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MP3 1097; Allen-Sutton-West P144; LDAB 2229 inv. 2496 VIP provenienza ? cm 10x10

Ed. pr.: V. Bartoletti, PSI XIV (1957) Bibliografia: Orsini, Edizioni, p. 84.

Il frammento è la parte superiore di un foglio di codice papiraceo. Il recto presenta la fibre parallele alla scrittura e contiene Od. XI 424-431; il verso ha le fibre perpendicolari alla scrittura e contiene 457-463. Le pagine del codice dovevano quindi contenere circa 33 righe128. La scrittura è una maiscola puttosto disomogenea: il modulo è molto irregolare, υ

scende molto sotto il rigo con un tratto discendente da destra a sinistra, l'asse è dritto. Si tratta di una scrittura “riferibile al sec. VIP129 e confrontabile con quella di altri mani disordinate e

con forme influenzate dalla minuscola dello stesso periodo, ad esempio gli esametri mitologici P.Heid. inv. 1271 verso130. L'inchiostro è di colore marrone-rossastro, e dunque a

base metallica. Lo scriba non ha tracciato alcuno spirito o accento. Lo iota muto è sempre omesso.

Il verso 428, omesso dallo scriba e mancante in molti esemplari antichi secondo la notizia

128 Il frammento conserva una porzione di pagina troppo esigua per poter calcolare con sufficiente accuratezza quelle che potevano essere le dimensioni originali di una pagina del codice. In base ai dati disponibili possiamo comunque immaginare una pagina di altezza piuttosto elevata, probabilmente tra i 35 ed i 40 cm, ed una larghezza almeno doppia di quella superstite, dunque circa 20-22 cm. Il codice doveva dunque essere di grande formato: sulla base della classificazione proposta da Turner (Typology, pp. 14-22), PSI XIV 1381 apparterrebbe al gruppo uno dei formati maggiori nella categoria “less broad, still very tall”. 129 Ed. pr., p. 14.

dello scoliasta, è stato aggiunto da una mano posteriore nel margine superiore (che è conservato per un'ampiezza di circa 4 cm sia sul recto che sul verso): in questo caso è stato usato inchiostro a base di nerofumo.

Significativo il fatto che il frammento riporti i numeri di pagina: si tratta infatti di un elemento utile per ricostruire il contenuto del codice. Tuttavia l'ed. pr. ha trascritto questi numeri in modo sicuramente errato (μ[γ e μδ, ovvero 43 e 44): l'esame autoptico mostra che sul recto bisogna leggere ρ[ e sul verso ]π̣δ (π è parzialmente in lacuna ed evidentemente era tracciato in modo un po' più posato rispetto alla scrittura del testo omerico, cioè con il tratto orizzontale che sporgeva rispetto ai tratti verticali): i numeri di pagina devono dunque essere in realtà ρπγ e ρπδ, cioè 183 e 184.

I numeri di pagina si trovavano nell'angolo superiore esterno di ogni pagina131. 183 e 184

costituiscono numeri di pagina elevati ma assolutamente possibili: basti pensare al famoso codice di Filone che conta almeno 289 pagine132, e nell'ambito dei codici papiracei omerici a

PSI I 10 (189 pagine: in origine il codice conteneva almeno Il. VIII-XIII) e P.Rein. II 69 (187 pagine: il codice originariamente doveva contenere almeno Il. I-XII).

La numerazione é vergata con lo stesso inchiostro metallico che ha vergato il testo omerico e, per quanto non la scarsità delle tracce non consenta di affermarlo con certezza, pare possa essere attribuita alla stessa mano133. Senz'altro è una mano diversa (oltre a un diverso

inchiostro) da quella che ha aggiunto il v. 428 nel margine superiore.

I numeri stampati nell'ed. pr. avevano fatto supporre ad Orsini che il frammento provenisse da un'edizione dell'Odissea in 3 tomi con 8 canti ciascuno134. Invece la numerazione reale mostra

che la parte perduta del codice precedente al nostro frammento conteneva l'Odissea a partire dal primo canto: infatti i versi dall'inizio dell'Odissea a XI 423 sono 5542, mentre una media di 33 versi per 182 pagine consiste in uno spazio per 6006 versi circa.

