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3. 1. Stato dell’arte

«Nella materia quanto mai varia e complessa del Decameron, il mondo classico è poco meno che assente» - aveva detto Branca nel suo celebre Boccaccio

medievale - in quanto «anche quando gli si offrono naturali e suggestivi i modelli

classici, il Boccaccio sembra deliberatamente sfuggirli ed escluderli, per rivolgersi ad ammirati testi medievali»1.

Affermazioni di questo tipo, uscite dalla penna di uno dei maggiori esperti sul Boccaccio del nostro secolo, avranno certo pesato a lungo sulla critica boccacciana successiva, rendendo difficile conciliare la figura del Boccaccio con una conoscenza e un riuso del genere del romanzo greco.

Tuttavia, come abbiamo già avuto modo di rilevare, nonostante le sue affermazioni in Boccaccio medievale, Branca riporta nelle note a piè di pagina della sua edizione del Decameron romanzi greci quali ipotetiche fonti per numerose novelle, benché si affretti puntualmente ad attenuare il legame di dipendenza del capolavoro boccacciano da tali presunti antecedenti2.

Eppure, come vedremo, lo scenario critico ha dimostrato nel tempo di avere sempre meno riserve a proposito di questa influenza. Già Victor Sklovskij rilevava la

1 V. Branca, Boccaccio medievale, Firenze, Sansoni, 1964, pp. 33-34.

2 Si trovano riferimenti ai romanzi greci in nota alle novelle II, 4, 5, 6, 7; IV, 3, 4; V, 1, 3, 10; VII, 2,

‘presenza occulta’ del romanzo greco per moltissime novelle, in un lungo elenco che superava il già pur non esiguo numero di novelle per cui Branca segnalava una fonte alessandrina3.

Egli non ha dubbi sul legame tra i testi boccacciani e quelli alessandrini e nota come nel Decameron, oltre ad alcune novelle che si rifanno espressamente ad antecedenti greci, ce ne siano altre che ripetono i procedimenti elaborati nel romanzo greco:

[…] sono i racconti che parlano di mogli ingiustamente calunniate, di figli perduti, del loro riconoscimento da certi segni all’ultimo momento, quando ormai si lega il protagonista al palo per bruciarlo o lo si conduce all’esecuzione sotto i colpi della sferza: in quello stesso momento l’eroe non solo è graziato, ma sposa la donna che ha sedotto; queste nozze erano da tempo il sogno dei genitori, che avevano perduto i loro figli4.

La materia mutuata dal genere viene però trasfusa di uno spirito, quello sì, tutto boccacciano:

ciò che nel romanzo greco si spiegava con l’ira degli dei, nel Boccaccio si spiega con la sete di guadagno. Sono cambiate le rive e le mete, e perciò sono cambiate anche le avventure, per quanto sembrino sempre gli stessi racconti di naufragi e di briganti5.

L’analisi più sistematica delle convergenze fra il genere del romanzo greco e le novelle del Decameron si deve allo studio di Gesner, anche se esso costituisce semplicemente un excursus all’interno di un discorso che l’autrice porta avanti riguardo l’influenza del genere sull’opera shakespeariana6

.

L’autrice si sofferma tuttavia rapidamente solo sulle novelle II, 5, 6, 7, 9; IV, 4; V, 1, 2, 3, 8, enucleando sinteticamente gli elementi di affinità con i principali romanzi antichi.

3 Concorda su II, 4, 5, 6, 7, ma rileva la stessa presenza anche in I, 1, 4; II, 8, 9; III, 8; IV, 10; V, 1, 2,

3, 5, 6, 7; X, 4. Cfr. V. Sklovskij, Lettura del «Decameron». Dal romanzo d’avventura al romanzo di carattere, trad. a cura di A. Ivanov, Bologna, Il Mulino, 1969, pp. 220-224. Gesner si limita ad elencare II, 5, 6, 7, 9; IV, 4; V, 1, 2, 3; X, 8. Cfr. C. Gesner, Shakespeare and the Greek Romances, cit., pp. 27-33.

