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La rioccupazione delle funzioni teologiche da parte della modernità

II. Blumenberg: le obiezioni al “teorema della secolarizzazione” e la legittimità

2. La rioccupazione delle funzioni teologiche da parte della modernità

Come accennavamo in conclusione del precedente paragrafo, il sostanzialismo storico sotteso alla tesi della secolarizzazione conduce anche ad una comprensione del cristianesimo che a un esame attento si rivela decisamente parziale. La sopravvalutazione dell'escatologia, innanzi tutto, assolutizza la tensione alla trascendenza del cristianesimo rappresentandolo come una posizione di assoluto rifiuto del mondo, rispetto alla quale l'età moderna viene ad apparire necessariamente come prodotto della “mondanizzazione”. Come abbiamo visto, tuttavia, non è affatto pacifico che la modernità sia anzitutto mondanità; ma soprattutto la tesi della secolarizzazione non considera quanto il fenomeno della mondanizzazione appartenga già originariamente al cristianesimo.

Blumenberg rivede, a partire da questo aspetto, il rapporto che intercorre tra cristianesimo e modernità. Non si tratta di regredire verso lo scenario teologico per

219 Cit. in H. Blumenberg, 1966, tr. it. p. 109 220 Ibid.

individuare una “fonte originaria” della modernità: l'intento è bensì di illustrare in che modo il cristianesimo abbia costruito il proprio modello di ordine cosmico e come poi tale ordine sia entrato in crisi, lasciando libera la strada all'autoaffermazione della modernità. Nell'ottica del modello della “rioccupazione di funzioni”, infatti, è necessario verificare come si formino le questioni epocali che, rimaste poi aperte, stimolano l'epoca successiva a un'originale elaborazione di risposte efficaci.

Il nodo su cui si appunta l'attenzione di Blumenberg è la compresenza e il difficile equilibrio, nel cristianesimo, di escatologia e provvidenza, aspetto che la tesi della secolarizzazione minimizzava facendo della provvidenza semplicemente il nesso che univa Dio all'uomo nel “tempo intermedio” in cui, prima dell'esito escatologico, la salvezza si era già parzialmente realizzata con la venuta di Cristo. L'elaborazione di un valido modello per interpretare il passaggio storico dal cristianesimo alla modernità deve invece considerare questi aspetti contraddittori del suo oggetto, o finirà per rappresentarselo in modo unilaterale e funzionale ai suoi pregiudizi. Perciò Blumenberg cerca di dimostrare la validità del modello della “rioccupazione di funzioni” a partire dalle implicazioni delle faglie di crisi e delle questioni aperte che il cristianesimo conosce fin dalle sue origini. Da una parte, dunque, il difficile equilibrio tra le tendenze apocalittiche e quelle provvidenzialistiche; dall'altra, il confronto del cristianesimo con il suo maggiore avversario storico, la gnosi, che per Blumenberg assume però proporzioni epocali, ben oltre le dispute teologiche condotte nei primi secoli dai Padri della Chiesa.

La gnosi, nella sistematizzazione elaboratane da Marcione nel II secolo d.C., rappresenterebbe infatti una possibile soluzione, coerente e organica, dell'ambiguità cristiana verso il mondo che discende dalla compresenza di escatologia e provvidenza; ma il fatto che tale soluzione si basi su un dualismo esasperato, che rifiuta di attribuire a uno stesso dio creazione e salvezza e che svaluta radicalmente il mondo, la rende inaccettabile

al cristianesimo. Lo sforzo di quest'ultimo sarà perciò volto alla neutralizzazione della gnosi: una prima volta con la filosofia scolastica, che però non riesce a perseguire compiutamente questo fine; la seconda neutralizzazione, stavolta definitiva, segnerà invece la fine dell'assolutismo teologico medievale aprendo la strada al nuovo modello dell'“autoaffermazione umana” (humane Selbstbehauptung), che caratterizzerà la modernità.

a) La “mondanizzazione per mezzo dell'escatologia”. Se l'escatologia biblica è l'elemento genuinamente teologico del cristianesimo, l'idea di provvidenza è invece stata ripresa nella letteratura patristica dalla filosofia ellenistica. Sulla base di questo dato, pur incontestabile, i teoremi della secolarizzazione privilegiano la prima in quanto apparterrebbe al cristianesimo in modo più essenziale, e diventerebbe così possibile parlare della sua successiva mondanizzazione in modo sensato. L'idea di provvidenza invece non poteva inscriversi nel modello della secolarizzazione perché già agli inizi della storia cristiana “essa aveva contribuito per parte sua a quella mondanizzazione del Cristianesimo che era consistita nella rimozione dell'escatologia e nel ripristino di una proroga per la storia. Che il mondo nel suo complesso sia ben amministrato ha un senso soddisfacente solo se la sua esistenza ridiventa un valore”221.

