• Non ci sono risultati.

È d’obbligo sottolineare che l’analisi statistica dei dati è stata condotta su un campione estremamente ridotto dal punto di vista numerico (32 casi in totale) ed occorre quindi considerare ciascun caso con rigorosa cautela. I soggetti del campione in esame sono stati studiati in riferimento alle variabili di sopravvivenza DFI e ST, espresse in giorni (gg), attraverso la determinazione del valore medio.

Il DFI ed il ST sono stati messi in relazione al fattore chemioterapia, in base al quale i soggetti sono stati divisi in Gruppo 1 e Gruppo 2, già descritti nel paragrafo 3.8.

Inoltre il DFI e il ST sono stati studiati in riferimento al fattore taglia, in base al quale il campione totale (n°=32) è stato suddiviso secondo le indicazioni riportate nel paragrafo 2.2.13, in 2 ulteriori gruppi: Giganti e

Grandi, già descritti nel paragrafo 3.1.4.

Per i valori di P<0,05 sono state poi studiate le interazioni tra i 2 fattori (taglia e chemioterapia) in relazione alle variabili DFI e ST.

DFI (gg) ST (gg)

Gruppo 1 305,1 ± 62,3 366,1 ± 61,1 Gruppo 2 362,3 ± 49,8 386,9 ± 48,9

Tabella 3-5 Valori medi del DFI e del ST dei soggetti trattati con i 2 protocolli chemioterapici differenti

Il test statistico utilizzato è stato applicato ai dati in funzione della variabile DFI, espressa in gg, relativamente al fattore chemioterapia. Da ciò è risultato che non esiste alcuna differenza statisticamente significativa tra i due gruppi, suddivisi in base al fattore chemioterapia. I valori di P stimati si

Il test è stato successivamente applicato alla variabile ST, espressa in gg, in riferimento al fattore chemioterapia. Anche in questo caso non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa tra i 2 gruppi (P>0,05).

DFI (gg) ST (gg)

Giganti 405,4 ± 56,6 467,4 ± 55,5 Grandi 261,9 ± 54,7 285,7 ± 53,7

Tabella 3-6 Valori medi del DFI e del ST dei soggetti appartenenti alle taglie Gigante e Grande

La variabile DFI è stata poi valutata in funzione del fattore taglia. Il nostro studio ha dimostrato che non esiste alcun effetto statisticamente significativo del fattore sulla variabile (P>0,05).

Successivamente il test è stato applicato alla variabile ST, rispetto al fattore

taglia. Da questa valutazione il valore di P è risultato inferiore a 0,05,

indicando un effetto statisticamente significativo del fattore taglia sulla variabile ST. Nello specifico, i soggetti appartenenti alla taglia gigante hanno rivelato un valore medio del ST maggiore (467,4 ± 55,5) rispetto ai soggetti appartenenti alla taglia grande (285,7 ± 53,7).

Per il valore di P<0,05 è stata poi valutata l’interazione tra i due fattori

chemioterapia e taglia. Il risultato di P>0,05 dimostra che non esiste alcuna

4 DISCUSSIONE

L’osteosarcoma appendicolare canino, oggetto di questa tesi , è il tumore osseo primario più comune del cane, rappresentando circa l’85% delle neoplasie maligne che originano dall’ osso (Dernell et al, 2007). L’OSA è stato largamente studiato, per quanto riguarda le caratteristiche epidemiologiche, eziopatogenetiche, cliniche, radiografiche e patologiche della malattia.

Tale disponibilità di fonti in Letteratura Veterinaria, senza dubbio, ha supportato la stesura della tesi, in particolar modo in riferimento alla parte generale.

La scelta di un iter diagnostico e terapeutico prestabilito è stato di certo un elemento importante, ed ha reso più semplice e lineare il reperimento dei dati necessari allo studio.

