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La proposta di riforma si pone l’obiettivo di assicurare una maggiore imparzialità delle decisioni del CSM sulle nomine dei magistrati ad incarichi direttivi e semidirettivi, mediante una riduzione degli spazi di discrezionalità valutativa.

In realtà tale obiettivo potrebbe essere più adeguatamente perseguito attraverso un ripensamento del ruolo e della figura dei dirigenti e dei semidirigenti ed anche della attuale distribuzione delle figure semidirettive nelle piante organiche degli uffici giudicanti e requirenti.

Molti osservatori ritengono che il sistema introdotto con la riforma del 2006 abbia fortemente accentuato una visione gerarchica e verticistica della magistratura, creando il ritorno ad una carriera interna alla magistratura e alle conseguenti aspirazioni dei magistrati.

Tale assetto rischia di entrare in forte tensione con il principio costituzionale per cui i magistrati si distinguono soltanto per funzioni ed è sicuramente una delle cause delle distorsioni registrate in sede di autogoverno in materia di nomine.

L’abolizione del criterio della anzianità senza demerito, il conseguente aumento della discrezionalità valutativa del CSM, l’elevato numero di incarichi da conferire, le aspirazioni di carriera dei magistrati e le conseguenti pressioni sul governo autonomo: sono tutti fattori che hanno contribuito a creare quelle gravi distorsioni dell’azione consiliare, che oggi ne minano alle fondamenta la credibilità.

Un ritorno al passato, con la eliminazione della temporaneità degli incarichi e il ripristino del criterio della anzianità senza demerito, sarebbe sbagliato. Quel sistema ha dato pessima prova di sé, determinando, di regola, la nomina di magistrati a fine carriera e scarsamente motivati. Senza, peraltro, impedire chele maggioranze consiliari, utilizzando la deroga offerta dal criterio dello spiccato rilievo, si assicurassero le nomine più importanti.

Né sembra possibile abolire la discrezionalità valutativa del CSM nella scelta dei dirigenti e dei semidirigenti. Certo, è possibile rendere i criteri di valutazione più chiari e leggibili, e anche più coerenti, di quanto siano oggi gli indicatori, generali e speciali, contenuti nel Testo Unico della Dirigenza. Ma non è possibile eliminare del tutto gli spazi di discrezionalità, in quanto una valutazione non può mai fondarsi su criteri oggettivi.

Sarebbe, invece, più utile intervenire sulle cause, o almeno su alcune delle cause, che hanno contribuito a creare la situazione attuale.

II.7.1. Introdurre una vera temporaneità degli incarichi.

22 Deve al riguardo tenersi conto che, in specie nei grandi uffici, l’adozione di modifiche organizzative si impone con estrema frequenza, condizionare la conferma del dirigente alla mancata approvazione di alcune variazioni tabellari potrebbe esporre il dirigente, che pure intenda affrontare i problemi del suo ufficio, ad un rischio elevato di mancata riconferma oppure, quel che è peggio, potrebbe indurlo ad un sostanziale inattività al fine di ovviare ad eventuali bocciature.

La temporaneità negli incarichi direttivi introdotta dalla riforma del 2006, per come è stata congegnata, è una delle principali cause della creazione di una carriera all’interno della magistratura.

L’attuale sistema, infatti, prevede una durata dell’incarico di 4 anni, prorogabile di altri 4, previa conferma da parte del CSM. Alla scadenza del primo quadriennio, anche dopo la conferma nell’incarico, però, il magistrato può presentare domanda per un altro incarico senza essere obbligato a terminare quello già conferito.

E accade così che quasi tutti gli attuali semidirigenti e dirigenti poco dopo la scadenza del primo termine quadriennale presentano domanda per un nuovo incarico (i direttivi di secondo grado anche prima non avendo limiti di legittimazione).

