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I dati utilizzati per la caratterizzazione produttiva e genetica della razza Burlina sono stati raccolti da maggio 1999 a marzo 2009. Escludendo gli anni estremi, per i quali non si avevano a disposizione le informazioni fenotipiche in tutti i 12 mesi, è possibile evidenziare un aumento, seppur moderato, della consistenza della popolazione sottoposta a controllo funzionale (Tabella 1). Mediamente sono stati eseguiti 6,6 controlli per vacca entro lattazione: questo dato è comunque sovrastimato considerando che dall’archivio sono state escluse le lattazioni con meno di 3 controlli. La distribuzione dei rilievi per mese (Figura 1) evidenzia come in autunno e inverno (settembre-febbraio) si concentri il 74% dei records, mentre nei mesi estivi (giugno-agosto) questo valore scenda all’8%. L’andamento rispecchia la forte stagionalità dei parti nella razza Burlina, legata all’impiego dei pascoli di malga nei mesi estivi: le vacche vengono portate in alpeggio gravide ed in fase avanzata di lattazione o durante l’asciutta, per rientrare in stalla a settembre ed iniziare il nuovo ciclo produttivo. Il numero di vacche e di controlli decresce con l’aumentare dell’ordine di parto (Tabella 2). Questo riflette l’eliminazione delle bovine nel corso della carriera produttiva a causa di problemi sanitari, scarsa convenienza economica o altro. Il 74,8% dei controlli funzionali si concentra tra i 5 e i 210 giorni di lattazione (Tabella 3).

Mediamente la Burlina produce 16,5 kg di latte al giorno al 3,67% di grasso e 3,33% di proteina (Tabella 4). Questi dati sono in linea con quanto riportato da AIA (2008) per la razza (Tabella VII – Introduzione). Il contenuto cellulare è di 481.000 cellule/ml e supera la soglia (400.000 cellule/ml) stabilita dall’UE per destinare il latte crudo al consumo diretto. L’età media al parto è di 56,5 mesi (Tabella 4), decisamente superiore rispetto alle statistiche fornite da AIA (2008) per le razze Frisona (47,2 mesi) e Bruna (51 mesi). Questo dato sottolinea la maggior durata in stalla della Burlina: le bovine non hanno difficoltà a rimanere gravide e anche se la produzione di latte è contenuta, gli allevatori difficilmente riformano volontariamente la vacca.

È importante ribadire che per le popolazioni autoctone a limitata diffusione non si possono perseguire gli obiettivi di selezione delle razze cosmopolite. La Burlina deve rimanere una valida alternativa per gli allevatori che operano in zone marginali a rischio di abbandono e degrado. Inoltre, deve essere tutelata per il legame con il territorio, per le caratteristiche riproduttive e per l’elevata rusticità, che la rendono una razza facilmente adattabile anche alle situazioni di allevamento più impervie.

In Tabella 5 sono riportati i risultati dell’analisi della varianza per i caratteri produttivi e le SCS. Il coefficiente di determinazione (R2), ovvero la proporzione di variabilità di un carattere spiegata dal modello statistico, è pari al 69% per il latte, 54% per la proteina e 34% per il grasso. Il modello spiega solo il 27% della variabilità delle SCS, evidenziando come sia difficile individuare i molteplici effetti ambientali che influenzano questo carattere. Tutte le fonti di variazione incluse nel modello sono risultate altamente significative (P < 0,001). Lo stadio di lattazione (DIM) è l’effetto più importante, seguito dall’età al parto della vacca entro lattazione (AGE) e dall’allevamento-giorno di controllo (HTD).

In Figura 4 si riportano le medie corrette della produzione di latte per classe di stadio di lattazione. La produzione più elevata si ha nei primi 30 giorni dopo il parto (21,6 kg/giorno), mentre decresce gradualmente nei mesi successivi fino a raggiungere i 9,9 kg/giorno. Le curve di grasso e proteina seguono un andamento inverso (Figura 5). Nei primi 30 giorni il latte ha mediamente il 3,60% di grasso e il 3,15% di proteina. La concentrazione diminuisce leggermente al picco per un effetto diluizione e aumenta progressivamente nelle fasi successive fino a raggiungere il 4,09% di grasso e il 3,80% di proteina. Per quanto concerne le SCS, l’andamento entro lattazione è crescente. La stima delle componenti di varianza (Tabella 6) è il primo passo per la valutazione genetica degli animali e consente di determinare quanto la variabilità fenotipica è influenzata dagli aspetti genetici (varianza genetica additiva) e ambientali (varianza ambientale permanente e residua). Dai rapporti tra (co)varianze si ottengono i parametri genetici (ereditabilità e correlazioni genetiche) e la ripetibilità. Quest’ultima è un parametro utile nel caso di misurazioni ripetute del fenotipo di un animale e, indirettamente, consente di quantificare l’incidenza dei fattori ambientali temporanei sulla variabilità di un carattere. In Tabella 7 sono riportati i valori di ripetibilità stimati: in particolare, il più basso (29,2%) è stato calcolato per le SCS. Questo sta a indicare che il grado di somiglianza tra le misurazioni ripetute sullo stesso animale è bassa, ovvero che la variabilità ambientale dovuta a fattori temporanei è predominante. Le stime di ereditabilità e delle correlazioni genetiche tra i caratteri sono presentate in Tabella 8. Proteina e grasso sono i caratteri più ereditabili (36 e 28%, rispettivamente). I valori ottenuti sono confrontabili con le stime riscontrate in bibliografia, e comprese tra il 18 ed il 46% per la proteina e il 29 ed il 53% per il grasso (Rupp and Boichard,

