Per poter confermare la suddivisione dei gruppi tra benigni e maligni è stato impiegato un il K-nn (K-nearest neighbour). Il K-nn è stato configurato per associare un dato valore un ai 3 punti più vicini ad esso ( abbiamo usato 3 per garantire che ci siano almeno due valori vicini su tre che possano permetterci di associare il punto ad un gruppo piuttosto che ad un altro) in termini di distanza euclidea. Tutti i dati appartenenti ai campioni sono stati riprocessati e riclassificati utilizzando il sistema di classificazione del K-nn : si è notata una corrispondenza tra la suddivisione di maligni e benigni operata dall’ algoritmo e le diagnosi istologiche.
52 Figura 14. Esempi di applicazione dell’algoritmo K-nn. Figura A: il punto preso in considerazione verrà associato ai maligni perché risulta essere più vicino a 3 punti appartenenti al gruppo dei maligni , diversamente da quello che avviene in figura B.
A
53
4 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
La FNAC, nonostante le sue limitazioni, è stata riconosciuta come la metodica più sensibile e specifica per la diagnosi preoperatoria delle neoplasie dei noduli tiroidei. La principale limitazione della citologia preoperatoria è il fatto che nel 30% circa dei casi dà una diagnosi indeterminata e come conseguenza il numero di tiroidectomie rivelatesi non strettamente necessarie è ancora troppo alto. Nei casi di diagnosi indeterminata si ricorre alla diagnostica molecolare per fornire supporto all’esame citologico mediante dei test basati sulle analisi mutazionale e di espressione. I recenti progressi della genetica molecolare nel cancro alla tiroide hanno fornito una serie di marcatori molecolari diagnostici utili; Il carcinoma papillare, il più comune cancro maligno della tiroide, frequentemente presenta mutazioni nei geni BRAF, RET/PTC, o RAS. In letteratura inoltre sono citati vari casi di geni differenzialmente espressi nei tumori alla tiroide come nel caso di
galectina-3, serpina1, fibronectina-1, CXCR4, geni la cui iperespressione risulta essere correlata
dall’insorgenza di neoplasie maligne, in particolare di carcinomi papillari. I primi dati pubblicati sulla messa a punto di un classificatore di espressione genica specifico per i tumori tiroidei, l’Afirma
GEC (Genetic expression classifier, basato sulla tecnologia del microarray, brevettato e introdotto
nel mercato dalla Veracyte™), hanno dimostrato che il test riesce ad identificare i tumori benigni (Chudova et al, J Clin Endocrinol Metab, 2010) con una sensibilità dell’87% , una specificità del 53% e un valore predittivo negativo del 90% (Alexander et Al., 2012). Ulteriori studi suggeriscono che in una casistica clinica con un’alta incidenza di cancri tiroidei nei pazienti TIR3 (33%) , il NPV (Negative
predictive value, valore predittivo negativo) dell’Afirma GEC test non riesce ad essere robusto come
suggerito dai dati precedentemente esposti (Harrel et Al., 2013). Inoltre in uno studio di McIver viene mostrato che l’Afirma GEC test risulta avere una più bassa percentuale di benigni riconosciuti nelle casistiche in cui i benigni non sono preponderanti ed un inferiore tasso di malignità riconosciuta nei gruppi TIR4, mettendo in discussione il ruolo del test Afirma nel contesto della diagnosi molecolare preoperatoria (Mclver et Al. 2014). In questo contesto va ad inserirsi lo studio proposto in questo lavoro. L’obiettivo del nostro studio è stato quello di valutare il profilo d’espressione in una serie di noduli tiroidei (di tipo benigno e maligno) per identificare una
signature di espressione genica utile per riconoscere la malignità o la non malignità di questi. Sono
stati presi in considerazione 26 campioni FNAC prelevati ex-vivo classificati come TIR2, “ benigni”, e 27 casi di TIR 4/5, “sospetti maligni/maligni”, appartenenti a noduli di pazienti che hanno subito