Tuttavia lo svolgimento del nostro lavoro ha trovato le maggiori difficoltà durante l’elaborazione statistica dei dati, dovute soprattutto al ridotto numero di soggetti inclusi nello studio. Infatti non è stato possibile impostare la valutazione delle variabili di sopravvivenza DFI e ST in riferimento al fattore localizzazione anatomica di OSA, in modo da studiarne l’importanza ai fini prognostici della patologia. Inoltre, data la grande disomogeneità del campione in esame riguardo alla razza, a causa dell’appartenenza dei pazienti a 11 razze differenti, è stata impostata la valutazione delle variabili DFI e ST in riferimento al fattore taglia, in seguito alla suddivisione dei cani in base al peso corporeo. Questa scelta è stata operato in riferimento a quanto affermato da Dernell et al nel 2007, e cioè che la taglia sembra costituire un fattore predisponente nello sviluppo di OSA maggiormente significativo rispetto alla razza.

La maggior parte (78,1%) dei cani trattati aveva un’età compresa tra i 4 e gli 8 anni, con media e mediana di 7 anni, confermando il dato riportato in

potenzialmente OSA può colpire cani di tutte le età, avendo avuto inclusi nel campione soggetti con un età che oscillava da 1 a 12 anni. Per quanto riguarda il sesso, dai risultati è emersa una prevalenza delle femmine rispetto ai maschi (56,27% contro 43,75% - 1,2:1). Il dato, che inizialmente può essere interpretato come leggermente discordante da quanto riportato in Letteratura (Marconato, 2005), va analizzato in riferimento al fatto che nel nostro campione si osserva una prevalenza di Rottweiler ed Alani (in totale 10/32), razze in cui le femmine sembrano avere una maggiore predisposizione nei confronti di OSA (Marconato, 2005). Infatti, per quanto riguarda i Rottweiler le femmine erano 4 su un totale di 5, mentre per quanto riguarda gli Alani, il rapporto era di 3/5.

Risulta inoltre interessante evidenziare il fatto che il nostro campione era nel complesso costituito solo da elementi di taglia grande (n°= 18) e gigante (n°=14); nessun soggetto infatti aveva un peso inferiore ai 25 Kg. Il dato risulta essere in accordo con l’ affermazione di Gellash et al che, nel 2002, hanno stabilito che i cani con peso superiore ai 25 Kg hanno il rischio di sviluppare OSA 185 volte maggiore rispetto ai soggetti di peso inferiore. In relazione con quanto riportato dagli Autori (Marconato, 2005; Buracco et al, 2007; Dernell et al, 2007), possiamo affermare che OSA è una patologia che colpisce principalmente soggetti di taglia grande e gigante e che il peso, e relativamente a questo, la taglia, rappresentano due importanti fattori di rischio per quanto riguarda l’ eziopatogenesi di OSA. In particolare sono l’aumento di peso e di altezza a rappresentare i fattori predittivi più importanti nello sviluppo della malattia (Ru et al 1998), e ciò è stato spiegato a causa dell’elevato turn-over cellulare a livello delle epifisi delle ossa lunghe, su cui inoltre si esercita inoltre lo stress causato dal peso. Per quanto riguarda la localizzazione di OSA a livello dello scheletro appendicolare possiamo sostenere che l’arto toracico è stato quello maggiormente interessato dalla neoplasia (62,5% del totale in esame), confermando quanto riportato in Letteratura (Knecht et al, 1978; Marconato

et al, 2005), e ciò sarebbe causato dal fatto che gli arti anteriori sostengono il 60% del peso corporeo, subendo maggiore stress. Le sedi maggiormente interessate dalla neoplasia sono risultate essere il terzo distale del radio ed il terzo prossimale dell’omero, costituendo il 59,4% del totale in esame. Si può inoltre affermare che i nostri risultati concordano con i dati descritti da Marconato riguardo la distribuzione delle sedi anatomiche di OSA, tranne per quanto riguarda la localizzazione alla tibia prossimale. Marconato infatti riporta che la tibia prossimale rappresenta dal 7 al 15% delle sedi colpite, mentre il nostro dato è inferiore (3,1%). Ciò può essere imputabile all’esiguo numero di cani che costituisce il nostro campione, che come già affermato, costituisce il limite principale dello studio.

