PIANI ATTESTATI DI RISANAMENTO E GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI EX ART 182 BIS L.F
4.4 Il ruolo delle banche nelle soluzioni negoziali della crisi
d’impresa
Al fine di garantire il buon esito degli accordi negoziali, in via di principio l’imprenditore dovrà definirne la forma e il contenuto, concordando le soluzioni con gli istituti di credito.
Storicamente le aziende italiane, al fine di poter reperire capitali, hanno fatto largamente ricorso ai finanziamenti bancari, indebitandosi, anche in maniera rilevante, e giustificando tale scelta con il positivo effetto fiscale della leva, elemento, questo, che nel nostro Paese ha fortemente incentivato la sottocapitalizzazione delle imprese e il conseguente ricorso all’indebitamento.115
Per tutte queste ragioni risulta evidente come, nel caso in cui un’impresa dovesse trovarsi in uno stato di crisi (che potrebbe anche tramutarsi in possibile insolvenza), sarebbero proprio le banche i soggetti maggiormente coinvolti nella soluzione della stessa.
Supponendo che un istituto bancario debba comportarsi come un operatore razionale, dovrebbe fondare le proprie valutazioni di convenienza sulla base dei seguenti elementi116:
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Ciò ha portato ad un legame piuttosto stretto tra le banche e le imprese, non solo al fine dell’erogazione del credito ma anche per la ricerca di soluzioni alla crisi dell’impresa ed alla sua gestione. I modelli di analisi banca – impresa, proposti sono generalmente due: il primo consiste nel long term reationship approach, mentre il secondo consiste nel transaction
approach, ovvero modello delle relazioni impersonali e frammentate, più diffuso in Italia, in
G. FORESTIERI, Banche e risanamento delle imprese in crisi, Egea, Milano, 1990, p. 70 e ss.. 116
In base alla teoria della razionalità limitata, le scelte effettuate dall’individuo, che teoricamente dovrebbero essere razionali, sono vincolate alla limitatezza della razionalità per la presenza di istanze condizionanti, il tutto aggravato dalla presenza di asimmetrie informative e di possibili conflitti di interesse che portano, pertanto, alla scelta di soluzioni non sempre ottimali. Le banche potrebbero trovarsi nel caso del dilemma del prigioniero in cui due prigionieri, A e B in isolamento che hanno commesso lo stesso crimine hanno varie possibilità di soluzione della loro situazione e non sono a conoscenza di eventuali confessioni
‐ verifica delle probabilità di successo dell’operazione;
‐ rischi e costi legati all’esito negativo degli accordi negoziali; ‐ verifica della sussistenza di garanzie;
‐ eventuali necessità contabili da parte della banca117.
Pertanto, sulla base di tali considerazioni, la banca potrà decidere se attuare un intervento, ovvero attendere ulteriori esiti. Infine, l’istituto di credito potrebbe anche valutare la convenienza a non intervenire chiedendo il fallimento poiché maggiormente conveniente.
La strategia cooperativa potrebbe essere legata a possibili vantaggi che la banca potrebbe ritenere convenienti. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’interesse generale alla sopravvivenza del cliente, all’eventuale sfruttamento della situazione per offrire ulteriori servizi, ovvero alla concreta possibilità di limitare i danni rispetto a una procedura concorsuale118.
Pertanto, i possibili rimedi previsti dalle soluzioni negoziali potrebbero riguardare il prolungamento della scadenza dei debiti bancari dal breve periodo a un termine medio‐lungo, la rinuncia da parte dell’istituto a una parte della quota capitale e della quota interessi, ovvero anche la possibilità di convertire parte del debito in capitale, qualora fosse ritenuto conveniente dalla banca stessa.
da parte di entrambi. Cfr. F. FORTE,Principi di Economia pubblica, terza edizione, Giuffrè,
Milano, 1993, p. 111 e ss..
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Come scrive Danovi: “Su quest’ultimo punto, di particolare rilievo appare il tema della gestione delle partite anomale nel bilancio bancario. La banca spesso non ha interesse ad evidenziare nel proprio bilancio i crediti tra le «sofferenze», preferendo classificarli tra gli «incagli», caratterizzati da una temporanea difficoltà di esigibilità che si prevede possa essere
rimossa in un congruo periodo temporale”, in A. DANOVI, Crisi d’impresa e risanamento
finanziario nel sistema italiano, op. cit. p. 243. Si veda, altresì, il seguente contributo:
Manuale per la compilazione della matrice conti, in C. ZARA, 2001, p. 226.
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In generale le banche più esposte hanno un interesse al risanamento del cliente che può spingerle a farsi promotrici di un processo di ristrutturazione. Cfr., in tal senso, in C. ZARA,Le banche e il risanamento delle imprese in crisi, in Economia e management, n. 5, 1995, p. 18.
Contra, l’eventuale rifiuto da parte della banca potrebbe dipendere da
vari fattori, quali, ad esempio, la scarsa credibilità dell’imprenditore proponente, l’esistenza di interessi particolari da parte dei creditori, oppure una valutazione ritenuta insufficiente da parte dell’istituto di credito del piano presentato dall’azienda.
Al fine di verificare la convenienza in merito alla scelta tra il fallimento o l’eventuale soluzione pattizia, è stato elaborato un modello di analisi che mette a confronto l’importo atteso dalla soluzione negoziale con quello atteso in caso di liquidazione119.
Nel modello, le variabili iniziali sono le seguenti: ‐ probabilità di successo degli accordi;
‐ differenza tra le aspettative della liquidazione e degli accordi; ‐ eventuale immissione (e quantificazione) di nuova finanza.
Inoltre, è stato rilevato120 come siano da considerare tra le variabili anche la dimensione dell’impresa e della banca nonché la concentrazione del debito.
Infatti, è da sottolineare il fatto che più il debito è concentrato, tanto sono maggiori le possibilità del buon esito degli accordi. 119
Il presente modello è stato teorizzato da seguente autore: P. ROSSI, Ristrutturazione del
debito e ruolo delle banche nel risanamento delle imprese in crisi, in Banca impresa società,
n. 2, 1997 e ripreso, successivamente da G. BERTOLI, Crisi d’impresa, ristrutturazione e
ritorno al valore, Egea, Milano, 2000.
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