Oltre lo sviluppo: la Decrescita
III. 8 C RITICHE ALLA TEORIA DELLA D ECRESCITA
La decrescita ha suscitato numerose critiche da parte di correnti anche molto diverse tra loro. Per i sostenitori del libero mercato se ad es. una risorsa particolare non rinnovabile diventa scarsa il mercato limiterà la sua estrazione attraverso i meccanismi di aumento del prezzo (e conseguente diminuzione della domanda) e allo stesso tempo di un aumento degli investimenti per lo sviluppo di soluzioni alternative (energie rinnovabili, riciclaggio dei rifiuti..) . La soluzione quindi più razionale è quella di lasciar fare liberamente alle dinamiche di mercato tipiche dell’attuale sistema capitalistico, in grado di conoscere e sfruttare nuove fonti energetiche perché la crescita economica ne richiederà il loro uso. In sostanza, per l’economia neo-classica, se la decrescita ci sarà, questa sarà fisiologica e regolata dalle leggi del mercato al raggiungimento del massimo dello sviluppo del sistema economico in funzione della disponibilità delle risorse. Riguardo invece alla teoria di Georgescu- Roegen, Robert Solow e Joseph Stiglitz hanno argomentato che capitale e lavoro possono sostituire le risorse naturali nella
106 produzione, sia in maniera diretta che indiretta, garantendo così il perdurare della crescita.
La critiche provenienti dal fronte marxista partono dal presupposto che esistono due tipi di crescita: quella che è utile agli uomini, e quella che ha come solo fine quello del aumento del profitto per le imprese. L’errore della decrescita sta quindi nel non aver capito che il motore della produzione capitalistica non è la produzione di merci in sé, ma il fatto che questa produzione, con il connesso inquinamento che essa provoca, sia subordinata all’appropriazione privata di profitto. I decrescenti non prendono poi in considerazione le implicazioni di classe della crisi ecologica, in quanto i costi sociali dell’inquinamento sono scaricati soprattutto sui gruppi sociali inferiori, e molto meno sulle classi sociali più abbienti.
Il concetto di decrescita è molto spesso criticato e visto come contraddittorio anche dai paesi in via di sviluppo, visto che essi richiedono invece una sostenuta crescita delle loro economie per raggiungere la prosperità. Le soluzioni prospettate dagli obiettori della crescita (raggiungimento di un minimo livello di benessere attraverso la rivitalizzazione delle economie locali di autosussistenza) non spiegano però il dove stia il punto di equilibrio tra quanto queste economie dovrebbero svilupparsi e quanto quelle degli stati del Nord dovrebbero invece ridursi.
Le indicazioni su come debba avvenire la decrescita, rimangono troppo vaghe e possibili quindi di interpretazioni e attuazioni che vado a sfociare in derive estremiste e antidemocratiche, come ad esempio si potrebbe creare il preoccupante scenario in cui qualcuno decide cosa è essenziale per noi e cosa non lo è, rischiando così di limitare la libertà di ciascuno.
107 Un’altra osservazione riguarda il fatto che non è detto che una riduzione controllata e selettiva dei consumi si traduca automaticamente in una produzione più pulita o che utilizzi tecnologie rinnovabili. Infatti può facilmente accadere che un calo delle risorse monetarie finisca con il tradursi in un processo di regressione industriale in cui tecnologie obsolete e più dannose per l’ambiente (ma più economiche), vengano preferite ad altre innovative che consentono una maggiore preservazione dell’ambiente. Se poi prendiamo in esame gli effetti di una riduzione del PIL, non è affatto detto che gli effetti siano equamente distribuiti tra la popolazione, ma è invece più probabile che vadano ad abbattersi in modo regressivo, andando a colpire in misura maggiore le fasce più povere della popolazione. È chi ha meno infatti che soffre in misura proporzionalmente maggiore della riduzione percentuale del proprio reddito. Ed è chi ha meno che mostra una propensione marginale al consumo più alta. Il rischio è che in questo modo la decrescita finisca con l’assumere le caratteristiche di un disegno conservatore, piuttosto che progressista.
Un altro problema riguarda a mio avviso una delle basi empiriche a cui si rifà la decrescita e cioè a quella del rapporto del Club di Roma. Come abbiamo visto nel primo capitolo, i dati allarmanti che preannunciavano una catastrofe ecologica e sociale imminente sostenuti dal rapporto, si sono rivelati errati, sia per quanto riguarda l’esaurimento delle risorse fossili, sia per quanto riguarda la stima sulla popolazione mondiale, sovrastimata in modo consistente.
Un movimento che si propone come un nuovo paradigma in grado di superare l’attuale sistema economico-sociale-culturale, attuando una vera e propria rivoluzione, non può permettersi di basarsi su dati facilmente opinabili e contestabili, ma deve prima di tutto creare una base solida, sulla quale poggiare le proprie proposte.
108 Infine, oltre ad adoperare una corretta distinzione tra crescita e sviluppo, come ripetutamente sostenuto dagli obiettori di crescita, credo sia opportuno riflettere anche sui vari tipi di crescita che possono esistere. Per citare alcuni esempi la crescita ha permesso, nell’ultimo secolo di raddoppiare l’aspettativa di vita nei paesi occidentali, ha contribuito al dimezzamento della povertà in Cina, ed ha permesso di ridurre in maniera significativa il tasso di analfabetizzazione in Brasile. Forse il problema principale non è tanto se e quanto debba esserci una crescita (o una decrescita) ma se essa è giusta, ridistribuita egualmente fra le fasce della popolazione, e sostenibile per la società e per l’ecosistema. Se si riuscisse ad ottenere questi obiettivi, credo che non avrebbe più molta importanza parlare di crescita/decrescita.
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