i componenti della “Pattuglia Acrobatica” (Cit. Piero Carlo Pertusati): David, Fabrizio, Giulietta e
Guglielmo.
Ringrazio Sara, perché da quando è entrata a far parte della mia vita quotidiana è tutto più semplice e perché riesce a sopportare le mie ansie per questa tesi.
Ringrazio Giancarlo, per tutti gli insegnamenti, per la costante disponibilità, per la passione contagiosa che trasmette nello svolgere la sua professione e per essere stato non solo un mentore professionale ma anche un amico personale.
Ringrazio tutto il Dipartimento di Scienze della Terra di Pisa, che può essere definito una “grande famiglia” per l’aria che si respire al suo interno. Un ambiente così positivo rende l’esperienza accademica di chiunque sia passato da qui un ricordo prezioso ed estremamente positivo.
Ringrazio Daniele, preziosissimo per il lavoro di laboratorio necessario per questa tesi e in generale per la disponibilità fornitami in ogni fase della mia esperienza universitaria che spesso ha incontrato il laboratorio di cartografia. Lo ringrazio in modo particolare anche per aver sopportato, durante lo sviluppo di questa tesi, le mie reiterate intrusioni nella sua pausa pranzo.
Ringrazio Jacques e tutto il gruppo di ricerca del dipartimento di Géosciences
77 Montpellier e per tutti gli insegnamenti che si sono rivelati necessari per lo sviluppo di questa tesi.
Infine ringrazio il prof. Sarti per i dati che mi ha fornito per questo lavoro e per le discussioni proficue riguardanti alcune problematiche che si sono presentate durante lo svolgimento di questo lavoro di tesi.
A tutti voi, con immensa riconoscenza dico GRAZIE!!
78 Appendice A
Criteri di definizione di faglie attive e capaci
Quando una faglia è da considerarsi attiva? La risposta a questa domanda è stata oggetto di un acceso dibattito scientifico nelle decadi passate ed ancora oggi resta una questione tutt’altro che risolta. Fin dagli anni ’60 alcune definizioni di “faglie attive” sono state proposte soprattutto in un contesto legale e normativo, spesso associate alla stima di rotture di superficie e rischio sismico, al fine di indirizzare aree idonee alla costruzione di opere ingegneristiche. I casi più noti sono quelli della US Nuclear Regulatory Commission che definisce capace una struttura che mostra evidenze di almeno un displacement negli utimi 35.000 anni, oppure movimenti ricorrenti negli ultimi 500.000 anni (US NRC, 2010) e dell’Alquist-Priolo Fault Zoning Act
(Bryant & Hart, 2007) che definisce capace una faglia con rotture di superficie
documentate negli ultimi 11.000 anni. Esistono tuttavia definizioni che prevedono intervalli molto più ampi: nella provincia del “Basin and Range”, dove i tempi di ricorrenza sono molto più lunghi, il Western State Seismic Policy Council (WSSPC, 1997; vedi anche Machette, 2000) ha cercato di superare il problema di vincoli temporali
restrittivi definendo “faglie oloceniche” (displacement negli ultimi 10.000 anni), “faglie tardo quaternarie” (displacement negli ultimi 130.000 anni) e “faglie quaternarie” (dispacement negli
ultimi 1.6 Ma); Boschi et al. (1996) indicano in 125.000 anni l’intervallo di tempo per
definire attiva una faglia mentre Trifonov & Machette (1993) adottano 10.000 e
125.000 anni come i due intervalli di tempo per catalogare le strutture in “World
Map of Major Active Fault Project”. Tuttavia gli stessi autori considerano, per le aree
caratterizzate da basse velocità di deformazione, intervalli più ampi come il Pleistocene medio (0.7-0.1 Ma) e il Quaternario (ultimi 1.6 Ma).
