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RISPOSTA A EMANUELE SEVERINO

Nel numero 2 di questa rivista Emanuele Severino nell’aprire la discussione sugli articoli comparsi nel numero precedente, ha recen-sito anche un mio saggio edito da Book Sprint Edizioni nel novem-bre 2013, scrivendo quanto segue:

C’è anche la situazione in cui si crede di trovarsi a dover scegliere tra il destino della verità e le convinzioni che si fondano sulla terra isolata da esso. Di tale situazione è un paradigma signifi cativo il saggio di Vasco Ursini, Il dilemma verità dell’essere o nichilismo? (Book Sprint Edizioni, 2013). Chiedo anche qui: perché è necessario scegliere o tale verità (che è la negazione del nichilismo) o il nichilismo – e non

en-trambi? Perché si rifi uta la contraddizione! (E il destino è la forma

au-tentica della negazione della contraddizione – la forma che si mantiene al di là del modo in cui il “principio di non contraddizione” si presenta nella terra isolata). D’altra parte, trovarsi nel “dilemma” (o nel “proble-ma”) rispetto al destino è un modo di negare il destino e pertanto è un

aver già scelto la terra isolata dal destino e le convinzioni che su di essa

si fondano – un aver già scelto, anche se si crede di trovarsi ancora al di qua della scelta.

Dico subito che sono infi nitamente grato a Emanuele Severino di essersi piegato a discutere il mio saggio, Alla gratitudine si unisce un sentimento di viva soddisfazione per l’attenzione ricevuta da lui che io reputo degno di essere collocato tra i più grandi pensatori dell’umanità, tra coloro cioè che hanno preso posizione su ciò che è e signifi ca «verità», non su questa o quella verità, ma sulla

veri-tà che è il mostrarsi dell’assolutamente incontrovertibile. Soltanto

così, a parer mio, si fa autentica fi losofi a.

Premesso ciò, provo a rispondere ai rilievi critici di Severino. Nulla da osservare sulla necessità di scegliere una delle alternative del dilemma. Non mi pare invece condivisibile l’affermazione che porsi il problema di scegliere tra la verità del destino e il nichilismo

124 La Filosofi a Futura – Prassi e nichilismo

“è un modo di negare il destino e pertanto è un aver già scelto la terra isolata dal destino e le convinzioni che su di essa si fondano, anche se si crede di trovarsi ancora al di qua della scelta”. No. Tenta-re di sceglieTenta-re tra due alternative non può esseTenta-re un aver già scelto, ma è verifi care se si riesce a scegliere. Nel mio caso si è cercato di verifi care se è possibile uscire dall’isolamento della terra e dal ni-chilismo che la pervade, partendo, da un lato, dalla consapevolezza che l’isolamento della terra non è una colpa dell’uomo ma è l’acca-dimento della decisione originaria, un eterno che sopraggiunge con necessità nel cerchio dell’apparire, dall’altro lato, dalla consapevo-lezza che due anime in perenne contrasto tra loro abitano nel nostro petto, una nascosta (l’Io del destino) e l’altra manifesta (l’io della terra isolata); due dunque sono gli inconsci dell’Occidente: quello, più profondo, del destino della verità e quello, più superfi ciale, del

nichilismo, che dunque non è esplicito e intenzionale ma

comple-tamente inconscio, nel senso che l’Occidente crede di pensare e di vivere l’ente come qualcosa che è, mentre lo pensa e lo vive come niente.

Questo insanabile contrasto dura da sempre e continuerà a durare sin quando non accadranno, se accadranno, il tramonto dell’isola-mento della terra dal destino della verità e l’avvento della terra che salva. Non ci resta dunque che attendere. Ma questa «Attesa» è così lunga da sembrare eterna. Un’Attesa che comunque va al di là del-la dimensione temporale deldel-la vita degli uomini, mentre intanto su questa nostra vita incombe continuamente la morte che ci terrorizza e ci angoscia. Un’Attesa infi nita che giorno dopo giorno ci sfi bra. A questo punto occorre chiedersi: in tali condizioni è possibile tentare di raggiungere quel primo inconscio? Severino lo ha raggiunto ed espresso nei cosiddetti suoi scritti. Io ho tentato e tento ancora di raggiungerlo seguendo le indicazioni che egli ci fornisce:

Quel primo inconscio «può essere raggiunto solo se non ci si mette in cammino in compagnia delle ricostruzioni storiche avanzate dalla nostra cultura. Anzi, solo se non ci si mette affatto “in cammino”, ma si lascia che il luogo della necessità (ossia la struttura originaria della Necessità) già da sempre aperto al di fuori della struttura dell’Occi-dente, consenta al linguaggio di testimoniarlo e di testimoniarlo come qualcosa di abissalmente estraneo a quell’altro luogo che è appunto la struttura in cui cresce la storia dell’Occidente. Se questa struttura conti-nua a rimanere l’inconscio essenziale della nostra civiltà, quell’altra – il

Risposta a Emanuele Severino di Vasco Ursini 125

luogo della necessità – è l’inconscio di questo inconscio, il sottosuolo del sottosuolo, ciò che avvolge l’avvolgente». (La struttura originaria, p. 14).

Queste indicazioni ho cercato di seguire nel mio saggio senza riu-scire a compiere una scelta defi nitiva tra le alternative del dilemma, verità dell’essere o nichilismo. La «verità» che talvolta mi sembra di scorgere torna presto a vacillare. Non mi resta dunque che richiama-re quanto ho scritto nel mio saggio: «Come Kierkegaard mi riduco a vivere in un perenne forse. Resto fuori dalla Chiese che si fondano su granitiche certezze, disgiunto dalle fedi che muovono la turba, vittima di un pensiero vivo e lucido», che però non rinuncia a tentare di compiere quella scelta.

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