Il fatto che lo spazio sia maggiore rispetto al semplice numero di versi può spiegarsi in vari modi: nel passaggio da un canto all'altro sarà stato lasciato un certo spazio bianco, che poteva essere di pochi versi, se nella stessa pagina si interrompeva un canto ed iniziava immediatamente il successivo, oppure maggiore qualora, alla fine di un canto, il successivo

131 Altri codici papiracei che hanno numeri di pagina nell'angolo superiore esterno sono ad esempio PSI XIII 1298 (Il. XIII-XXIII) e P.Amh. II 20 (Hypomnema a Callimaco). La collocazione del numero di pagina più diffusa risulta comunque essere quella nel centro del margine superiore (vedi ad es. PSI VIII 977, Il. VI). In alcuni casi i numeri si trovano soltanto sulle pagine pari di un codice, non sulle dispari (ad es. P.Oxy. VII 1011, Callimaco, Aitia e Giambi). Vedi Turner, Typology, p. 76.

132 P.Oxy. IX 1173 + XI 1356 + XVIII 2158 + P.Haun. I 8 + PSI XI 1207; cfr. Turner, Typology, pp. 82-83. 133 Spesso nei codici più antichi i numeri di pagina sono aggiunti da una mano diversa da quella che ha vergato

il testo principale: cfr. Turner, Typology, p. 75.

134 Orsini, Edizioni, p. 84 nota 12: “Se si calcolano i versi dei libri 9-11.423 (= 1563), secondo un'impaginazione ricostruibile a [33] righe, si hanno circa [47] pagine, un numero superiore alle attese [42] pagine. Solo se ammettiamo un'impaginazione a [37] righe, tornerebbero i conti. Comunque sia, il codice ricostruibile dietro questo frammento doveva iniziare con il libro 9, e forse probabilmente abbracciava la sezione 9-16, secondo un'edizione in 3 tomi, di cui il primo (libri 1-8) di circa ff. [61], il secondo (libri 9- 16) di circa ff. [65], e il terzo (libri 17-24) di circa ff. [64]”.

iniziasse comunque nella pagina seguente.

Tra i più antichi codici omerici ve ne sono infatti alcuni in cui il passaggio da un canto all'altro avviene nella stessa pagina ed è caratterizzato dalla presenza, in uno spazio di 4-5 righi, del titolo finale del canto che si è concluso e dal titolo iniziale del canto successivo. A questa categoria appartiene ad es. P.Mil.Vogl. inv. 1225135, in cui il passaggio da Il. III a Il. IV

presenta il titolo finale, τέλοϲ ἔχει Γ, e quello iniziale, Δ136. Esempio di un codice in cui invece

il nuovo canto inizia sempre nella pagina successiva a quella in cui è terminato il precedente è P. Lond. Lit. 5 + 182137.

Non si può inoltre escludere che il codice contenesse anche altro oltre ai versi omerici, ad esempio hypotheseis ai singoli canti.

Un'altra ipotesi è che i 33 versi che sembrano essere contenuti nella pagina 183 del nostro codice rappresentino una quantità un po' superiore alla media: considerando una media di 31 versi per pagina, ad esempio, risulta uno spazio per 5642 versi, un numero molto vicino ai 5542 versi che vi sono dall'inizio dell'Odissea a XI 423. Del resto non si può essere del tutto sicuri che la pagina 183 contenesse proprio 33 versi: questo infatti è vero soltanto se rispetto al testo in lacuna (XI 432-456) nel papiro non vi erano omissioni. Questo non è scontato: nella tradizione medievale è attestata l'omissione di 442-443 nel codice G, mentre rispetto ai versi 452-456 lo scolio H registra che “οὐδὲ οὖτοι ἐφέροντο ἐν τοῖϲ πλείϲτοιϲ ὡϲ μαχόμενοι (scil. 454-6) τοῖϲ προκειμένοιϲ”.138 Nella parte conservata, il nostro papiro omette il v. 428

coerentemente all'indicazione dello scolio H ad loc.: purtroppo non vi è modo di sapere se anche nella parte in lacuna si verificava la stessa cosa.

Al di là comunque di piccole oscillazioni numeriche, resta comunque certo il fatto che il nostro frammento PSI XIV 1381 deve provenire o da un codice che conteneva tutta l'Odissea o, più probabilmente, dalla parte finale del primo tomo di un'edizione in due tomi con 12 canti ciascuno.

