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Le riunioni nella “capanna rossa”

Appena ricostituita la Federazione provinciale del Parti to Comuni-sta fui chiamato a far parte del comitato, le riunioni clandestine si tenevano dal colono dell’on. Mancini oltre S. Maria Arzilla. Nome di riferimento “capanna rossa”. Al cune riunioni meno importanti si facevano nelle vicinanze di Pozzo Basso e Villa Fastiggi.

La staffetta era Fabi di S. Maria delle Fabbrecce un ra gazzetto fratello di uno ucciso a bastonate dai fascisti.

Nel biglietto era stabilita l’ora della riunione. Una vol ta mi por-to il biglietpor-to sul campo, a Pozzo Basso, dove abita vo era pieno di tedeschi. Alla sera tornando con la bicicletta a casa, avevo con me la stampa del partito. Sulla sponda del fiume mi si buca la gomma della bicicletta e nelle strade del paese passeggiavano i tedeschi; non era il caso di andare a casa. A 300 metri dal paese vi era una fitta siepe del colono Magi. Metto fra la siepe la bicicletta e le stampe e mi avvio a casa a piedi.

Erano le 11 di sera e quando sono a 200 metri dal paese i tedeschi ripartono e fra quel trambusto e movimento ho po tuto raggiungere la casa senza essere disturbato.

Un’altra riunione fu tenuta dal colono Della Chiara sulla via Strappato vicino a Monteluro. Vi sono andato a piedi passando per i campi per essere più sicuro. In quella riunione erano tutti contadini e quando si parlava loro bisognava ve derli bene in faccia. Terminata la riunione mi avvio per tor nare a casa con alcuni di questi. C’era una luna che si vedeva come di giorno, quando sono a 200 metri di distanza dalla mia casa mi accorgo che i carabinieri passeggiavano

andando avanti e indietro. Ho camminato sotto l’ombra di un filare di viti, poi accovacciato sotto l’ombra di una pianta e appena si sono allontanati un poco dalla mia casa ho saltato la rete me tallica per non andare al cancello perché mi avrebbero visto.

Costretto a sfollare mi portai con la famiglia a Scota neto, comu-ne di Urbino. Feci parte del comitato militare della brigata Bruno Lugli. Tutti i compagni si portarono in quel le vicinanze, portammo con noi tutte le armi, quelle tolte dalla caserma dei carabinieri e ai fascisti, prendemmo collega mento subito con il comandante del distaccamento dei parti giani che avevano il comando a Montebello.

I giorni successivi si ebbe il primo attacco in forza dei fascisti, per un errore strategico del comandante nello spiega re le nostre forze lasciato il comando sguarnito. Ai fascisti fu facile avere mano libera, bruciarono la sede e fucilarono il sol dato di guardia, un fotografo, un medico che erano appena arrivati al comando in merito alla loro professione.

Un’altra azione strategica si svolse a Fortecorniale ove i tedeschi dovettero liberare tutti gli operai del paese che ave vano preso per portarli a lavorare. Il capanno dove dimoravo era il punto di rife-rimento per i giovani che volevano raggiun gere il distaccamento.

I fascisti ed i tedeschi ne vennero a co noscenza. Il 26 luglio la S.S.

tedesca si presentò alla porta e vi gettarono le bombe incendiarie e tutto fu ridotto in cenere perfino un mio orologio. Per fortuna nes-suno della famiglia che abitava il capanno si trovava dentro.

Appena passato il fronte di combattimento fui incari cato dal comitato di liberazione di recarmi a Tavullia per co stituire in quel comune il comitato di liberazione. Ma giunto a circa un chilome-tro di distanza fui fermato da un soldato canadese e sotto il prete-sto di vedere i documenti mi prese l’orologio (un cronometro) e L.

5.000 nel portafoglio impe dendomi di proseguire con la rivoltella alla mano (i nostri li beratori). Non potendo più ritornare a Pozzo perché comple tamente rasa al suolo mi fermai per qualche giorno a Villa Fa stiggi e poi in città.

Dal Partito fui incaricato di costituire la confederterra (già in pre-cedenza nel periodo clandestino ero riuscito a rico struire diverse le-ghe contadine). Il lavoro non fu facile dato i mezzi di comunicazione e di trasporto in provincia e per mancanza di compagni non tornati dalla prigionia.

Nel 1946 andavo per la prima volta a tenere una confe renza al teatro di Pergola. Si viaggiava con quelle carcasse di corriere che ave-vano potuto salvarsi. Eravamo appiccicati co me sardine e quando fummo a S. Lorenzo in Campo i ponti erano tutti rotti. In una deviazione sopra un ponte provviso rio per poco la corriera non si rovescia. Vicino a me vi era un prete che disse: “maledetta la guerra e chi l’ha voluta”. Gli risposi: “già reverendo nessuna guerra ci voleva perché non porta che lutti e distruzioni”. E il prete: “Quel povero Pio X morì di passione quando scoppiò la prima guerra mondiale”.

No reverendo, io credo invece che sia il maggior responsabile. Il pre-te irritato rispose: “Tutti sanno che è morto di passione”. E io: “Stia calmo reverendo; noi riconosciamo la for za spirituale della religione cattolica. Bastava che il Papa aves se detto ai turchi di non impu-gnare le armi, pena la scomuni ca, per evitare la guerra. Invece avete benedetto le armi prima all’Austria, perché era già in guerra contro la Francia masso nica, poi anche all’Italia e avete scomunicato Vitto-rio Ema nuele e Garibaldi e tanti altri perché avevano tolto il potere temporale alla Chiesa per fare l’Italia unita e avere più liber tà; avete bruciato vivo in Campo dei Fiori a Roma Giordano Bruno perché non aveva voluto rinnegare ciò che aveva scrit to sulla filosofia come pretendeva il Papa Clemente VII. Avete torturato e messo in galera Galileo Galilei perché aveva scoperto che è la terra e non il sole che girava”. Malgrado fos simo assiepati come sardine il prete non disse più parola e andò dall’altra parte della corriera.

Lotta dopo la fine del fascismo

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