Peraltro, l’esigenza di rendere più oggettivi i criteri di valutazione ha portato a valorizzare sempre più, soprattutto da parte del giudice amministrativo, l’esercizio pregresso di funzioni semidirettive o direttive, senza però che, nella maggior parte dei casi, sia realmente possibile una valutazione effettiva del modo in cui le funzioni sono state svolte.

Si è così creato, nei fatti, un circuito della carriera dirigenziale, nel quale l’aspirazione ad un incarico direttivo o semidirettivo è funzionale non tanto alla efficace gestione organizzativa di un ufficio o di una sezione, quanto alla costituzione di un titolo da spendere nel proprio curriculum professionale, e la temporaneità è solo di sede e di incarico, ma non di funzioni, in quanto chi inizia una carriera dirigenziale molto difficilmente ritorna poi a svolgere funzioni giudiziarie semplici.

Al riguardo il disegno di legge in commento(art. 2 comma 1 lett. n) in un’apprezzabile ottica di maggiore stabilità delle funzioni dirigenziali, oltre ad abrogare l’art. 195 dell’ord.

giud. (facendo salvo un termine diverso solo per il conferimento dell’incarico di Primo Presidente della Corte di cassazione e di Procuratore Generale presso la medesima Corte rispetto ai quali, dunque, il termine di legittimazione non ha efficacia preclusiva)allunga di un anno il termine di legittimazione per il direttivo e per il semidirettivo, indipendentemente dal fatto che abbia o meno richiesto la conferma (onde impedire che, attraverso l’escamotage di non chiedere la conferma, il magistrato acquisisca la legittimazione al trasferimento prima dei cinque anni).

Tuttavia sarebbe preferibile un sistema diverso, che,oltre a garantire stabilità alle funzioni dirigenziali, prevedesse una effettiva temporaneità delle funzioni direttive e semidirettive.

Potrebbe prevedersi, pertanto, che il magistrato nominato ad un incarico direttivo o semidirettivo, nel caso in cui chieda la conferma nell’incarico, sia obbligato a completare anche il secondo quadriennio.

E che, in ogni caso, non possa presentare domanda per un nuovo incarico direttivo o semidirettivo prima di un certo termine (due/tre anni) dalla cessazione del precedente incarico.

Certo, una temporaneità effettivanelle funzioni direttive comportauna (temporanea) rinuncia alla esperienza e alla professionalità nel ruolo direttivo maturata con l’incarico svolto, in particolare con riferimento alle crescenti responsabilità amministrative che negli ultimi tempi si sono sommate a quelle proprie di organizzazione dell’esercizio della giurisdizione dell’ufficio. E dunque dovrebbe essere accompagnata da interventi diretti alla responsabilizzazione della dirigenza amministrativa, da rafforzare sul piano numerico e della competenza professionale specifica, in modo da poter riservare al dirigente magistrato il ruolo di organizzazione della giurisdizione.

In questo modo si verrebbe, però, ad affermare la centralità dell’interesse degli uffici rispetto alle aspirazione dei magistrati, disincentivando la cultura e la prospettiva della

“carriera” e valorizzando l’impegno nell’attività giurisdizionale che costituisce il cuore della funzione del magistrato.

II.7.2 Rivedere il numero e la distribuzione degli incarichi semidirettivi

Dall’analisi dei dati emerge una irrazionalità nel numero e nella distribuzione degli incarichi semidirettivi.