4 V. Sklovskij, Lettura del «Decameron», cit., p. 221. 5 Ivi, p. 222

6

La studiosa inoltre mette in luce l’importante differenza fra l’utilizzo che il Boccaccio fa di questo materiale nel Filocolo e nel Decameron:

If in Filocolo Boccaccio demonstrated that the old Greek separation plot and its hackneyed motifs could be used in the services of the courtly-chivalric mode for such a theme as love ennobling to virtue and as a vehicle for artistic display of the highest in the literary tradition, in the Decameron he often reversed the process and used the same narrative motifs against a background that is frequently bourgeois or less, and in stories which sometimes have no purpose more serious than the very good one of entertaining the reader and teaching the morality of nature. In the Decameron Boccaccio lifted from Greek romance materials the Hellenistic requirement that they pretend to high purpose and aspire high levels of literary or heroic preciosity. In the Decameron he demonstrated that such fiction could exist even as comedy or farce and in the service of joyous natural love freely given rather than prudently withheld7.

Analogamente, anche Wolff si sofferma con una certa cura ad evidenziare, sempre all’interno di un discorso più ampio riguardante la narrativa elisabettiana, alcune affinità fra il romanzo greco e alcune novelle boccacciane. L’autore si sofferma a lungo soprattutto sul caso della X, 8, ovvero la novella di Tito e Ghisippo, che già W. Grimm, E. Rohde, G. Paris, vedevano indebitata con un romanzo greco8. Tale dipendenza viene spiegata dall’autore con il probabile tramite del poema antico francese Athis et Prophilias, noto per essere derivato da un romanzo greco perduto, ma non è escluso neanche un rapporto diretto, dal momento che «several of Boccaccio’s tales show clearly that he was in contact with Greek fiction»9

.

Il discorso condotto da Wolff è interessante, inoltre, poiché dimostra come tali convergenze tematiche sarebbero testimoniate peraltro a posteriori dagli stessi autori inglesi oggetto primario dell’analisi, in quanto essi mostrano di attingere proprio dalle novelle boccacciane maggiormente debitrici del genere10.

7 C. Gesner, Shakespeare and the Greek Romances, cit., p. 33.

8 W. Grimm, Die Sage von Athis und Prophilias in «Zeitschrift für deutsches Alterthum», 12, Weidmann, Berlin 1865, pp. 185-203; E. Rohde, Der Griechische Roman und seine Vorläufer, cit., p. 541, n. 2, 1914; G. Paris, Études sur la litterature de Moyen age, «Cosmopolis», 11 (1898), pp. 761; 764.

9 S. L. Wolff, The Greek Romances in Elizabethan Prose Fiction, cit., p. 248.

10 Cfr. ivi, pp. 248-261, in cui l’autrice opera un confronto tra le varie versioni della Tale of two

3. 2. Il romanzo greco nella seconda giornata del Decameron

È stato notato da più parti come sia soprattutto la seconda giornata il contenitore privilegiato di questo tipo di novelle: in fondo la stessa introduzione a tale giornata, dove «si ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia oltre alla sua speranza riuscito a lieto fine», non rimanda forse anch’essa al più tipico e sfruttato intreccio dei romanzi ellenistici?11 La giornata è la prima all’interno dell’opera ad avere un tema prefissato, benché si tratti, in effetti, di un tema generalissimo, come sottolinea la stessa regina Filomena: essendo gli uomini stati «menati», da che mondo è mondo, dalle forze della Fortuna, l’obbligo del narrare partirà proprio da questa condizione universale dell’umanità, cioè dalla sua sottomissione al capriccio della sorte.

