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ROMA E L'AMERICA LATINA mento in grado di garantire e tutelare i propri interessi sul

piano civile, affidandone la difesa al Partito Conservatore.

È forse la Chiesa che con più difficoltà aderisce alla svolta inaugurata dalla Rerum Novarum di Leone XIII. In Cile l’enciclica di papa Pecci viene pubblicata in forma edulcorata, privata cioè di molti passaggi, giudicati avventati e socialisteggianti. È un cat- tolicesimo segnato profondamente dalla nostalgia della cristiani- dad e dal mito dell’epoca d’oro di Diego Portales e della costitu- zione del 1833, che riconosce la religione cattolica come unica vera fede del Paese. La Chiesa in Cile è dominata dalle grandi famiglie, proprietarie di terre, che offrono figli, oltre che per le imprese economiche e finanziarie, anche per il sacerdozio e le cariche episcopali. I cattolici de clase rica, come è d’uso definirli nel linguaggio cileno, hanno un peso ed esercitano un’influenza rilevante anche nella vita dell’organizzazione ecclesiastica. La maggioranza dei vescovi e del clero che conta appartiene a quel- la oligarchia conservatrice che ha fatto il Paese, come i Gallo, gli Aguirre, i Subercaseraux, gli Edwards, i Walker, i Larraín e gli Errázuriz. Il loro ideale è lo stato portaliano, basato su una effi- ciente, solidale e cementata integrazione tra sfera religiosa e sfera politica. La crisi degli anni Trenta incrina il monopolio con- servatore e permette ai cattolici cileni di fare nuove esperienze, di rispondere cioè alla crisi crescente della “cristianità” da un lato, e dall’altro di sperimentare un nuovo modello di cattolice- simo dinamico e popolare125. La figura aggregante di questo

complesso processo di progressivo distacco dall’universo egemo- nico, culturale e religioso del Partito Conservatore è rappresen- tata dal cardinal José Maria Caro Rodríguez, una delle figure più significative del cattolicesimo latinoamericano di quegli anni, fondatore dell’Azione Cattolica e grande organizzatore del catto- licesimo sociale. Con lui cresce all’interno della Chiesa cilena una generazione di giovani sacerdoti, particolarmente attenti al mondo operaio e alla questione sociale, come i padri Guillermo Viviani Contreras, Fernando Vives Solar, Jorge Fernández Pradel, i quali avranno un ruolo decisivo nella formazione di quel grup- po di giovani cattolici che dopo la guerra daranno vita alla

125M. Salinas, La Iglesia chilena ante la crisis del orden neocolonial, in Historia

general de la Iglesia en America Latina, vol. IX, Cehila (a cura di), Cono Sur, Salamanca 1994, pp. 495-500.

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Democrazia Cristiana, come Eduardo Frei, Bernardo Leigthon, Ignacio Palma126.

Gli anni a cavallo tra le due guerre mondiali rappresentano per il cattolicesimo cileno una fase di grande trasformazione, di ridefinizione del suo ruolo e della sua presenza nel sociale e nel politico e di elaborazione di una rinnovata identità spirituale e vocazionale. Due figure dominano, come vedremo, la scena del movimento cattolico, quella del gesuita Alberto Hurtado, auto- re del polemico volume Es Chile un país católico?, pubblicato nel 1941, una grande denuncia della crisi della Chiesa e quella di monsignor Manuel Larraín Errázuriz, vescovo di Talca, fonda- tore del Celam e principale animatore del rinnovamento catto- lico latinoamericano.

Dopo la separazione tra Stato e Chiesa i dirigenti del Partito Conservatore e ampi settori della gerarchia si sentono traditi e rivendicano il sostegno della Chiesa al partito. I cattolici, a loro avviso, devono restare uniti. Nel cuore degli anni Trenta questo conflitto si amplifica. Si moltiplicano le contestazioni, i vescovi sotto le pressioni dei membri del partito e di ampi settori del clero sono spinti a schierarsi al suo fianco. La situazione si fa incandescente, tanto che il nunzio Ettore Felici, uno dei diplo- matici più attenti alle questioni sociali e il cappellano dei giova- ni cattolici cileni Fernando Vives Solar, si trasferiscono a Roma per chiedere alla Santa Sede di intervenire pubblicamente e sostenere la liceità del pluralismo dei cattolici in politica. La loro richiesta è esaudita. Il pronunciamento romano arriva il 1 giugno 1934, con una lettera del cardinale Eugenio Pacelli, Segretario di Stato, nella quale il porporato scrive senza mezzi termini che nessun partito, anche se afferma di ispirarsi alla dot- trina della Chiesa, può arrogarsi la rappresentanza di tutti i fedeli.