In riferimento ai dati clinici rilevati, possiamo affermare che i principali sintomi sono stati la zoppia, di grado variabile, associata al dolore, e la tumefazione dell’arto interessato dalla neoplasia. Un dato importante da sottolineare è che non è mai stato evidenziato il coinvolgimento linfonodale da parte della neoplasia. Il fatto è di certo da mettere in relazione al fatto che per i tumori mesenchimali la diffusione metastatica avviene principalmente per via ematogena.

Sia dal segnalamento che dall’anamnesi possono essere tratte informazioni importanti al fine della diagnosi di OSA, ma le caratteristiche aspecifiche della sintomatologia non permettono di arrivare ad una diagnosi certa, e sono necessarie indagini più approfondite ed invasive.

Dall’esame radiografico dell’arto è stato possibile solo emettere la diagnosi di lesione ossea biologicamente aggressiva, per cui devono essere considerate accuratamente le principali diagnosi differenziali (altri tumori primari e secondari dell’osso, osteomieliti batteriche e fungine).

All’esame radiografico del torace, al momento della prima visita, è stato esclusa in ogni caso la presenza di lesioni metastatiche polmonari.

radiografici con evidenti aree di lisi della corticale, ma poco invasivo e poco costoso per il proprietario, e dall’esame istopatologico attraverso l’impiego dell’ Ago di Jamshidi. L’utilizzo di questo strumento è risultato essere molto pratico ed accurato al fine della diagnosi di OSA, e non è mai stato osservato lo sviluppo di una frattura patologica in seguito al suo uso. La terapia chirurgica utilizzata è stata in tutti i casi l’amputazione. Durante gli interventi chirurgici non si sono manifestati problemi di tipo anestesiologico e le uniche complicanze avute nel periodo post-operatorio sono state lo sviluppo di sieromi a livello della ferita nel 10% dei casi, risoltisi successivamente all’aspirazione. I migliori risultati, per quanto concerne le capacità deambulatorie dell’animale, sono stati ottenuti nei pazienti amputati all’arto posteriore, a causa degli adattamenti che deve subire la distribuzione dei pesi sui tre arti rimanenti (Kirpensteijn, 2000). Infatti le modificazioni della distribuzione dei pesi sugli arti sono molto più significative in caso di amputazione dell’arto toracico, poiché l’arto controlaterale si trova a sostenere il 53% del peso corporeo totale, a differenza del 30% prima dell’intervento. Tuttavia è da sottolineare il fatto che in media si è potuto assistere ad una ripresa della capacità del movimento entro le 48 ore dall’amputazione, dato che ha confortato sia i clinici che i proprietari, riguardo la valutazione sull’ intervento. Occorre però osservare che in un caso il paziente (meticcio femmina di sette anni) è stato sottoposto ad eutanasia dopo circa 10 mesi dall’intervento a causa di infermità deambulatoria.

Gli ottimi risultati ottenuti con l’amputazione, in riferimento alla relativa semplicità della tecnica chirurgica, al basso tasso di complicanze post- intervento, alla qualità della vita del paziente ed alla conseguente soddisfazione dei proprietari, hanno spinto i clinici a proporre questo intervento come trattamento d’elezione in caso di OSA.

In letteratura sono stati pubblicati lavori che hanno dimostrato che la sopravvivenza dei cani in casi di OSA appendicolare può essere

sensibilmente aumentata sottoponendo gli animali a protocolli chemioterapici (Mauldin et al, 1988; Berg et al, 1992; Berg et al, 1995; Bergman et al, 1996; Chun et al, 2000; Langova et al, 2004).

I 32 soggetti dello studio, suddivisi in due gruppi, sono stati sottoposti alla chemioterapia adiuvante, rispettivamente a base di doxorubicina alla dose di 30 mg/m2 per via endovenosa, ogni tre settimane e cisplatino alla dose di 70 mg/m2 per via endovenosa in infusione lenta, alternato a doxorubicina

dose di 30 mg/m2 per via endovenosa ogni tre settimane.

L’inizio del trattamento chemioterapico adiuvante è stato stabilito il prima possibile dopo la chirurgia. In media i protocolli sono stati incominciati circa 4 giorni successivamente all’intervento, senza che si siano verificate complicazioni alla guarigione della ferita.