Ben preciso, però, è lo specifico “stampo” narrativo nel quale il tema viene “versato”; il contenuto prescritto viene infatti da subito configurato in uno schema di racconto che prevede tre costanti narrative: in primo luogo, il personaggio dovrà essere «da diverse cose infestato», e cioè attraversare una fase iniziale di peripezie negative; in secondo luogo, tutte le novelle dovranno avere un lieto fine; infine, ogni felice conclusione dovrà eccedere in qualche modo le aspettative del protagonista; la fortuna dovrà ricompensare i personaggi «oltre la loro speranza». Come nota Bardi, lo “stampo” corrisponde a quello tipico del romanzo alessandrino: «la cattiva sorte non è che uno stato intermedio, che comporta la perdita dell’identità sociale e la necessità di assumerne una fittizia in attesa del momento dell’agnizione, quando i personaggi potranno tornare alla situazione di partenza ma con un ‘sovrappiù’ di beni, di prestigio sociale o di esperienza»12.

Se la sostanziale unità tematica delle novelle della seconda giornata sotto il comune denominatore della filigrana alessandrina è stato a lungo pressoché ignorato dalla critica13, è forse anche per un pregiudizio diffuso, ovvero, che, come nota

11«Boccaccio che già aveva fatto i conti con la ricezione mediolatina e volgare del romanzo greco fin

dalle sue prime prove giovanili (il Filocolo non è altro che la riscrittura di una ‘istoria’ che vede i due giovani amanti prima insieme poi separati nel vasto scenario del mediterraneo, e alla fine fortunatamente riuniti) dedica ben due giornate del suo capolavoro alla ripresa di quelle stesse trame romanzesche; oltre alla quinta giornata, […] è la seconda giornata a presentarsi, già fin dalla rubrica che la designa, come una vasta riscrittura dei temi e dei motivi più emblematici del romanzo greco» (M. Picone Il romanzo di Alatiel, «Studi sul Boccaccio», 23 (1995), pp. 197-217: 201).

12 M. Bardi, Il volto enigmatico della Fortuna. II giornata, in G. Barberi Squarotti - G. Baldissone (a

cura di), Prospettive sul «Decameron», Torino, Tirrenia Stampatori, 1989, pp. 25-38.

13 Oltre a Bardi, si veda, in generale sulla seconda giornata, G. Muscetta, G. Boccaccio, cit., 1986,

Galletti, «le novelle della seconda giornata del Decameron non sono comunemente ricordate fra le più efficacemente rappresentative dell’arte boccaccesca», in quanto «la virtù fantastica, il genio veramente creatore del Boccaccio, dobbiamo cercarlo altrove»14.

La natura meno ‘originale’ di questa giornata, però, si potrebbe leggere anche come la conferma di una sua derivazione da una materia pregressa: esiste insomma nel Decameron un nutrito repertorio di topoi tipici del romanzo greco, che sono appunto quelli che figurano nelle novelle già enumerate, particolarmente abbondanti proprio per affinità tematiche, non ascrivibili certamente all’imitazione puntuale di un testo preciso, ma che dimostrano, piuttosto, una voluta rievocazione di atmosfere e motivi ricorrenti tipici del genere tout court.

Tale lettura della seconda giornata è confermata dall’analisi di Picone e di Zatti, i quali convengono sul fatto che essa, «data la natura e l’estensione tendenzialmente romanzesca delle novelle, si presenta come una vasta riscrittura dei temi e dei motivi più emblematici di forme elementari, originarie, di scrittura romanzesca, quali in particolare il romanzo greco»15. In particolare, a quest’ultimo va ricondotto il tratto peculiare dell’abnorme sviluppo del ‘mezzo’: parallelamente al modello ellenistico, le novelle di questa giornata si articolano infatti in tre momenti: ad un inizio positivo succede un mezzo negativo per arrivare ad una fine di nuovo positiva. L’accento narrativo della novella cade naturalmente sulla parte centrale, così come avveniva nel romanzo greco: sono le traversie provocate da una fortuna capricciosa e crudele ad attirare l’attenzione del narratore.