Tuttavia, l'idea che l'escatologia appartenga in maniera più genuina al cristianesimo rispetto alla provvidenza poggia su argomenti deboli. “L'idea della proprietà su ciò che è prodotto, pensato e creato in modo originale”, infatti, “è moderna”: nella prospettiva del cristianesimo non è determinante il carattere specificamente teologico oppure filosofico di un suo contenuto. Perdipiù, “la teologia stessa in senso stretto non può rivendicare alcun diritto d'autore sui propri contenuti, in quanto essa li fa risalire all'atto della donazione per

mezzo della rivelazione”222. L'idea della rivelazione configura un rapporto del

cristianesimo con i propri contenuti affatto diverso da quello fondato sul modello della proprietà sulle sue originali produzioni. L'annessione patristica della filosofia platonica e aristotelica alla teologia non è ad esempio intesa come “appropriazione” di un elemento eterogeneo, ma come il riconoscimento di quell'elemento quale espressione embrionale della rivelazione. In un caso del genere si vede bene come la teologia non concepisca differenze di grado tra i contenuti biblici e quelli di altra derivazione, nel momento in cui tutti sono ricondotti entro l'orizzonte della rivelazione: il criterio non è la legittima proprietà quale potrebbe essere dimostrata storicamente, ma il fatto che un contenuto “venga da Dio”, sia cioè ricevuto sotto la luce della rivelazione.

Stabilita così l'illegittimità della preminenza accordata all'escatologia nei teoremi della secolarizzazione, occorre illustrare come si sia articolato il suo rapporto con la provvidenza. La premessa necessaria all'analisi di questi meccanismi della mondanizzazione è tuttavia chiedersi “che cosa all'origine possa significare in genere l'espressione non mondano”, più “che cosa sia originariamente non mondano nel Cristianesimo”223. Può essere infatti mondanizzato solo ciò che “pretende di essere non di

questo mondo”, ma “nella comprensione del concetto di secolarizzazione” siamo legati alla sovrapposizione tra lo “schematismo parziale dell'extramondanità” di tipo platonico- neoplatonico e la “non mondanità genuina”224. La differenza tra queste due non-mondanità

è che il primo pone un “dualismo della decisione tra possibilità, intenzioni, direzioni che sussistono contemporaneamente”; il secondo non contempla invece la possibilità dell'interesse per il mondo, perché questo “non viene messo in discussione con un'alternativa, ma spinto alla mancanza di senso”225 in ragione della sua fine imminente.

222 Ivi, tr. it. p. 44 223 Ivi, tr. it. p. 47 224 Ibid.

Ad essere definibile come non mondano è quindi ciò che sorge non dalla “riduzione delle rivoluzioni cosmiche a una sola” ma dell'”attualità della crisi di quest'unica”226. La

non mondanità genuina non comporta l'alternativa tra volgersi al mondo e rifuggirlo, ma è una condizione necessitata dall'imminente annichilimento del mondo. E poiché “ciò interessa in egual misura natura e storia”227 l'escatologia testamentaria risulta intraducibile

“in un concetto di storia comunque definibile”228. L'idea che la “storicizzazione

dell'escatologia” avrebbe “condotto a una nuova tensione verso il futuro come dimensione di realizzazioni umane”, e quindi all'atteggiamento fondamentale della filosofia della storia per come ad esempio l'intende Löwith, è quindi in contraddizione con l'”accorciamento delle scadenze” comportato dall'imminente fine del mondo. Rispetto all'attesa messianica dell'ebraismo, il cui sviluppo speculativo recuperava le aspettative storiche deluse dopo l'esilio babilonese, l'attesa prossima del cristianesimo “distrugge questo riferimento al futuro. Il presente è l'ultimo istante della decisione per il vicino regno di Dio, e chi rimanda la propria conversione per mettere in ordine i propri affari è già perduto”229.