135 Pubblicato da C. Gallazzi in «Aegyptus» LXII (1982), pp. 47-54. Vedi anche Schironi, Book-Ends, pp. 164- 165 n. 40.

136 Cfr. anche il P. Morgan (su cui vedi M.J. Apthorp in «ZPE» LXXXI (1990), pp. 2-4; vedi anche Schironi, Book-Ends, pp. 172-175 n. 43). In altri casi il passaggio da un canto all'altro è indicato riportando semplicemente le lettere del canto che finisce e di quello che inizia: vedi il Palinsesto Siriaco (cfr. M.J. Apthorp in «ZPE» CX (1996), pp. 103-114) e P. Ryl. Gr. 1 53.

137 Su cui vedi Schironi, Book-Ends, pp. 168-171 n. 42. Vedi anche P.Hamb. II 162.

138 Vedi Heubeck, commento a 454-6: nonostante il preteso contrasto con i vv. 444-446, questi versi secondo Heubeck sono necessari, in quanto “i pensieri di Agamennone ritornano, alla fine della prima parte del suo discorso, al consiglio dato ai vv. 441-3 e concludono bene tutto il passo”.

ω̣[ recto →

ρ[πγ

428 η τιϲ δη τοιαυτα μ]ετα φρεϲιν εργα β̣α̣λ̣η̣ται

424

βαλλον αποθν]η[ϲ]κων περι φαϲγανω η δε̣ [κυνωπιϲ

425

νοϲφιϲατ ουδε μοι ε]τλη ιοντι περ ειϲ Α[ιδ]αο

426

χερϲι κατ οφθαλμουϲ] ελεειν [ϲ]υν τε [ϲ]τομ ερειϲ̣α̣ι

427

ωϲ ουκ αινοτερον] και κυντερον αλλο γυναικοϲ

429

οιον δη και κεινη εμη]ϲατο εργ̣ο̣ν αει[κεϲ

430

κουριδιωι τευξαϲα ποϲει] φ̣ο̣ν̣ο̣ν̣ η̣ τ̣ο̣ι̣ ε̣φ̣ην γε

431

αϲπαϲιοϲ παιδεϲϲιν ιδε δμωεϲϲιν εμο]ι̣ϲ̣ι

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verso

ρ]π̣δ

457

αλλ αγε μοι τοδε̣ ε̣ιπε και [ατρεκεωϲ καταλεξον

458

ει που ετι ζωοντοϲ ακου[ετε παιδοϲ εμοιο

459

η που εν Ορχομενω η ε[ν Πυλω ημαθοεντι

460

η που παρ Μενελαω ενι̣ [Ϲπαρτη ευρειη

461

ου γαρ πω τεθνηκεν επ[ι χθονι διοϲ Ορεϲτηϲ

462

ωϲ εφατ αυ[ταρ εγω μιν αμειβομενοϲ προϲεειπον

463

Ατρ[ειδη τι με ταυτα διειρεαι ουδε τι οιδα

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Commento

424. In prossimità della parte finale del rigo si vede la traccia di una aggiunta interlineare ω[ di mano, sembra, dello stesso scriba che ha vergato il testo principale: pare infatti vergata con lo stesso inchiostro a base metallica. Non sono attestate varianti per la parte finale del verso: forse il verso era risultato troppo lungo ed il copista è stato costretto a scrivere ωπιϲ nell'interlinea al di sopra delle lettere precedenti.

428. Lo scolio H informa che “ἐν πολλοῖϲ οὐ φέρεται”, dunque il verso era presumibilmente atetizzato da Aristarco. Il verso “restringe inaspettatamente l'espressione generalizzante del v. 427; tuttavia la concatenazione sintattica dei vv. 427-428 risponde al modello omerico, mentre il v. 429 si innesta bene sul v. 428.” (Heubeck, commento ad loc.; anche l'affermazione contenuta ai vv. 433-434 ribadisce, secondo Heubeck, l'autenticità del v. 428: “εὐεργόϲ corrisponde al τοιαῦτα ἔργα del v. 428”).

461. Il papiro ha πω come la grande maggioranza della tradizione. Hanno invece που, che secondo lo scolio H è la lezione di Aristarco, i codici O C D.

PSI XIII 1299 + PSI inv. 326

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