54 una tiroidectomia totale. Ciò ci ha permesso di ottenere anche le diagnosi istologiche utili come conferma finale riguardo la natura dei noduli. Dai campioni FNAC sono stati estratti gli RNA da analizzare con la metodologia Nanostring (descritta a pag. 39) che opera un’analisi d’espressione per una serie di geni impiegando la tecnologia dell’ibridazione molecolare. In questa metodica il riconoscimento e la quantificazione dei trascritti genici avviene tramite particolari complessi di sonde legati ad una sequenza di molecole fluorescenti, detta barcode. Ogni barcode viene associato specificamente ad un particolare mRNA da analizzare. Abbiamo ideato un pannello contenente 36 geni riportati come differenzialmente espressi tra noduli maligni e benigni, con annessi quattro geni housekeeping di riferimento e il gene della tiroglobulina (TG) per attestare l’origine follicolare delle cellule provenienti dai FNAC. Sono state disegnate due sonde barcodes per gene, questo per riconoscere tutte le varianti trascrizionali (derivate da fenomeni di splicing alternativo) dei geni presi in considerazione. Elevati livelli di concordanza tra i dati normalizzati ottenuti dalle coppie di barcodes associate ai geni hanno dimostrato la bontà delle misurazioni dell’nCounter (Tabella pag.42). In una seconda fase di perfezionamento del metodo si potrebbe impiegare un unico barcode per quei geni del pannello che hanno mostrato una certa valenza diagnostica. Da un’analisi statistica non supervisionata effettuata mediante l’algoritmo di Pearson che ha tenuto conto unicamente delle distanze euclidee tra i dati registrati abbiamo notato che i maligni ed i benigni sono stati disposti in due cluster differenti (Figura 9, pag.45): questa distinzione è dipesa dall’espressione differenziale dei geni selezionati nei campioni. Ciò ha confermato l’esistenza di due pattern d’espressione che contraddistinguono i due gruppi di campioni esaminati. Tramite un’analisi della varianza a due vie (T-test) abbiamo selezionato 24 geni che sono risultati statisticamente differenti con un valore di p <0.001 (tabella a pag. 49). E’ stata adottata una soglia di significatività sufficientemente alta per permetterci di identificare quei geni del pannello con un’ espressione differenziale decisamente marcata. Questa selezione non esclude che i geni esclusi dal T-test (aventi valore di 0.001<p<0.05) non possano avere un certo rilievo da un punto di vista biologico e diagnostico. Tuttavia, si è optato per selezionare quei geni che hanno mostrato un’espressione differenziale molto marcata per essere più sicuri della loro induzione o inibizione d’espressione. Tra i 24 trascritti selezionati dal T-test 19 sono risultati più espressi nei maligni rispetto ai benigni mentre 5 risultavano ipoespressi (iperespressi nei benigni). In particolare 5 geni sono risultati almeno 4 volte iperespressi (CHI3L1, CITED1, FN1, PDLIM4, SERPINA1) ed altri 3 dalle 4 alle 6 volte ipoespressi (COL9A3, TFF3, TPO, tabella in Figura 11, pagina 48) nei maligni. I geni risultati statisticamente significativi al T-test hanno confermato le modalità d’espressione riferite dalla letteratura (tabella pagina 41, Figura 8). Il fatto che la metodologia proposta abbia
55 ottenuto gli stessi risultati ricavati anche tramite metodologie ormai consolidate per lo studio dell’analisi d’espressione (PCR semiquantitativa, immunicitochimica, immunoistochimica) non puo’ far altro che confermare la validità delle misurazioni del Nanostring, nonchè ribadire il ruolo biologico dei geni nei PTC. E’ stata poi effettuata una successiva clusterizzazione impiegando i dati dei geni risultati statisticamente significativi (algoritmo di Pearson): il dendrogramma (figura 12, pag.49) mostra che le differenze tra i due pattern di espressione genica evidenziati dalla prima clusterizzazione risultano molto più marcate. A questo punto abbiamo “testato” l’efficienza diagnostica dei pattern di espressione forniti dal nostro