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Ripensare la diffamazione tra giudice costituzionale e legislatore

Carlo Melzi d’Eril Giulio Enea Vigevani **

1. Ripensare la diffamazione tra giudice costituzionale e legislatore

In questa legislatura, il dialogo tra giudice costituzionale e politica non è stato facile. Dall’inerzia del legislatore sul suicidio assistito o sulle misure sanzionatorie in materia di reati sul traffico di stupefacenti (che hanno condotto alle sentenze n. 242 e n. 40 del 2019), alle reazioni spesso sguaiate di leader politici alla sentenza n. 253 del 2019 sulla concessione dei permessi premi per i condannati per i reati ostativi di cui all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, l’auspicio per una proficua e leale collaborazione,

tante volte udito tra le mura del palazzo della Consulta1, raramente ha trovato ascolto nelle stanze della politica.

La normativa in materia di diffamazione potrebbe costituire un’eccezione. Sembra, in- fatti, che stia producendo qualche reazione il richiamo della Corte, contenuto nell’or- dinanza n. 132 del 20202, a rimeditare la normativa in tema, alla luce della giurispru- denza della Corte europea dei diritti dell’uomo. È all’esame dell’aula del Senato il disegno di legge n. 812-A3 che, come si illustrerà nel seguito, non si limita a intervenire sulla questione della pena detentiva per tale reato, ma modifica in modo sostanziale tale fattispecie, anche alla luce della radicale trasformazione del sistema dei media. Ora il disegno di legge dovrà trovare spazio nell’affollato calendario parlamentare do- minato dall’emergenza sanitaria, ma, sul piano politico, il consenso sembra piuttosto ampio. Soprattutto non vi sono quelle distanze ideologiche che hanno reso impossibi- le l’approvazione di una legge sul suicidio assistito.

Al momento in cui scriviamo, non è certo né l’esito del procedimento legislativo né il testo che eventualmente sortirà dall’esame parlamentare. Tra l’altro, alcuni emenda- menti proposti dal relatore, qualora approvati dall’assemblea, potrebbero incidere non poco sul punto di equilibrio individuato in commissione Giustizia.

Resta l’opportunità di una prima indagine sul disegno di legge, per riflettere se le nor- me in discussione siano effettivamente in grado di allineare la legislazione italiana alle prescrizioni ricavabili dalla giurisprudenza di Strasburgo e dalla medesima ordinanza del giudice costituzionale. Inoltre, con un codice penale ormai novantenne e una legge sulla stampa poco più giovane, appare utile verificare se il legislatore stia sfruttando l’occasione per scrivere la disciplina degli illeciti dell’informazione del XXI secolo, per rivedere in radice la responsabilità del direttore, per introdurre strumenti che consen- tano una rapida rimozione dei contenuti illeciti presenti in rete, per ripensare il concet- to stesso di informazione e le distinzioni fondate sull’iscrizione agli albi professionali o sulla registrazione nelle cancellerie dei tribunali.

1 Si veda da ultimo la Relazione sull’attività della Corte costituzionale nel 2019 del Presidente Marta Cartabia, disponibile all’indirizzo cortecostituzionale.it.

2 Il cui testo è disponibile in giurcost.org.

3 XVIII legislatura, d.d.l. n. S-812-A - Testo proposto dalla Commissione Giustizia e comunicato alla Presidenza del Senato in data 7 luglio 2020, “Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale, al codice di procedura penale, al codice di procedura civile e al codice civile, in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante nonché di segreto professionale, e disposizioni a tutela del soggetto diffamato”, disponibile in senato.it.

Prima di tali analisi, appare necessario ripercorrere il processo tuttora pendente avanti al giudice costituzionale e il ragionamento seguito dalla Corte.

Con l’ordinanza n. 132 del 2020, depositata il 26 giugno 2020, la Corte costituzionale ha rinviato all’udienza del 22 giugno 2021 la trattazione di due questioni di costituzio- nalità relative alle pene detentive per la diffamazione, sollevate dai tribunali di Salerno e Bari. Riprendendo la tecnica decisoria adottata per la prima volta con l’ordinanza n. 207 del 2018 relativa al delitto di aiuto al suicidio (“caso Cappato”), ha invitato in questo tempo il Parlamento a intervenire sul tema, rimuovendo i profili di incostitu- zionalità evidenziati e rivedendo nel suo insieme la legislazione in materia4.

