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Ritorno alla vita semplice nella società contemporanea

L’idea del vivere semplice appartiene all’uomo occidentale fin dall’antichità, nonostante questi non ne sia mai stato consapevole. Basti pensare alla letteratura greca e romana per rendersi conto che l’uomo delle origini ha sempre riflettuto sull’essenza della vita stessa, piuttosto che investire le proprie conoscenze nello sviluppo della tecnica. L’età dell’oro, tanto cara ai romani, potrebbe rappresentare ciò che Suzuki afferma riguardo i principi guida del Buddhismo Zen: un vivere basato sulla semplificazione, sull’auto-efficienza e sull’ozio nel suo senso spirituale. Una simile dimensione non si discosta di molto dall’idea di mondo sognante di cui racconta Jung nel suo saggio relativo al viaggio in India.41 Si tratta di un way of life che dona ampio spazio agli aspetti inconsci degli individui, mantenendo viva la parte arcaica.

L’avvento del Cristianesimo, con la sempre maggiore repressione degli istinti ha condotto l’Occidente all’inevitabile sviluppo della conoscenza razionale, confinando lo Spirito nella dimensione ultraterrena. In questa prospettiva possono essere lette le gesta eroiche della storia europea: la costruzione di fortezze e templi, città, ponti e strade, la presa di coscienza di possedere un nome che identificasse un determinato individuo, la scoperta di vivere in una precisa località, sono tutti fatti che dimostrano l’esigenza di costruire una splendida cornice all’uomo occidentale, il quale necessita di vedere le proprie qualità proiettate nel mondo esteriore e materiale, poiché carente nella fiducia in se stesso. Tale evoluzione ha fatto sì che si sviluppasse il concetto di ‘storia lineare’, del quale è parte costituente l’esigenza di interessarsi alla registrazione dell’inizio e degli sviluppi dei fenomeni, mirando ad un fine che faccia sperare in un futuro migliore.

Quel futuro migliore tanto auspicato, si traduce oggi, però, nella semplificazione delle comunicazioni e in tutte le altre comodità della nostra epoca: idee nate con lo scopo di risparmiare del tempo, tuttavia rivelatesi tremendi mezzi che riempiono il tempo a tal punto da non averne per nulla, trasformando l’individuo in un vaso costantemente pronto a esplodere sotto forma di nevrosi. Per semplificare, è emblematico l’ampio uso di Internet e dei social network

della nostra epoca che sottraggono spazio alla fisicità e all’immediatezza delle relazioni umane, provocando una sovrapposizione tra l’essenza individuale e l’avatar virtuale. Problematica questa che non va affatto sottovalutata se si vuole pensare al ritorno alla vita semplice di cui non è più possibile fare a meno.

Vivere semplice non significa però ritornare all’epoca medievale o al mondo arcaico, che possiedono certamente molti pro, ma altrettanti contra; la vita semplice consiste nella rinuncia alla sfera materiale, o almeno a parte di esse, per recuperare invece quella spirituale. Tuttavia, auspicare a una simile dimensione implicherebbe la rinuncia di una felicità, probabilmente fittizia, ma tangibile, a favore di qualcosa di invisibile, basato sulla fede e la devozione. E, a meno che non si possieda già una buona dose di spiritualità e con essa la capacità di pensare la vita come qualcosa degno di essere vissuto, la ricchezza materiale avrà sempre maggiore attrattiva.

Detto ciò, resto fermamente convinta che l’uomo contemporaneo necessiti del recupero di tale dimensione affinché possa trovare maggiore serenità. Non si tratta di rinunciare alle grandi scoperte che costantemente affiorano in campo tecnologico e scientifico-medico, quanto piuttosto di viverle con consapevolezza, tenendo presente che il progresso non è e non sarà mai in grado di cambiare le sorti dell’umanità, che per sua natura è destinata a perire e per questo a interrogarsi sul senso della vita. Forse quanto detto non è problematica di chi vive la prima parte della propria vita, ma lo diventa inevitabilmente per chi più si avvicinerà al termine dei propri giorni.

Dunque perché non rimpossessarsi subito di quella dimensione profonda che è costantemente pronta a fare irruzione nella mente degli individui? Quel che propongo non significa una vita di stenti o sofferenza, che infondo sono i più immediati generatori di spirito; intendo piuttosto una riflessione costante relativa alle necessità materiali, provando a comprendere se si abbia davvero bisogno di ciò che l’industria pubblicitaria continua a propinare, mostrando quanto siano indispensabili beni di cui si può senza alcun dubbio fare a meno. Credo, inoltre, che rinunciare con consapevolezza a ciò che di fatto non serve a nulla, stimoli enormemente la creatività, facendo sviluppare capacità manuali sovente sconosciute all’uomo di oggi.

Quando Jung, nel 1941, compilò un questionario inviato ad alcune eminenti personalità svizzere, da parte della redazione di Du: Schweizerische Monatszeitschrift, relativo al ritorno alla vita semplice, affermava: «Senza uno stato di necessità, alla massa non verrebbe mai in mente di ritornare ai “tesori della civiltà”. […] Civiltà significa essenzialmente continuità e prevede un’ampia conservazione dell’antico; la ricerca del nuovo invece crea inciviltà e sfocia in pura

barbarie».42 Nulla è cambiato da allora, anzi, la situazione si è fatta addirittura più complessa e inquietante; tuttavia senza un tentativo di recuperare ciò che di arcaico e istintuale esiste nell’uomo, l’unica soluzione perché la specie umana possa sopravvivere sarà quella di insediarsi in un nuovo pianeta - idea peraltro non lontana dall’essere realizzata – destinato però alle stesse sorti della Terra.

Nonostante quella descritta sia una catastrofe di dimensioni immani - ma reali, secondo gli studi scientifici in materia - appare come una realtà molto lontana dal venire e per questo l’uomo di oggi non ne è affatto terrorizzato. Ritengo perciò, che proporre una visione così tremenda non sia la soluzione per tentare un nuovo approccio alla dimensione spirituale, poiché lo Spirito diverrebbe ciò che è stato per secoli: una legge morale con il volto di Dio nel quale avere una fede cieca. Vivere spiritualmente significa, piuttosto, assumersi la responsabilità di se stessi con la consapevolezza degli obblighi nei confronti della collettività e per questa ragione, tale istinto non può provenire da una decisione razionale della massa, bensì dalla profonda essenza del singolo.

Rispetto all’individualità, però, l’Occidente ha sempre avuto qualche remora, ritenendola un atteggiamento egoistico e distante dalla sacralità del collettivo. Così, come già Jung aveva supposto nell’ampio corso dei suoi studi, il ritorno alla vita semplice e alla spiritualità può avvenire attraverso la scoperta della psicologia del profondo e grazie al contributo della filosofia orientale. Dunque ancora una volta l’Oriente si rivela, nello studio della psiche, come una sorta di speculum entro il quale provare a scovare ciò che è andato perduto nella nostra cultura materialista e artefatta.

CAPITOLO II