Gli effetti della crisi del 1929 in Cile sono disastrosi. Le con- seguenze sono fame, disoccupazione, miseria e crisi sociale. Il valore del reddito pro capite si riduce del 50%. Convivono, in questi anni a cavallo tra le due guerre, due modi di vivere la Fede: quello filointegrista attratto e sedotto dal fascino delle ideologie nazionaliste e quello fortemente sociale, che matura

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127Lettera dell’Incaricato d’Affari al Segretario di Stato, 28 novembre

1938, in A.S.V., in A.E.S., Cile, 1937-42, Pos. 303-304, Fasc. 65.

tra i giovani dell’Azione Cattolica e nelle esperienze sociali e politiche, nate e sviluppatesi in molti ambienti popolari, come il gruppo Germen. Si tratta di un’interessante esperienza di con- ciliazione tra cristianesimo e socialismo, promossa dall’operaio cattolico Clotario Blest, uno dei fondatori nel 1953 della poten- te Central Unica de trabajadores. Il Cile è forse il Paese del nuovo mondo in cui le ideologie nazional-socialiste del regime hitle- riano trovano più vasta eco e diffusione, tanto che conoscerà un movimento filo nazista, fondato da Jorge González Von Marees, denominato Movimento Nacional Socialista de Chile, a cui guarderanno con simpatia alcune frange del mondo cattolico e dei missionari membri di congregazioni religiose di nazionalità tedesca. Di questo ne sono prova una serie di rapporti del 1938, con cui l’incaricato di Affari della nunziatura a Santiago, mon- signor Armando Lombardi, segnala a Roma il violento conflit- to creatosi tra i cappuccini bavaresi, affidatari del vicariato apo- stolico dell’Araucania e i padri della Congregazione del Verbo Divino. “Mentre i primi, scrive, seguendo le direttive dello stes- so Vicario Apostolico, danno mostra della più completa ed inflessibile intransigenza per tutto ciò che ha relazione col Regime imperante del Terzo Reich, i secondi preferiscono mo - strarsi concilianti, fin dove e fin quando è possibile e, talvolta, anche oltre il possibile”127. Il diplomatico vaticano sottolinea

con preoccupazione come anche all’interno di altre famiglie religiose, come i Gesuiti, si trovino non pochi simpatizzanti del regime nazista.

In Perù il fascismo non ha dimensioni quantitative paragona- bili agli altri Paesi dell’America Latina. Durante gli anni Trenta, tuttavia, la classe politica peruviana fa del regime di Benito Mussolini il proprio modello. Nel 1933 dopo l’assassinio del pre- sidente in carica, il Senato elegge alla Presidenza il generale Oscar Benavides, rappresentante tradizionale di quel militari- smo espressione della grande oligarchia. Durante i suoi soggior- ni in Europa, con incarichi diplomatici, il nuovo presidente conosce personalmente il capo del fascismo e, ritornando nel suo Paese, prova a imitarlo. Il suo programma è un fascismo cat- tolico, corporativista, basato sull’ordine, la gerarchia e l’autori-

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tà. Afferma che non c’è via di mezzo, o a destra o a sinistra. La democrazia, il capitalismo, la tradizione liberale, rappresentano una via di mezzo che nasconde un comunismo travestito o la strada sicura verso il comunismo. L’unica soluzione è tornare alla tradizione medievale, cattolica, ispanica, oggi incarnata dal fascismo. Due figure dominano il movimento cattolico peruvia- no in questi anni, José de la Riva-Agüero y Osma e Víctor Andrés Belaúnde. Il primo, portavoce brillante di questa destra cattoli- ca, come si è già detto, scrittore, saggista e presidente del Consiglio dei ministri. Nazionalista e ispanista, grande sostenito- re dei valori della madre patria, è uno dei grandi artefici della svolta reazionaria nel Paese e interprete di un fascismo inteso in chiave cattolica, antiliberale e “latina”. Il secondo, professore nella Università cattolica per molti anni.

La Bolivia vive una storia simile. Nella seconda metà degli anni Trenta, il Paese subisce una forte umiliazione nazionale, a causa della sconfitta subita nella guerra sanguinosa dal 1932 al 1935 con il Paraguay, che gli era costata, tra l’altro, un’ ulterio- re mutilazione territoriale, che si aggiungeva a quelle già subite nella cosiddetta guerra del Pacifico, alla fine del secolo prece- dente. Anche il Paese andino ha tutti i requisiti per una svolta clerico-moderata.

L’Ecuador all’inizio del XXsecolo è una nazione praticamen- te feudale, governata da una ristretta cerchia di famiglie latifon- diste. La rivoluzione degli ufficiali, nota come Juliana del 9 luglio 1925, segna l’inizio della presenza dei militari nella vita politica. La crisi del 1929 accelera il dissolvimento dell’antica classe dominante ed è all’origine della profonda instabilità della nazione. Dal 1925 al 1948 ben 23 governi si succedono. Due figure dominano la politica nazionale: Josè Maria Velasco Ibarra e Galo Plaza Lasso. Velasco è presidente in numerosi periodi: 1934-1935; 1944-1947; 1952-1956; 1960-1961 e infine dal 1968 al 1972. Galo Plaza lo è tra il 1948 e il 1952. La figura chiave del cattolicesimo ecuadoriano è il cardinale Carlo Maria de la Torre, che occuperà successivamente le cariche di vescovo di Loja, Riobamba, Guayaquil e Quito. La devozione pubblica alla festa di Cristo Re, voluta con forza dall’episcopato, rappresenta il momento di mobilitazione del cattolicesimo nazionale, che si concepisce come unica alternativa alle ingiustizie provocate dal comunismo e dal liberalismo. I vescovi spingono le autorità civi-

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