Come emerge da quanto illustrato la definizione di faglie “attive” e “capaci” risulta ambigua. Questo fatto esprime la difficoltà di trovare una definizione che sia univoca e applicabile a tutte le aree del mondo. L’approccio più corretto al problema sembra quello illustrato da Muir Wood & Mallard (1992) che definiscono “attiva” una
faglia che ha evidenze di movimento nel contesto del regime tettonico attuale. Secondo questa definizione risulta di fondamentale importanza la valutazione del regime tettonico che insiste attualmente in una determinata area. Per quanto riguarda la penisola italiana i dati relativi alla storia quaternaria mostrano che l’ultimo cambiamento di regime tettonico è individuabile nella transizione tra il Pleistocene inferiore e il Pleistocene medio (Galadini et al., 2012 cum biblio). Per questa
79 ragione Galadini et al. (2012) propongono la definizione di “faglia attiva” che segue:
“una faglia deve essere considerata attiva e capace se mostra evidenze di
attivazione negli ultimi 0.8 Ma, a meno che depositi non più giovani dell’ LMA (ultimo massimo glaciale) sigillino la faglia, mostrando che l’attività post 0.8 Ma sia cessata durante il successivo Quaternario”. Questa definizione considera un intervallo di
tempo significativamente più esteso rispetto a quella riportata dal Dipartimento della Protezione Civile (http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/glossario.wp) che definisce
“attive” le faglie che hanno evidenze di movimento negli ultimi 40.000 anni. Questa differenza è tuttavia giustificata dagli autori che mettono in evidenza come esistano dei limiti operativi per determinare movimenti post 40.000 anni. In particolare questi limiti sono riferibili alla discontinua distribuzione di markers cronologici in settori caratterizzati da fagliamento attivo (si veda discussione in Galadini et al., 2012). Per
quanto riguarda l’Appennino Settentrionale interno, l’evoluzione tettonica a medio e lungo termine (fino a circa 5 Ma) è caratterizzata dallo sviluppo di strutture
estensionali/transtensionali. Questo quadro tettonico è ancora attivo oggi, come dimostrato dai dati di deformazione crostale derivanti da analisi di geodesia satellitare (Bennet et al., 2012; Serpelloni, INGV, dati inediti), sismologici (INGV) e
80 Appendice B
Attività svolte ma non inserite direttamente nel lavoro di tesi
Qui di seguito sono elencate attività svolte, nell’ambito di questo lavoro di tesi, non direttamente richiamate, commentate e descritte nel corpo principale del testo. Tra queste ricordiamo:
- Analisi database di perforazioni nella pianura di Pisa al fine di ricostruire i rapporti tra i sedimenti e le strutture tettoniche del sottosuolo.
- Attività di terreno finalizzata alla raccolta di dati strutturali (geometrico-cinematici)
e morfostrutturali relativi al sistema di faglie di raccordo Apuane/Lunigiana.
- Intervento post-sismico di ricognizione strutture in area epicentrale (sisma del 21/6/2013) per individuazione di eventuali riattivazioni e rotture di superficie.
- Realizzazione DEM con risoluzione a 50 e a 10 metri, a partire da basi cartografiche digitali della Cartografia Tecnica Regionale disponibile, con l’obiettivo di ottenere uno strumento ad alta risoluzione per effettuare indagini morfo-strutturali.
- Analisi morfostrutturale a scala dell’Appennino Settentrionale interno (DEM a 50 metri) attraverso sezioni in serie trasversali alla catena con l’intenzione di individuare i sistemi di strutture a cui sono associate evidenze morfologiche riconducibili al modellamento recente del rilievo. La stessa analisi è stato condotta, con maggiore dettaglio (DEM a 10 metri), in riferimento al sistema di faglie di raccordo Apuane/Lunigiana.
- Impostazione concettuale database di sistemi di strutture superficiali recenti/attive.
- Analisi di immagini da satellite finalizzate all’individuazione di forme del rilievo correlabili all’attività recente/attuale di sistemi di faglie.
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