In sintesi, la Corte fa un passo indietro, lasciando che sia il legislatore ad occuparsi di scrivere una normativa capace di aggiornare la disciplina dei reati di penna in un conte-

sto ove le insidie alla reputazione provengono principalmente dalla telecamera o dalla tastiera. Se anche in questo caso il Parlamento abdicherà alle sue funzioni, la Corte do- vrà ancora una volta supplire a tale inerzia, pur con i limitati rimedi a sua disposizione. Si tratta, riteniamo, di un self-restraint comprensibile per molte ragioni: la fedeltà al prin-

cipio della leale collaborazione tra le istituzioni della Repubblica nell’attuazione dei principi costituzionali; la delicatezza del bilanciamento tra due diritti inviolabili così intimamente connessi ai principi fondanti dell’ordinamento repubblicano; l’ampia di- screzionalità riservata al legislatore in materia penale, anche se la Corte pare avere or- mai completamente superato la propria tradizionale ritrosia nel sindacare tali norme. Vi è altresì nel caso concreto una difficoltà per il giudice costituzionale a rinvenire nell’ordinamento previsioni normative di riferimento che consentano «l’individuazio- ne di soluzioni, anche alternative tra loro, che siano tali da “ricondurre a coerenza le scelte già delineate a tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmen- te, ove possibile, all’eliminazione di ingiustificabili incongruenze”»5.

Come si dirà più avanti, la questione sollevata dal giudice di Bari individua nell’art. 595, c. 3, c.p. la disposizione già esistente, ancorché non “costituzionalmente obbligata”, che possa sostituirsi alla previsione sanzionatoria prevista nell’art. 13 legge stampa. Il medesimo art. 595, c. 3, c.p. costituisce, tuttavia, la norma oggetto della questione sollevata dal tribunale di Salerno, che richiede sic et simpliciter la dichiarazione di incosti-

tuzionalità di ogni pena detentiva per i reati di diffamazione aggravata.

In questo quadro, la scelta della Corte di attendere l’intervento del legislatore appare quasi obbligata e offre a quest’ultimo uno stimolo per occuparsi di una materia tra- scurata per decenni, che si è evoluta solo grazie alla supplenza della giurisprudenza 4 Tra le prime riflessioni, si vedano M. Cuniberti, La pena detentiva per la diffamazione tra Corte costituzionale

e Corte europea dei diritti dell’uomo: l’ordinanza della Corte costituzionale n. 132 del 2020, in Osservatorio Costituzionale, 5, 2020, 121 ss.; M. Pisapia – C. Cherchi, Detenzione e libertà di espressione. Riflessioni sul trattamento sanzionatorio del reato di diffamazione a mezzo stampa in occasione della pronuncia della Corte Costituzionale, in Giurisprudenza Penale Web, 6, 2020, 1 ss.; D. Casanova, L’ordinanza n. 132 del 2020 sulla pena detentiva per il reato di diffamazione mezzo stampa: un altro (preoccupante) rinvio della decisione da parte del Giudice costituzionale, in Consulta Online, Studi, III, 2020, 622 ss. e, in relazione alla tecnica utilizzata dalla

Corte, R. Pinardi, La Corte ricorre nuovamente alla discussa tecnica decisionale inaugurata col caso Cappato, in Forum di Quaderni Costituzionali, 3, 2020, 104 ss.; A. Ruggeri, Replicato, seppur in modo più cauto e accorto, alla Consulta lo schema della doppia pronuncia inaugurato in Cappato (nota minima a margine di Corte cost. n. 132 del 2020), in Consulta Online, Studi, II, 2020, 406-407.

ordinaria e che merita invece un intervento saggio ed equilibrato.

2. Le pene per la diffamazione tra Corte di Strasburgo,

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