Gli intervalli di 21 giorni sono rispettati al fine di garantire la ripresa dell’organismi dai principali effetti collaterali (Berg, 1995).

Per quanto riguarda l’andamento generale della terapia, occorre notare che la maggior parte dei cani ha ben tollerato il trattamento, non manifestando segni gravi di tossicità da farmaci. Il principale effetto collaterale è stato la neutropenia, mai scesa al di sotto del limite soglia di 2000 neutrofili per µl, tanto che non si sono mai resi necessari l’interruzione della terapia, o la posticipazione dell’inizio del nuovo ciclo, o la riduzione della dose di farmaco e la somministrazione di antibiotico. In un solo caso si è manifestata la nefrotossicità da cisplatino, per cui è stato indispensabile interrompere la terapia immediatamente dopo il primo ciclo chemioterapico. Per quanto riguarda la doxorubicina, non sono mai stati dimostrati casi di cardiotossicità.

Occorre inoltre osservare che la doxorubicina è risultata essere di maggior praticità nel suo utilizzo rispetto al cisplatino: la doxorubicina non richiede tempi lunghi di somministrazione, come invece devono essere rispettati durante l’utilizzo del cisplatino, che richiede necessariamente

l’impostazione di protocolli diuretici per la prevenzione della tossicità renale.

I dati desunti dall’analisi statistica relativa al campione in esame hanno dimostrato una sopravvivenza media di 52,2 settimane nel caso di trattamento solo a base di doxorubicina e di 55,3 settimane nel caso dell’utilizzo di doxorubicina e cisplatino. La lieve differenza analizzata dal test ANOVA non si è rilevata statisticamente significativa. Quindi si può affermare che per quanto riguarda il campione in esame, l’impostazione della terapia secondo due diversi protocolli chemioterapici non ha prodotto differenze significative delle variabili di sopravvivenza. Si può quindi sostenere che la combinazione dei due farmaci, studiata in modo da aggredire le cellule neoplastiche con meccanismi d’azione diversi, non migliora e non aumenta gli effetti della chemioterapia basata sulla somministrazione di un singolo farmaco.

Tali risultati sono stati poi paragonati ai lavori descritti in Letteratura.

Di certo possiamo affermare che in generale soggetti inclusi nel nostro studio hanno un tempo di sopravvivenza medio maggiore rispetto ai cani trattati con la sola amputazione (52,3-55,3 settimane contro 19,2 settimane) dello studio di Berg del 1992 (Berg et al,1992).

Il gruppo dei cani trattati con doxorubicina è stato confrontato con il gruppo costituito da 35 cani del lavoro di Berg del 1995, effettuando il paragone dei tempi di sopravvivenza medi. Da ciò è emersa l’assoluta concordanza dei ST rilevati nel nostro studio ed in quello di Berg (52,3 settimane contro 52,3 settimane).

Per il gruppo dei cani trattati con doxorubicina e cisplatino il paragone è stato operato con lo studio di Mauldin (Mauldin et al, 1988). I ST medi del nostro studio risultano sensibilmente più alti rispetto a quelli del lavoro precedentemente pubblicato (55,3 settimane contro 45 settimane), ma in questo caso non è stato possibile effettuare uno studio statistico tra i due gruppi a causa delle differenze tra i due protocolli per quanto riguarda il

dosaggio dei farmaci, il tempo che intercorre dalla chirurgia all’inizio della chemioterapia ed il numero di cicli.

Il 78,1% dei soggetti in esame è deceduto a causa della diffusione metastatica della patologia a livello del polmone, mentre per il restante 21,8% la causa di morte non è stata direttamente correlata ad OSA. Il reperimento di metastasi polmonari è stato possibile attraverso l’esame radiografico e in media i soggetti con metastasi polmonari hanno avuto una sopravvivenza di 56,9 settimane, mentre i cani morti per cause non correlate di 36,8 settimane.

Nel calcolo delle percentuali di sopravvivenza sono stati esclusi i 7 soggetti che non sono deceduti a causa delle metastasi polmonari, perché è stato stabilito la non diretta correlazione con il tumore. Le percentuali sono state calcolate in relazione alla suddivisione dei pazienti nei due gruppi in base alla chemioterapia.

