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Il ritorno alla tradizione orale: il caso di San’yūtei Enchō

2 “NUOVE STORIE RACCONTATE SMOCCOLANDO LA CANDELA”: PROPOSTA DI TRADUZIONE DI TRE STORIE

3.4 Il ritorno alla tradizione orale: il caso di San’yūtei Enchō

Nel corso del XIX secolo fu compreso appieno il potenziale scenografico dell’elemento soprannaturale e venne perciò sfruttato in diverse forme teatrali. In questo periodo fu in particolare il kabuki ad offrire terreno fertile per lo sviluppo dei kaidan in ambito teatrale, soprattutto per l’attenzione rivolta alle rappresentazioni del maligno, non più usato come contrapposizione di un elemento benigno ma protagonista della scena194. Questa nuova visione rese il repertorio dei kaidan particolarmente appetibile, per la ricchezza di spiriti maligni e vendicativi presenti nelle sue storie. Ad iniziare e valorizzare pienamente la collaborazione tra kaidan e kabuki fu il drammaturgo Tsuruya Nanboku IV 鶴屋南北 (1755 – 1829) con la sua opera di maggior successo, Tōkaidō Yotsuya kaidan 東海道四谷怪談 (“Fantasmi di Yotsuya del Tōkaidō”), un dramma in cinque atti rappresentato per la prima volta nel 1825. La trama dell’opera unisce fatti di cronaca recente con episodi del passato, in un susseguirsi di intrighi e malintesi uniti dal fil

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rouge dell’odio e della vendetta. Come altri prima di lui in ambito letterario, Tsuruya sfrutta il potere d’impatto del soprannaturale per esprimere una critica alla società del tempo, dipingendone i lati più oscuri come le condizioni di chi viveva ai margini di essa195. Con tutta probabilità la popolarità del kabuki e dei suoi drammi a sfondo soprannaturale hanno contribuito ampiamente all’apprezzamento delle rappresentazioni di San’yūtei Enchō, che riprende gli stessi elementi nella forma teatrale che lo ha reso famoso: il rakugo.

Il termine rakugo non è altro che un termine ideato in epoca Meiji per designare l’arte della narrazione orale, risalente alla tradizione medievale degli otogishū e degli altri cantastorie. Le caratteristiche formali del rakugo risalgono alla fine del XVII secolo, quando i cantastorie guadagnarono popolarità e iniziarono a partecipare agli eventi pubblici. Il declamatore siede solitamente su un cuscino e narra una storia derivata dal patrimonio culturale passato, avvalendosi di mimica e diverse tonalità di voce per renderla più interessante e coinvolgente. Le storie erano spesso caratterizzate da colpi di scena ed elementi divertenti o spaventosi, in grado di mantenere il pubblico sempre attento e interessato. San’yūtei Enchō, considerato il fondatore del rakugo moderno, iniziò l’attività di declamatore all’età di sette anni e si specializzò in storie d’amore e kaidan. Oggi è ricordato principalmente per Kaidan botandōrō, in cui mescola abilmente elementi di entrambe le tipologie di storia da lui predilette. Fu rappresentato per la prima volta nel 1861, suddiviso in ventidue giornate, ma nel 1884 l’incontro con la nascente tecnica della stenografia fece sì che Kaidan botandōrō si trasformasse in opera letteraria: fu la prima volta in cui una casa editrice richiedeva la trascrizione di un racconto orale nell’ambito del rakugo. La versione scritta subì alcuni cambi, apportati direttamente da San’yūtei e da uno degli stenografi incaricati del progetto, per ovviare alle diversità tra scrittura e narrazione orale, come la mancanza della mimica. L’opera ebbe enorme successo e venne adattata anche per il kabuki.