Invero a fronte di una previsione normativa (art.47 ter Ord. Giud.) che fissa (per gli uffici di primo grado) un rapporto di 1 a 10 tra semidirettivi e magistrati, il rapporto medio tra magistrati ordinari e direttivi/semidirettivi risulta essere, sulla base dei dati precedenti all'ultimo aumento di organico:

negli Uffici Giudicanti:

il 4,04 nelle Corti d’appello, vale a dire una figura direttiva/semidirettiva ogni 4 giudici (con una forbice che varia tra 1,75 giudici per ogni direttivo/semidirettivo previsto in organico nella sede di Sassari e il 5,22 nella sede di Firenze), con varianti intermedie che poco hanno a che fare con l’organico dei magistrati;

il 7,76 nei Tribunali, vale a dire una figura direttiva/semidirettiva ogni 7-8 giudici, senza che si registrino differenze significative nelle medie distinte per dimensione degli uffici; anche qui non v’è nessuna reale omogeneità tra uffici in ragione dell’organico dei giudici;

negli Uffici requirenti:

il 4,62 nelle Procure Generali presso le Corti d’appello, dove i semidirettivi sono 21 (compresi i 3 semidirettivi previsti nelle sezioni distaccate) ed in alcuni uffici non vi è la figura dell’Avvocato Generale;

il 6,39 nelle Procure della Repubblica dove i semidirettivi (procuratori aggiunti) sono 117, ma solo in 53 sedi; le restanti 87 procure non hanno figure semidirettive in organico, ma ciò senza che vi sia correlazione con il numero dei sostituti;

Riassumendo abbiamo:

nelle Corti di appello un totale di 220 presidenti di sezioni a fronte di 1045 consiglieri (di cui 157 con funzioni lavoro);

nei Tribunali un totale di 472 presidenti di sezione (di cui 12 presidenti GIP, 12 aggiunti GIP e 21 presidenti di sezione lavoro) a fronte di 4.637 giudici (di cui 447 con funzioni lavoro);

nelle Procure di primo grado un totale di 117 procuratori aggiunti a fronte di 1.739 sostituti.

Quindi, aggiungendo 2 semidirettivi in DNA e21 nelle Procure Generali di Corte d’Appello, abbiamo 832 semidirettivi a fronte di 7.658 non semidirettivi.

Un numero così elevato di incarichi da attribuire da parte del CSM riduce drasticamente la possibilità di una analisi approfondita dei percorsi professionali dei candidati e della qualità delle precedenti esperienze dirigenziali e rende molto difficile per i Consigli Giudiziari e per il CSM una approfondita valutazione del dirigente in sede di conferma. Il che determina inevitabilmente che i procedimenti di nomina siano più burocratici e meno trasparenti.

Al di là della irragionevolezza della differente distribuzione delle figure sul territorio nazionale, ci sarebbe in realtà da interrogarsi a fondo sulla utilità di un numero così elevato di dirigenti.

Infatti, secondo la esperienza comune, negli uffici medi e piccoli i semidirettivi paiono essere un sicuro supporto, necessario alla dirigenza, assumendo il coordinamento di interi settori: basti pensare ai Tribunali con una sezione civile ed una penale ove i rispettivi presidenti svolgono le funzioni di guida di un intero, articolato, settore.

Invece, per gli uffici più grandi, soprattutto quelli con molte sezioni specializzate, si potrebbe ragionare in modo diverso.

Si potrebbe prevedere un minor numero di presidenti di sezione, ovvero di figure semidirettive di nomina consiliare, con il ruolo di effettivo supporto del dirigente nell’organizzazione dell’ufficio o anche di coordinamento dei settori fortemente specializzati, i quali costituirebbero il “gabinetto” del dirigente.

Si potrebbe, invece, lasciare che il coordinamento delle sezioni, penali e civili, che hanno una specializzazione solo per materia, sia assegnato a magistrati da individuarsi all’interno degli Uffici, magari fra quelli con maggiore esperienza in quella materia, e con procedura tabellare o a rotazione per anzianità. Soluzione che incentiverebbe i magistrati a partecipare maggiormente alla organizzazione dei propri uffici e a condividerne la responsabilità.

Si realizzerebbe così una significativa riduzione del numero di incarichi da attribuire da parte del CSM, il che da un lato renderebbe più approfondite e trasparenti le procedure di nomina, dall’altro ridurrebbe drasticamente le aspirazioni di carriera dei magistrati.

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