• Non ci sono risultati.

La risoluzione del rapporto di lavoro dei malati cronici: comparazione

su aspetti applicativi critici

nelle varie normative

di Silvia Fernández Martínez

Dall’analisi condotta a livello internazionale, in particolare in Ita-lia, Spagna e Regno Unito, nell’ambito di un progetto di un inno-vativo progetto di ricerca sulla occupabilità e il ritorno al lavoro delle persone con malattie croniche promosso da ADAPT dal 2014, emerge come la risoluzione del rapporto di lavoro sia, insieme all’acceso a pensioni di inabilità, invalidità e di vecchiaia anticipata, una delle principali vie attraverso le quali i malati

cronici escono prematuramente dal mercato del lavoro.

Co-sì, le stime su questo fenomeno in Italia riferite soltanto al caso del cancro indicano che sarebbero ben 274mila i lavoratori

licen-ziati dopo aver ricevuto la diagnosi di tumore (CENSIS, FAVO,

Quarto Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, 2012). Sebbene in nessun paese europeo il licenziamento per il mero fatto di subire una malattia sia consentito, è invece vero che le

conseguenze derivate dalla malattia possono essere ricon-dotte alla diverse cause di licenziamento per giustificato motivo oggettivo – inidoneità sopravvenuta, superamento del

periodo di comporto e scarso rendimento – in particolare nei casi di malattie croniche.

In generale, le conseguenze dell’insorgere di una malattia, in con-creto la riduzione della capacità lavorativa e l’incremento

delle assenze al lavoro, possono tradursi, rispettivamente, in inidoneità sopravvenuta e in superamento del periodo di comporto, entrambe cause di licenziamento per giustificato

mo-tivo oggetmo-tivo nei diversi paesi europei. Tuttavia, in questi casi è necessario ricordare che risulta applicabile la normativa in

ma-teria di protezione antidiscriminatoria delle persone con di-sabilità, in particolare l’obbligo di adottare accomodamenti

ra-gionevoli.

Per quanto riguarda i licenziamenti legati alla capacità ridotta del lavoratore, il licenziamento non può avvenire in maniera

au-tomatica una volta si è accertata la presenza della malattia e

le loro conseguenze negative sulla capacità del lavoratore. Nel ca-so in cui i malati cronici vengano considerati disabili (Cfr. S. Fer-nández Martínez, Equiparazione malattie croniche e disabilità: una via

per riconoscere maggiori tutele ai malati cronici?, in Lavoro e malattie croni-che (a cura di S. Fernández Martínez, M. Tiraboschi), ADAPT

University Press, 2017), il datore di lavoro è tenuto ad adottare gli accomodamenti ragionevoli necessari al fine di consentire al lavoratore di continuare a svolgere la propria prestazione anche attraverso la ricollocazione in una postazione lavorativa diversa. Se il datore di lavoro non prova che ha cercato di adattare le condizioni di lavoro alla capacità lavorativa ridotta del disabile, il licenziamento per inidoneità sopravenuta può essere qualificato come nullo per discriminatorio, avendo diritto il lavoratore alla reintegrazione nel proprio posto di lavoro.

Anche nel caso in cui il malato cronico non venga considerato disabile, l’obbligo del datore di lavoro di adattare le condizioni lavorative esiste, nonostante non abbia la stessa portata. Da una parte, questo obbligo si trova nell’ambito della normativa in

materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolare, in

ra-gione dell’obbligo di adattare il lavoro alla persona che è stato recepito nei diversi paesi europei. In Italia questo obbligo è pre-visto nell’art. 42 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81. Testo Unico sulla salu-te e sicurezza sul lavoro, secondo il quale a seguito di un giudizio di inidoneità alla mansione rilasciato dal medico competente, il datore di lavoro è tenuto, ove possibile, ad adibire il lavoratore a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garanten-do il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza. Sempre in Italia, in caso di licenziamento per inidoneità soprav-venuta risulta applicabile anche l’obbligo di repêchage così come stabilito dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Unite, 7 agosto 1998, n. 7755. Seguendo quest’interpretazione, la sopravvenuta inidoneità psicofisica costituisce giustificato motivo di licenziamento unicamente nel caso in cui il datore di lavoro abbia verificato che la capacità lavorativa residua del lavoratore non è compatibile con le mansioni assegnatagli o con altre equi-valenti o, se questo è impossibile, anche ad altre inferiori, a con-dizione che l’attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo stabilito dall’imprenditore. Anche in Spagna e Re-gno Unito l’adattamento delle condizioni di lavoro è stato consi-derato a livello giurisprudenziale un requisito per qualificare il li-cenziamento per questo motivo come legittimo. Tuttavia, non

esiste un obbligo analogo a livello normativo in nessuno dei tre paesi analizzati.

Il licenziamento legato alle assenze per malattia può prodursi mentre il lavoratore si trova in assenza per malattia o una volta

superato il denominato periodo di comporto, cioè, il periodo di tempo durante il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro. In questi casi, sono due gli interessi in

gioco: da una parte, l’interesse del lavoratore a curarsi e a

recu-perare la propria salute e, dall’altro, l’interesse del datore di lavo-ro ad ottenere il massimo plavo-rofitto. Di particolare interesse la si-tuazione esistente in Spagna dove è possibile rescindere il

contratto per assenze intermittenti al lavoro che non supe-rino il periodo di comporto, anche se sono giustificate.

Co-me è noto, le malattie croniche si caratterizzano per provocare appunto assenze intermettenti al lavoro e sebbene in questo caso si preveda che non si computeranno le assenze derivate dal can-cro o di una malattia grave, questo non basta per proteggere ai malati cronici di essere licenziati per questo motivo.

Come si ha avuto occasione di vedere, esistendo cause

legitti-me di licenzialegitti-mento che si corrispondono con gli effetti che provocano le malattie croniche, il resto delle misure previ-ste, in particolare l’adattamento delle condizioni di lavoro, non bastano per evitare la loro uscita prematura dal merca-to del lavoro. Di fronte a quesmerca-to scenario, una possibile

soluzio-ne potrebbe consistere soluzio-nel reinterpretare le attuali cause di licen-ziamento per evitare che penalizzino particolarmente ai malati cronici, o nell’introduzione di eccezioni al licenziamento in questi casi.

Parte III.