Per Boccaccio però diventa altrettanto importante la fine, dove accanto alla fortuna finalmente positiva compare (seppur timidamente in questa giornata)

Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1987, pp. 27-38; F. Fido, Il pentagramma della fortuna e i mercanti nelle prime cinque novelle della seconda giornata in Id., Il regime delle simmetrie imperfette. Studi sul «Decameron», Milano, Franco Angeli, 1988, pp. 65-72; P. M. Sipala, I meccanismi della fortuna in Id., Poeti e politici da Dante a Quasimodo: saggi e letture, 1994, Palermo, Palumbo, pp. 43-54; A. Galletti, Prefazione alla II giornata, in G. Boccaccio, Decameron, a cura di M. Bevilacqua, Roma, Editori riuniti, 1980, pp. 93-99; L. Surdich, Boccaccio, Roma, GLF Editori Laterza, 2001, pp. 131-136; S. Zatti, Il mercante sulla ruota: la seconda giornata, in M. Picone - M. Mesirca (a cura di), Lectura Boccaccii Turicensis. Introduzione al «Decameron», Firenze, Cesati, 2004, pp. 79-97 e l’introduzione alla seconda giornata in G. Boccaccio, Decameron a cura di A. Quondam - M. Fiorilla - G. Alfano, Bur, 2013, pp. 281- 310.

14 A. Galletti, Prefazione alla II giornata, cit., p. 93. 15

S. Zatti, Il mercante sulla ruota, cit., pp. 86-87. Picone dedica all’argomento numerosi articoli: Id., Dal romanzo antico alla novella medievale: Decameron II, 7; in M. Picone - B. Zimmermann (a cura di), Der Antike Roman und seine Mittelälteriche Rezeption, Basel, Birkhäuser Verlag, 1997, pp.321- 339; Id., Il romanzo di Alatiel, cit.; Id., Paralipomeni a Alatiel, in «Rassegna europea della letteratura italiana», 10 (1997), pp. 117-128.

l’iniziativa personale: l’espressione «oltre alla sua speranza» intende infatti indicare che la soluzione felice è voluta e cercata anche dal personaggio.

Le grandi tematiche che percorrono la giornata fanno parte a tutti gli effetti dello stesso armamentario inventivo del romanzo greco: travestimenti e agnizioni, false accuse e morti apparenti, tempeste di mare e naufragi, pirati e rapimenti, tombe profanate e assalti di predoni. Inoltre, la traiettoria degli avvenimenti di questa giornata è spesso tracciata sulla mappa dei grandi itinerari marini del Mediterraneo che già furono sfondo del romanzo ellenistico16. Come afferma Picone

una riproposta così attenta e capillare degli elementi costituivi di un genere in un altro genere lontano nel tempo e nello spazio non può certo essere casuale; va bensì attribuita alla superiore programmazione autoriale. Va cioè riconosciuta a Boccaccio la precisa intenzione di confrontarsi già all’inizio della sua ricreazione novellistica del mondo in dieci giorni con una delle esperienze narrative originarie della letteratura occidentale: quella appunto del romanzo greco17.

Suddivisioni e intersezioni. Complessità strutturale della giornata

La seconda giornata a un primo sguardo presenta una partitura tematica piuttosto riconoscibile. Se si esclude la prima novella, che, come vedremo, costituisce una narrazione abbastanza a sé, in quanto intrattiene rapporti più stretti a livello ‘verticale’ con le prime novelle di altre giornate, piuttosto che in ‘orizzontale’ con le altre novelle della giornata di appartenenza, e l’ultima, che mostra caratteri suoi propri dovuti al fatto di essere narrata dal novellatore sui generis Dioneo18, possiamo distinguere due blocchi: il primo dalla II, 2 alla II, 5 e il secondo dalla II, 6 alla II, 9.