1999; Ikonen et al., 2004). L’ereditabilità per le SCS è del 6,7% e paragonabile ai valori riportati da Monardes et al. (1983), Schutz (1994), Rupp and Boichard (1999), Samorè (2003), Carlén et al. (2004), de Haas et al. (2008), Samorè et al. (2008). L’ereditabilità della produzione giornaliera di latte è pari al 18,8% e rispecchia i valori riportati in bibliografia, compresi tra il 13 e il 34% (Rupp and Boichard, 1999; Samorè, 2003; Carlén

et al., 2004; Ikonen et al., 2004).

In generale, le correlazioni genetiche tra i caratteri produttivi e le SCS sono basse (Tabella 8). In particolare, tra le SCS e la produzione di latte è -0,115, tra SCS e grasso è -0,219 e tra SCS e proteina è -0,298. Analoghe correlazioni si riscontrano in letteratura (Schutz, 1994; Rupp et al., 1999; Carlén et al., 2004; Ikonen et al., 2004; Cassandro et

al., 2008). Prossime allo zero sono pure le correlazioni tra latte e grasso (-0,001) e latte

e proteina (-0,089), mentre la stima più alta si ha tra grasso e proteina (0,629).

Visti i dati di ereditabilità, la selezione diretta per ridurre le SCS risulta più difficoltosa di quella per gli aspetti produttivi. L’utilizzo delle SCS come strumento di selezione indiretta per il miglioramento dello stato sanitario della mammella appare giustificato dall’ereditabilità più alta rispetto a quella per la resistenza alla mastite, dalle alte correlazioni genetiche tra i due caratteri (Schutz, 1994; Nash et al., 2000; Carlén, 2004) e dalle basse correlazioni con i caratteri produttivi. Pertanto, la selezione indiretta dovrebbe limitare l’insorgenza di mastiti senza compromette la produzione di latte, grasso e proteina.

Il valore riproduttivo (EBV) di un animale è dato dalla capacità del soggetto stesso di migliorare o meno la media della popolazione a cui appartiene. Nelle Figure 6, 7, 8 e 9 sono riportate le distribuzioni degli EBV per produzione di latte, SCS, proteina e grasso. Gli EBV della popolazione Burlina mostrano la variabilità presente nella razza: il range per il latte è di 8 kg/giorno (Figura 6), per le SCS è di 1,6 punti (Figura 7), per la proteina è del 0,9% (Figura 8) e per il grasso è di 1,3% (Figura 9).

La presenza di variabilità genetica nella razza è sfruttabile ai fini selettivi se associata ad un monitoraggio continuo del livello di consanguineità. Per fare ciò si potrebbe adottare una strategia basata su indici composti parentela-indici genetici. La finalità è di gestire la popolazione attraverso piani di accoppiamento che consentano di migliorare la razza mantenendo la variabilità genetica. La scelta dei riproduttori può essere ottimizzata con la seguente funzione:

ܯ = ݒ× ܧܤܸ − ݒ× ܽ௫௬

dove ܯ è il merito individuale del soggetto e ݒ e ݒ sono i pesi da attribuire, rispettivamente, agli EBV e alla parentela (axy), che permettono di dare l’enfasi desiderata al progresso genetico e al controllo della consanguineità (Pagnacco, 2004; Cassandro, 2008). L’intensità di selezione viene attenuata dall’impiego dei soggetti che garantiscono il contenimento del livello di consanguineità. Questo approccio garantisce un giusto compromesso tra redditività e conservazione della popolazione.

Il presente lavoro di tesi ha stimato i parametri genetici dei caratteri produttivi e delle cellule somatiche della razza Burlina. L’ereditabilità è pari al 18,8% per la produzione di latte, 27,5% per il contenuto di grasso, 35,8% per il contenuto di proteina e 6,7% per le SCS. Le correlazioni genetiche tra tutti i caratteri sono tendenzialmente basse, ad eccezione di quella tra grasso e proteina (0,629). I risultati sono in linea con i valori riportati in bibliografia per le razze cosmopolite. I valori riproduttivi hanno mostrato la presenza di variabilità genetica nella popolazione, sfruttabile per il miglioramento genetico dei caratteri produttivi e, soprattutto, per la selezione indiretta contro la mastite attraverso l’utilizzo delle SCS.

Nelle razze autoctone, la cui numerosità effettiva è critica, l’attività di selezione non può prescindere dalla conservazione delle stesse. La variabilità genetica in primo luogo deve essere mantenuta e, successivamente, utilizzata al fine di incrementare la redditività dell’allevamento. Lo sviluppo di indici genetici e di piani di accoppiamento dovrebbe essere associato alla valorizzazione delle caratteristiche intrinseche alla razza, quali la longevità, la fertilità, la rusticità e l’adattabilità a diverse condizioni ambientali. Questi aspetti, unitamente al fatto che sono in atto progetti mirati a creare un forte legame razza-prodotto-territorio, sono indispensabili per sostenere la popolazione Burlina.

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