Sebbene lo spunto iniziale derivi da Mudandenji, San’yūtei crea una storia molto più complessa accostando e intrecciando alla storia d’amore tra un uomo e un fantasma altre vicende: si trova la storia del samurai Ijima Heizaemon, padre della donna fantasma, colpevole di aver ucciso un rōnin in gioventù e, come effetto del karma, si ritroverà ad accogliere come servitore proprio il figlio dell’uomo assassinato. Per la profonda ammirazione nei confronti del ragazzo, che mostra una profonda pietà filiale per il padre assassinato, e per sventare i complotti della concubina Okuni, Heizaemon si lascerà uccidere dal suo servitore, incaricandolo di prendere le redini della sua casata. Otsuyu, figlia di Heizaemon, è allontanata da casa da una matrigna perfida, Okuni, e si innamora del giovane Hagiwara Shinzaburō, che per convenzioni sociali non riesce a farle visita

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come vorrebbe, portando la giovane a morire di dolore. Da questo punto in poi la trama ricalca la fonte originale cinese, cambiando l’iniziale ruolo di aiutante del vicino di casa: qui Tomozō, questo il suo nome, viene corrotto dai fantasmi con dei soldi e stacca intenzionalmente i talismani dalla casa di Shinzaburō, lasciando che il giovane muoia per mano di Otsuyu. La storia di Tomozō sarà sviluppata ulteriormente: egli fugge insieme alla moglie, ma inizierà una relazione con Okuni che lo condurrà ad uccidere la consorte, che ricomparirà come fantasma per denunciare i crimini del marito.

Come Akinari, la storia narrata da San’yūtei si lascia alle spalle qualsiasi insegnamento di tipo religioso, sottolineando lo stretto legame tra il soprannaturale e le emozioni umane, soprattutto la gelosia e il rancore. Sempre analogamente ad Akinari, San’yūtei utilizza elementi radicati nella tradizione popolare per creare atmosfera e dare la sua personale spiegazione della vita: il rapporto con la sfera del soprannaturale non è dettato solo da credenze religiose o scaramanzia, ma ha un profondo legame con la mentalità umana196. San’yūtei ricrea l’atmosfera tipica dei racconti popolari per contrastare un pensiero che si stava affermando sempre più all’interno del processo di modernizzazione di epoca Meiji: la necessità di eliminare la credenza nella veridicità del soprannaturale, per mostrare al resto del mondo un paese progredito, non attaccato a tradizioni di stampo superstizioso. Per questa ragione cominciò a diffondersi l’idea che le visioni soprannaturali fossero da ascrivere a disturbi mentali. Studi condotti in campo psicanalitico hanno fornito una spiegazione simile, seppur meno drastica: i fantasmi, o qualsiasi apparizione di tipo soprannaturale, sarebbero una manifestazione dei desideri inconsci della psiche. San’yūtei abbraccia questa visione più razionale del soprannaturale, ma al contempo la sfrutta per far capire quanto i kaidan potessero esprimere al meglio le emozioni umane, proprio per il profondo legame con l’inconscio. L’azione di negazione dei sostenitori della modernizzazione è stata interpretata da San’yūtei come una censura alla fantasia in quanto espressione artistica197.

Sebbene la storia di San’yūtei non fosse originale198, il suo intrigante intreccio e la grande abilità oratoria del declamatore ne fecero un’opera di grande successo: di grande impatto scenico la scelta di utilizzare l’onomatopea associata al suono dei geta, karan koron, per introdurre l’entrata

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SAN’YŪTEI, La lanterna delle peonie, p.23

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MASTRANGELO Matilde, Passioni ed emozioni dei fantasmi nella letteratura giapponese: il caso di San’yūtei Enchō 三 遊亭円朝, Rivista degli studi orientali, 78, 2005, p.105

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Oltre alla fonte cinese, la cui trama era già stata utilizzata come fonte d’ispirazione anche in alcuni drammi kabuki, San’yūtei inserisce alcuni fatti di cronaca che gli erano stati raccontati da un ammiratore (SAN’YŪTEI, La lanterna delle

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in scena dei fantasmi, andando contro il tradizionale immaginario collettivo che li voleva senza piedi per creare suspense e disorientamento nel pubblico199.

Kaidan botandōrō conobbe un successo smisurato, che non cessò nemmeno dopo la morte del suo autore, rivivendo in una lunga serie di adattamenti e trasposizioni, non solo nell’ambito del rakugo. Moltissimi drammi kabuki nacquero nella scia del suo successo, di cui alcuni ancora in scena ai giorni nostri; la storia della lanterna delle peonie è stata anche oggetto di numerosi rimaneggiamenti cinematografici e di citazioni in opere letterarie più recenti200. L’esodo della storia ideata da Qu You nel XIV secolo non si limitò al continente asiatico: grazie al profondo interesse per l’oriente, lo scrittore Lafcadio Hearn condurrà la storia fino in occidente.

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