Per il Gruppo 1 sono stati eliminati 2 soggetti a 6 mesi, 1 soggetto a 9 mesi, 1 soggetto a 12 mesi ed 1 soggetto a 15 mesi.

Dai dati emersi dallo studio del Gruppo 1 è risultato che la percentuale dei soggetti vivi ad 1 e a 2 anni è stata rispettivamente del 43,5% e del 6,6% . I dati sono inferiori al risultato riportato in letteratura da Berg nel 1995, secondo la cui esperienza la percentuale di soggetti in vita ad 1 anno era del 50,5% e a 2 anni del 9,7%.

Per i soggetti del Gruppo 2 i risultati sono stati del 54,5% ad 1 anno e di nessun soggetto in vita a 2. I dati risultano superiori alle sopravvivenze ottenute da Mauldin nel 1988 per quanto riguardo i risultati ad 1 anno (54,5% contro il 37%), mentre concordano con le sopravvivenze a 2 anni. A causa della grande disomogeneità e della non completezza dei dati non è stato possibile effettuare una corretta valutazione dei fattori prognostici della malattia. Nel nostro studio è stato però possibile valutare le variabili di sopravvivenza in relazione alla taglia dei soggetti, indipendentemente dal

soggetti appartenenti alla taglia gigante hanno dei ST maggiori rispetto ai soggetti di taglia grande. Occorre comunque ribadire che il limitato numero di cani trattati non consente di raggiungere delle conclusioni definitive riguardo queste affermazioni, per cui si suggerisce un ulteriore approfondimento dello studio, attraverso la valutazione di una casistica più ampia.

5 CONCLUSIONI

I dati emersi da questo studio confermano per la gran parte con quanto riportato in letteratura riguardo i dati anamnestici, clinici, radiografici e patologici.

L’impostazione dell’indagine clinica secondo un iter diagnostico prestabilito ha facilitato la raccolta e l’analisi dei dati.

Dal nostro studio non sono emerse differenze statisticamente significative tra i due protocolli chemioterapici in esame.

Le differenze che sono emerse riguardo l’efficacia dei protocolli e chemioterapici rispetto ai dati presenti in letteratura potrebbero essere imputabili al numero ridotto di soggetti inclusi nello studio, che inoltre ha determinato anche l’impossibilità di operare una corretta valutazione riguardante i fattori prognostici della neoplasia. Ciò sarebbe stato di grande interesse al fine di avere una visione più completa e riguardante tutti gli aspetti della patologia.

Dai dati disponibili è stato possibile solo effettuare la valutazione della correlazione della taglia dell’animale con le variabili di sopravvivenza. Tuttavia i risultati emersi a riguardo dovrebbero essere indagati più approfonditamente attraverso lo studio di un campione di dimensioni maggiori e per tale motivo devono essere accuratamente interpretati.

BIBLIOGRAFIA

1. Allen DG, Pringle JK, Smith DA et al: Descrizione dei farmaci

per i piccoli animali in Allen DG, Pringle JK, Smith DA et al: I

farmaci per uso veterinario (edizione italiana). Padova, Piccin Nuova Libraria, 2001, pp 48-284.

2. Berg J, Weinstein MJ, Schelling SH et al: Treatment of dogs with

osteosarcoma by administration of cisplatin after amputation or limb-sparing surgery: 22 cases (1987-1990). J Am Vet Med

Assoc 200:2005-2008, 1992.

3. Berg J, Weinstein MJ, Springfield DS, et al: Results of surgery

and doxorubicin chemotherapy in dogs with osteosarcoma. J Am

Vet Med Assoc 206:1555-1560, 1995.

4. Berg J: Canine Osteosarcoma: Amputation and Chemotherapy.

Vet Clin North Am Small Anim Prac 26:1 111-121,1996.

5. Bergman PJ, MacEwen EG, Kurzman ID et al: Amputation and

carboplatin for treatment of dogs with osteosarcoma: 48 cases (1991-1993). J Vet Int Med 10:76-81, 1996.