Non c'è dunque spazio, a partire dalle strutture del “tempo ultimo” dell'escatologia, per cui possa svilupparsi il “tempo nuovo” delle aspettative mondane e storiche. “Il compromesso con i dati di fatti del mondo, che continuava a esistere, non avvenne affatto proiettando nel futuro ciò che secondo le promesse avrebbe dovuto già essere accaduto. Al contrario: in Paolo, e ancor più chiaramente in Giovanni, la «storicizzazione dell'escatologia» si compie come annunciazione del fatto che gli eventi decisivi della salvezza sarebbero già intervenuti”. In Paolo, il battesimo garantisce già l'assoluzione davanti al tribunale divino, benché il giudizio debba ancora compiersi; in Giovanni il

226 Ibid. 227 Ibid.

228 Ivi, tr. it. p. 49 229 Ibid.

giudizio stesso è già avvenuto, per cui il credente è già in possesso della salvezza della vita e nella vita. Questa rielaborazione nell'interiorità della delusione escatologica fa sì che il futuro non comporti più il radicalmente nuovo, ma diventi piuttosto “il terreno di manovra per le abili trasformazioni e per le scappatoie speculative con le quali le testimonianze tramandate sull'attesa prossima dovevano essere adeguate all'inatteso perdurare di mondo e tempo”230.

La questione non è più l'attesa dell'evento escatologico definitivo, perché esso è già

avvenuto. Ma se le cose stanno così, non è più possibile leggere l'atteggiamento storico

della modernità come una rielaborazione delle attese apocalittiche. La trasformazione dell'escatologia da evento trascendente a provvidenza che agisce nella storia e conduce alla rivalutazione del mondo si rivela un processo tutto interno al cristianesimo; di conseguenza, la modernità costruirà la propria autoaffermazione non sull'appropriazione dell'escatologia ma a partire dalle questioni irrisolte lasciate dal provvidenzialismo cristiano. Blumenberg parla così di “mondanizzazione per mezzo dell'escatologia anziché mondanizzazione dell'escatologia”231: una volta che il futuro escatologico è diventato

indefinito, va perduta anche “la relazione con i beni di salvezza già trasmessi all'umanità redenta”, e resta soltanto “la paura del giudizio e della disgregazione del mondo”. Il concetto di storia che può svilupparsi a partire da queste premesse non è quello “di un'attesa rivolta al futuro e che cerca in esso il proprio appagamento”, ma quello di una dilazione accordata come grazia”232.

La Chiesa si mondanizza e diventa un fattore di stabilizzazione e organizzazione del mondo al punto che “l'interim conquistato per il mondo con la potenza della preghiera si riempie di surrogati della giustizia assoluta”, che viene in ultima istanza “resa

230 Ibid.

231 Ivi, tr. it. p. 43 232 Ivi, tr. it. p. 50

superflua”233. Blumenberg ribalta così la tesi di F. Overbeck per cui “alla Chiesa la fine del

mondo è apparsa vicina solo finché essa non aveva ancora conquistato un pezzo di questo mondo” mostrando come sia “l'energia liberata dalla situazione escatologica eccezionale” a premere per l'“istituzionalizzarsi nel mondo”234. Anche in questo capovolgimento, resta

tuttavia ammissibile la prognosi di Overbeck per cui “finché la chiesa detiene questo pezzo [di mondo], è anch'essa interessata al perdurare di questo mondo; se davvero è minacciato anche l'ultimo pezzo, allora tornerà ad intonare il vecchio appello”235.

Il depotenziamento dell'escatologia viene perseguito dal cristianesimo medievale in primo luogo attraverso la divisione tra un'escatologia cosmica ed una individuale, per cui il giudizio universale alla fine dei tempi non ha più un ruolo attivo al livello della coscienza individuale. La questione dell'armonizzazione tra “i vantaggi del messianesimo irrealizzato” e quelli della “certezza della fede nell'assoluzione già proclamata”236 viene

così posta in secondo piano; e con essa rimane tuttavia irrisolta anche la difficile situazione per cui il cristianesimo deve “dimostrare a un mondo miscredente l'affidabilità del proprio Dio non nel compimento delle Sue promesse ma nel differimento di tale compimento”237.

Blumenberg mostra così che “nessun fattore estraneo o esterno entra in gioco per asservirsi la sostanza autentica delle concezioni escatologiche, bensì […] l'escatologia storicizza se stessa […] imponendo una nuova occupazione del proprio posto con materiale eterogeneo”238. Si rivela perciò del tutto fuorviante parlare di “storicizzazione

dell'escatologia” sottintendendo che “qualcuno” la storicizza ma omettendo di specificare “chi” operi la storicizzazione. Si potrebbe certo dire che “la situazione forzata dell'espropriazione naturale da parte di un'istanza mondana sarebbe sorta solo dalla durata,