Al primo blocco potremmo assegnare la denominazione di ‘novelle mercantesche’, in quanto tali novelle vedono come protagonisti dell’azione narrativa figure mercantili. A questo primo blocco seguono invece novelle accomunate non tanto dal protagonismo di una determinata categoria sociale, bensì dalle caratteristiche peculiari del loro intreccio, estremamente complicato e denso di

16

S. Zatti, Il mercante sulla ruota, cit., pp. 86-87.

17 M. Picone, Il romanzo di Alatiel, cit., p. 202.

18 Sulla personalità di Dioneo e le sue prerogative in ambito narrativo si veda almeno E. Grimaldi, Il

privilegio di Dioneo: l’eccezione e la regola nel sistema Decameron, Napoli, Edizioni Scientifiche, 1987.

peripezie, tanto da poter essere chiamate, anche per la singolare estensione di alcune, ‘novelle-romanzo’19

. Nell’analisi che segue, tuttavia, adotteremo solo parzialmente questa suddivisione. All’interno della nostra ottica, infatti, vedremo che le novelle della seconda giornata vengono a raggrupparsi secondo altre combinazioni in base alla peculiare applicazione del “filtro greco” cui l’autore le sottopone. Vedremo infatti come tale “filtro” si avvertirà nelle novelle-romanzo nell’operazione di reiterato recupero da parte dell’autore del repertorio di topoi alessandrini, di cui tenderà a riutilizzare gli espedienti narrativi senza cambiarli di senso, ma anzi ripetendone i meccanismi più ricorrenti fino alla stilizzazione. In tali novelle, inoltre, l’accumulo di tali espedienti in maniera tanto insistita provocherà l’effetto di aumentare il patetismo della narrazione, secondo modalità già utilizzate nel romanzo giovanile, di cui infatti ritroviamo rielaborati numerosi spunti narrativi.

Nelle prime novelle cosiddette ‘mercantesche’, invece, forse proprio per la loro funzione di indagine di quella nuova figura sociale che è appunto il mercante, e in special modo del rapporto che intercorre tra ‘fortuna’ e ‘mercatura’ attraverso vari esemplari significativi di tale categoria sociale, il “filtro greco” applicato dall’autore subisce un significativo rovesciamento del senso tradizionale.

Non mancano, beninteso, le intersezioni: se Rinaldo d’Asti, in qualità di mercante, ben si legherebbe alla triade degli altri ‘colleghi’ Alessandro Agolanti, Landolfo Rufolo, Andreuccio da Perugia, è pur vero che la novella che lo vede protagonista intrattiene un legame tematico forte anche con quella di Martellino, in quanto entrambe accomunate dalla polemica antireligiosa riguardante i falsi fenomeni di santità.

Allo stesso modo la lunga e intricata novella di Alatiel, pur essendo per certi versi da considerarsi la novella-romanzo per antonomasia, non condivide tuttavia con le altre novelle di questa tipologia il tono patetico e grave con cui vengono narrate le vicende, e anzi è fra le novelle in cui in assoluto si avverte più distintamente l’intento comico sotteso all’operazione di rovesciamento parodico condotto dall’autore20

. Infine la II, 10 risulta legata ad altre novelle precedenti (II, 4, II, 6, II, 7)

19 Secondo la definizione di M. Baratto (Id., Realtà e stile nel «Decameron», Roma, Editori riuniti,

1984, p. 129).

20

Si noti come non a caso essa sia collocata dall’autore in posizione contigua alla lacrimevole novella di Madama Beritola: l’impianto e le peripezie sono affini, ma nella novella di Alatiel la conclusione puntualmente erotica di ogni incontro dell’eroina conducono il lettore ad una lettura comica della novella, laddove nella II, 6 il lettore è continuamente sollecitato ad un accorato compianto delle sventure della donna.

principalmente dal comune tema del rapimento da parte dei corsari, ma, come spesso accade quando è Dioneo a narrare, ne rappresenta l’ironico contrappunto. La complessità del gioco combinatorio e la ricerca costante dell’alternanza dei toni non può certo considerarsi casuale bensì denuncia la straordinaria abilità compositiva dell’autore: in questo modo egli non fa che scrivere e riscrivere se stesso e i suoi modelli offrendo una pietanza narrativa dal gusto estremamente vario ai propri lettori.