6. Berry CR, Love NE, Thrall DE: Interpretation paradigms for the

appendicular skeleton - canine and feline in Thrall DE: Textbook

of veterinary diagnostic radiology (4th ed). Philadelphia, Saunders, 2002, pp 135-145.

8. Brunetti A, Petruzzi V: L’ apparato locomotore, tecniche di

studio e semiologia radiologica in Bertoni A, Brunetti A, Pozzi L

et al: Radiologia Veterinaria. Napoli, Idelson-Gnocchi, 2005, pp 61-104.

9. Buracco P, Morello E, Martano M, et al: Pasteurized tumoral

autograft as a novel procedure for limb sparing in the dog: a clinical report. Vet Surg 31:525-532, 2002.

10. Buracco P, Morello E, Tumori ossei, in Romanelli G: Oncologia

del cane e del gatto (Prima Edizione). Elsevier-Masson 2007.

11. Carrani F, Poli A: Apparato muscoloscheletrico, in , in Poli A,

Ciorba A: Citologia del cane e del gatto (1° ed). Milano, Poletto editore, 2007, pp 178-187.

12. Chun R, de Lorimer LP: Update on the biology and the

managment of canine osteosarcoma. Vet Clin North Am Small

Anim Prac 33:491-516,2003.

13. Chun R, Kurzman ID, Couto CG et al: Cispaltin and doxorubicin

combination chemotherapy for the treatment of canine osteosarcoma: a pilot study. J Vet Intern Med 14:495-495, 2000.

14. Cooley DM, Beranek BC, Schlitter DL et al.: Endogenous

gonadal hormone exposure and bone sarcoma risk. Cancer

Epidemiol Biomarkers Prev 11:1434-40, 2002.

15. Coppoc GL: Chemioterapia delle malattie neoplastiche in Adams

HR: Farmacologia e terapeutica veterinaria (seconda edizione italiana). Roma, EMSI, 1999, pp 1143-1168.

16. Dernell WS, Ehrhart NP, Straw RC et al, Tumors of the Skeletal

System, in Withrow SJ, Vail DM: Small Animal Clinical

Oncology (4th Ed). St. Louis, Saunders Elsevier, 2007, pp 540- 582.

17. Dernell WS: Chirurgia conservativa dell’ arto per i cani con

neoplasia ossea in Slatter D: Trattato di chirurgia dei piccoli

animali (edizione italiana). Roma, Antonio Delfino Editore, 2005, pp 2272-2284.

18. Dubielzig TF, Biery DN, Brodey RS: Bone sarcomas associated

with multifocal medullary bone infarction in dogs. J Am Vet Med

Assoc 179:64-68, 1981.

19. Ehrhnart N, Withrow SJ, LaRue SM, Principi e tecniche di

biopsia nei tumori, in Bojrab MJ, Ellison GW, Slocum B.:

Tecnica Chirurgica (1° ed). Torino, UTET, 2001, pp 57-64.

20. Farese JP, Milner R, Thompson MS et al: Stereostatic

radiosurgery for treatment of osteosarcomas involving the distal portions of the limbs in dogs. J Am Vet Med Assoc 225:1567-

1572, 2004.

21. Flint AF, U’ Ren L, Legare ME et al: Overexpression of the

erbB-2 proto-oncogene in canine osteosarcoma cell lines and tumors. Vet Pathol 41:291-296, 2004.

22. Gamblin RM, Straw RC, Powers BE et al: Primary osteosarcoma

distal to the antebrachiocarpal and tarsocrural joints in nine dogs (1980-1992). J Am Anim Hosp Assoc 31:86-91, 1995.

23. Garzotto C, Berg J: Apparato muscoloscheletrico in Slatter D:

Trattato di chirurgia dei piccoli animali (edizione italiana). Roma, Antonio Delfino Editore, 2005, pp 2465-2474.

24. Gellash KL, Kalscheur VL, Clayton MK et al,: Fatigue

microdamage in the radial predilection site for osteosarcoma in dogs. Am J Vet Res 63:896-9,2002.

25. Gillette SM, Gillette EL, Powers BE, et al,: Radiation-induced

Documenti correlati