training set. L’algoritmo di Pearson ha gerarchizzato i dati del Nanostring valutando le differenze tra i profili d’espressione in termini di distanza euclidea tra i campioni identificati da punti in un sistema di assi cartesiani (grafico delle analisi delle componenti principali di Pearson), in cui ogni punto corrisponde ad un particolare campione avente un particolare profilo d’espressione (Figura 13, pagina 50). Nel grafico per l’analisi delle componenti principali i due gruppi di campioni occupano settori diversi a testimonianza del fatto che essi sono contraddistinti da un diverso profilo di espressione. A questo punto il nostro
training set ha fornito quei pattern potenzialmente utili al fine di classificare un campione come
benigno o maligno. In dettaglio ci siamo serviti dell’algoritmo di classificazione K-nearest neighbour
machine learning (K-nn). Il K-nn è uno strumento informatico/matematico che valuta un elemento
associandolo al gruppo (cluster) appartenente agli n elementi più vicini ad esso. Il numero “degli elementi più simili” da considerare viene deciso dall’operatore tramite la variabile K; in questo caso
K=3, un numero dispari per evitare situazioni in cui ci sia un numero uguale di elementi simili
considerati per gruppo durante l’assegnazione. In sintesi, attraverso il calcolo delle distanze euclidee tra gli elementi ricavati dai profili d’espressione, il K-nn associa un dato campione al gruppo di appartenenza sulla base dei profili valutati come più simili. L’algoritmo è stato applicato per ogni singolo campione del training set per valutare come il K-nn avrebbe collocato i campioni nei due gruppi; ciò è servito come test di verifica per l’applicabilità dell’algoritmo stesso. Le assegnazioni dei campioni ai gruppi tramite il K-nn hanno ricalcato le diagnosi citologiche/istologiche di partenza. Riassumendo, per quanto riguarda i campioni presi in esame possiamo affermare che la metodologia applicata in questo studio ci ha permesso di confermare le diagnosi citologiche/istologiche di partenza, dandoci un promettente slancio nel continuare questo lavoro nella sua naturale evoluzione, ovvero l’analisi di campioni TIR3. L’obiettivo ideale di questo studio prevede infatti la messa a punto in futuro di uno strumento diagnostico apposito per sopperire ai limiti diagnostici dell’esame citologico. Tuttavia non si dispone di molti campioni TIR3 perché tendenzialmente non tutti i TIR3 finiscono per essere operati; in genere si opera
56 maggiormente nei casi di TIR3B, categoria diagnostica il cui rischio di malignità si aggira intorno al 30%, rispetto al 5% dei TIR3A. Di conseguenza è più difficile disporre di una serie di campioni di TIR3A con una diagnosi istologica. Nonostante ciò i risultati sui TIR2 e TIR4-5 sono molto incoraggianti per il fatto che si è evidenziato un pattern di geni che risultano essere differenzialmente espressi e questa loro caratteristica, confermata dai dati di letteratura, non fa altro che consolidare il loro ruolo di marcatori diagnostici. In conclusione, alla luce delle evidenze riportate in questo studio, la metodologia Nanostring viene proposta ,in un’ipotesi futuribile, come strumento aggiuntivo, sinergico per migliorare la diagnostica dei noduli tiroidei. In particolare nei i casi di diagnosi indeterminata, dove sono richiesti approcci di indagine di tipo molecolare, potrebbe fornire un prezioso aiuto. I risultati ottenuti dal training set fanno ben sperare in una futura evoluzione di questo lavoro in cui verranno esaminati dei campioni FNAC ex-vivo prelevati da pazienti TIR3 per testare la metodologia nel suo impiego ideale; tuttavia l’aver ricalcato tutte le diagnosi citologiche dei campioni del training set costituisce un promettente inizio per candidare la metodologia Nanostring tra gli strumenti diagnostici molecolari per il cancro alla tiroide.
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