Il romanzesco stilizzato: le novelle-romanzo (II, 6, 8, 9)

Anche solo sfogliando queste novelle, in effetti, emerge in maniera assai smaccata come i plots che le caratterizzano siano canovacci narrativi ben noti all’autore, che dopo averli ‘testati’ nel suo romanzo giovanile ora li ‘ricicla’ nelle novelle attingendo dal suo serbatoio pregresso espedienti narrativi e soprattutto quel formidabile motore della narrazione che è la Fortuna. Tale operazione è evidente dal dispiegarsi quasi incontrollato di tutti i topoi del genere: li vediamo qui nella loro versione stilizzata, secondo una modalità di applicazione del filtro greco che sembra davvero ripetere talis qualis quella già incontrata nel romanzo giovanile.

Si noti il caso della novella di Madama Beritola, che riscrive davvero puntualmente sia nei contenuti che nei toni alcuni passi del suo romanzo. La novella vede per protagonista la gentildonna napoletana moglie di Arrighetto Capece ed è interamente giocata sul meccanismo narrativo della separazione forzata della donna dai suoi cari. All’inizio Beritola, rimasta senza il marito per questioni politiche, decide di fuggire, novella Archistratide, con il figlio di otto anni e uno ancora da partorire su un «legnetto», quando una violenta tempesta ne devia irrimediabilmente il cammino. Dunque, una volta sul lito, le vengono portati via anche i figli con la nutrice da una galea di corsari genovesi e resta completamente sola in un luogo disabitato. Proprio come nel Filocolo, ogni evento investe la protagonista con la violenza e l’ineluttabilità della Tyche alessandrina (non a caso il vocabolo «fortuna» ricorre, esattamente nella stessa accezione, ben sei volte nella narrazione).

Gli stessi stilemi che l’autore utilizzava nel romanzo vengono ripresi testualmente, e analogo risulta anche il tono con cui vengono presentate le vicende, volutamente sostenuto e patetico, sin dall’incipit:

Gravi cose e noiose sono i movimenti vari della Fortuna, de’ quali perché quante volte alcuna cosa si parla, tante è un destare delle nostre menti, le quali leggiermente s’addormentano nelle sue lusinghe, giudico mai rincrescer non dover l’ascoltare e a’ felici e agli sventurati, in quanto li primi rende avvisati e i secondi consola. E per ciò, quantunque gran cose dette ne sieno avanti, io intendo di raccontarvene una novella non meno vera che pietosa; la quale, ancora che lieto fine avesse, fu tanta e sì lunga l’amaritudine, che appena che io possa credere che mai da letizia seguita si raddolcisse21.

L’affermazione sembra quasi un’ammissione da parte di Boccaccio: la memoria ancora vivida, nell’autore, di precedenti «movimenti vari» della Fortuna, produce sulla pagina innumerevoli variazioni sul tema, che non sono però mai inutili ripetizioni; anzi, tali narrazioni hanno valore altamente educativo per tutti i tipi di lettori, siano essi felici o sfortunati («rende avisati» i felici, e consola gli sventurati).

Beritola dunque, rimasta sola sul lito, è costretta a vivere allo stadio ferino, pascendosi di erbe selvatiche e familiarizzando con due «cavriuoli» a cui fa da madre e con i quali compensa la perdita dei suoi figli. Come nota Gesner, la situazione che dunque si viene a creare è esattamente quella di Dafni e Cloe ribaltata: è lei a

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