233 Ivi, tr. it. p. 51 234 Ibid. 235 Ibid. 236 Ivi, tr. it. p. 52 237 Ivi, tr. it. p. 50 238 Ivi, tr. it. p. 53

inammissibile secondo la Novella annunciata, appunto di questo mondo”. Ma “ciò che l'espressione mondo designa è sorto solo nel processo di quella nuova occupazione dell'attesa finale acuta”239. Se non è ammissibile un concetto sovrastorico e ingenuamente

naturalistico del mondo, il referente della “mondanità” è precisamente ciò che si sviluppa nella rioccupazione delle posizioni problematiche del cristianesimo, anzitutto del perdurare della creazione. L'istanza mondana non è quel principio autonomo che viene rappresentato come attivo nel processo della secolarizzazione, ma è “per parte sua e in quanto tale esattamente come la sua antagonista che si pretende non mondana un prodotto dell'originariamente inammissibile sopravvivenza di un mondo che non poteva rimanere ciò che era stato prima […]. La mondanità non esisteva prima che esistesse la non

mondanità”240. In questo senso la modernità non è “pensabile senza” il cristianesimo: essa

si è sviluppata a partire dalla “questione aperta” della mondanità, che era emersa col cristianesimo. Tuttavia l'originalità delle sue soluzioni ne salva l'autonomia e la legittimità, sgravandola da qualsiasi ipoteca teologica.

b) Il problema della cosmodicea e la sfida gnostica al cristianesimo. Il modello interpretativo della “rioccupazione di funzioni” elaborato da Blumenberg intende valere non solo per la svolta epocale tra cristianesimo e modernità, ma altrettanto per quella precedente tra mondo antico e cristianesimo: “la sopravvivenza del sistema delle questioni al di là di un mutamento epocale e il suo influsso sulle risposte possibili partendo da nuove premesse non è fenomeno che caratterizzi unicamente l'origine dell'età moderna. Il cristianesimo stesso, ai suoi inizi, si trovò soggetto a una simile pressione problematica di questioni che gli erano genuinamente estranee”241, anzitutto legate alla cosmologia. In

entrambi i casi è una “perdita dell'ordine” a suscitare l'emergere di un nuovo modello della

239 Ibid.

240 Ivi, tr. it. p. 54 241 Ivi, tr. it. p. 71

realtà: in un caso, come abbiamo visto sopra, le difficoltà del cristianesimo nel compromesso con il mondo offrono l'occasione al nuovo modello di imporsi; nell'altro è invece il problema del male del mondo ad essere lasciato in eredità come questione irrisolta.

Il paradigma cosmologico sotteso alla filosofia classica greca, dominante nella tradizione platonico-aristotelica e stoica, “aveva fatto sì che alla questione del male fosse attribuito solo un rango secondario e marginale nel sistema filosofico”242. Il problema della

cosmodicea, della giustificazione del mondo, non si pone neppure: il cosmo è tutto ciò che può essere, e più che chiedersi “perché” c'è ci si interessa a quello che “c'è”. Il male non viene perciò tematizzato come un problema metafisico. Il mito platonico del demiurgo narrato nel Timeo fa del male un residuo: l'artefice assoggetta la materia (hyle) preesistente attraverso la persuasione e guardando alle idee come modelli per darle forma, quasi che “la fede dei Greci nella forza del discorso e della persuasione si proietta[sse] […] su un piano cosmico”243. Tuttavia la materia è riottosa e recalcitrante alla sua manipolazione, e

non tutto di essa viene con-vinto dal demiurgo: orbene, su questo “residuo di vaga incongruenza […] grava tutto il peso della spiegazione del fatto che nel mondo vi è anche il male”244. Il problema di una teodicea non si pone rispetto al demiurgo, perché la sua

responsabilità è limitata a ciò che non è il male, alla porzione di materia piegatasi alla sua persuasione. Se del Dio biblico si afferma che ha creato tutte le cose buone, dal momento che ne ha tratta anche la materia ex nihilo, del demiurgo si può dire che abbia creato di

tutte le cose quelle buone.

Il principio per cui il mondo fenomenico è una riproduzione delle idee che non può tuttavia raggiungere il suo archetipo viene tuttavia sbilanciata dal neoplatonismo verso il

242 Ivi, tr. it. p. 133 243 Ibid.

secondo aspetto: “il mondo appare come il grande errore rispetto al suo modello ideale”245.

L'idea viene teologizzata e la materia demonizzata: in Plotino “ciò che un tempo poté essere presentato come la persuasione della necessità da parte della ragione è ora prigionia dell'anima del mondo nel grembo – o meglio nel carcere – della natura”. Il tracciato platonico non viene sconvolto, ma se ne tendono all'estremo le “distanze metafisiche”: il mondo è originato dalla caduta nella materia dell'anima del mondo; l'ordine cosmico sarà realizzato quando quest'ultima invertità il processo nel quale è irretita. “Il male del mondo” è qui “la mancata realizzazione di quell'ordine obbligatorio”246.

Una radicalizzazione più sconvolgente è attuata dalla gnosi. Questo complesso sincretico filosofico-religioso non è individuabile come una dottrina specifica, ma rappresenta piuttosto una tendenza spirituale dell'età tardoantica riscontrabile tanto in ambito ellenistico quanto ebraico e infine cristiano (anche sistemi cristiani relativamente tardi, come quello manicheo, sono riconducibili alla gnosi). L'elemento costante delle dottrine gnostiche potrebbe essere indicato essenzialmente nell'elaborazione sincretica di motivi desunti dalla tradizione biblica e dalla filosofia ellenistica: elaborazione tendenzialmente volta a un esasperato dualismo cosmico, che mette la gnosi in contrasto con la filosofia classica greca e ne fa il principale avversario e concorrente del nascente cristianesimo. Allorché si serve del sistema neoplatonico, non si limita a portarlo alle estreme conseguenze pur restandone nei ranghi, come accadeva con Plotino, bensì “ne modifica l'occupazione dei luoghi”. Il demiurgo, sincretisticamente identificato con il Dio creatore del Genesi, “è diventato il principio del male, l'antagonista del dio di salvezza trascendente, che non ha nulla a che fare con la creazione del mondo”. La sfiducia nel cosmo ne fa una creazione puramente malvagia, lontana sia dall'idea di una creazione provvidenziale che da quella di un ordine modellato sulle essenze eterne: “il mondo è il

245 Ivi, tr. it. p. 134 246 Ibid.

labirinto del pneuma smarrito, in quanto esso è l'ordine della sventura, il sistema di una trappola. La gnosi non ha bisogno di alcuna teodicea, perché il dio buono non si è lasciato compromettere nel mondo”247. La fine del mondo, in quanto soppressione della creazione

illegittima del demiurgo, diviene la salvezza definitiva.

Blumenberg sottolinea innanzi tutto “la sfida che questo sistema doveva rappresentare sia rispetto alla tradizione antica sia rispetto alla dogmatica cristiana che veniva formulata a partire da quella tradizione. All'antichità essa contesta il cosmo come quintessenza della realtà cogente a partire da se stessa; al Cristianesimo contesta la correlazione tra Creazione e redenzione come opera dell'unico Dio”248. Quest'ultimo punto

è stato svolto in un sistema teologico coerente da Marcione, nel II secolo. Marcione muove dalla contraddizione cristiana per cui “una teologia che presenta il proprio dio come il creatore onnipotente del mondo e che fonda la propria fiducia in questo dio sull'onnipotenza così dimostrata non può al tempo stesso fare della distruzione di questo mondo e della salvezza dell'uomo a partire da essa l'azione centrale di questo dio”249. Il

cristianesimo si trovava infatti a doversi costituire dogmaticamente, ma sulla base di un patrimonio eterogeneo nel quale convivevano la creazione e il giudizio universale. Marcione “si decise a operare un taglio netto”, e nel dualismo gnostico trovò il modello per l'univocità che mancava alla dottrina cristiana. Al dio creatore, che aveva imposto all'uomo una legge inapplicabile, che esigeva capricciosamente sacrifici insensati e guidava dispoticamente il suo popolo nelle vicende dell'Antico Testamento, si oppone il “dio straniero”, “l'essere dell'amore puro perché immotivato”, in diritto di annientare il cosmo e di proclamare la disubbidienza verso una legge ch'egli non ha dettato. “La redenzione si presentò primariamente come informazione data all'uomo sull'inganno

247 Ibid.

248 Ivi, tr. it. pp. 134-135 249 Ivi, tr. it. p. 135

impenetrabile del cosmo”250, il che è il senso specifico, in questo contesto, del termine

gnosi.

La separazione delle funzioni e delle pertinenze tra dio creatore e dio salvatore comportava una “negativizzazione della metafisica del cosmo dei Greci e la distruzione della fiducia nel mondo che si sarebbe potuta sanzionare tramite il concetto biblico della Creazione”251. La coerenza di questa sistematizzazione della gnosi ha spinto la Chiesa a

consolidarsi e a dogmatizzarsi, per sostenerne la concorrenza: perciò Blumenberg afferma che “la formazione del Medioevo può essere compresa solo come tentativo di garantirsi

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