scientifica
Alcune riflessioni sono necessarie anche nel considerare la natura e il ruolo che la scienza assume nel mutato contesto storico, economico, sociale, politico che caratterizza la società contemporanea come società della conoscenza e derivante dalla nuova importanza assunta dalle informazioni, dal sapere e dalla cultura. Si potrebbe partire dalla considerazione che, a differenza dei secoli passati in cui l’uomo si è dedicato alla scienza per dominare la materia inerte e produrre macchine, sostanze, oggetti più o meno utili e finalizzati a determinati scopi, l’ultimo secolo ha visto l’uomo alle prese con il tentativo di controllare e dominare i fenomeni mentali e la coscienza. Muta, quindi, profondamente la natura stessa della scienza e si supera la netta separazione tra quest’ultima e le altre attività sociali umane67.
La scienza pura intesa come conoscenza disinteressata della natura e la tecnologia intesa come utilizzazione pratica dei risultati della scoperta scientifica si sono connesse a tal punto da diventare una sorta di groviglio difficilmente districabile. I dibattiti propri degli ambienti scientifici sono, inoltre, diventati dominio anche dei discorsi e delle azioni non propriamente attinenti al mondo della scienza. La conoscenza e la ricerca scientifica entrano, così, in relazione con i valori e i comportamenti individuali e collettivi.
Il problema nasce, però, nel momento in cui sia scienziati sia politici e amministratori continuano a ritenere la scienza come tradizionalmente orientata alla ricerca della verità capace di rappresentare la realtà e garantita dal suo metodo scientifico e a credere che le uniche leggi a regolare l’introduzione della tecnologia nel processo di produzione di beni di consumo siano quelle del mercato e dell’economia. Questo è dovuto al fatto che tutto, nella società contemporanea, è ormai considerato merce e regolato da leggi di produzione e di profitto. A differenza del processo di accumulazione di capitale tipico del XX secolo proprio del modello fordista, in cui il profitto era dato dalla produzione di merci materiali e dal loro consumo da parte dei lavoratori stessi, il nuovo processo di accumulazione di capitale si fonda sempre più sulla produzione di merci immateriali - informazioni, conoscenza, comunicazione - che si sgancia dal tempo di lavoro in quanto queste merci possono essere moltiplicate all’infinito senza ulteriore costo e senza impiego di ulteriore tempo.
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Questa componente del sistema di produzione spinge a riflettere su importanti questioni relative al possesso e al consumo di oggetti, che in realtà non possono essere né posseduti né consumati, che mette al rischio la reale potenzialità dell’informazione e della conoscenza: il suo essere sociale in quanto la diffusione della conoscenza è condizione indispensabile per produrne di nuova. La trasformazione dell’informazione in merce ha radicalmente trasformato il sistema di produzione di capitale, non più legato alla produzione, al trasporto e al consumo di cose, beni e oggetti materiali ma alla produzione di informazione, sia destinata alla produzione di altre merci (know-how, innovazione di processo, marketing), sia destinata a una diretta consumazione, per esempio da parte dei mezzi di comunicazione di massa.
Questa trasformazione ha prodotto due importanti cambiamenti nell’organizzazione del lavoro: da un lato ha condotto alla creazione di nuove tipologie di mestieri e professioni e dall’altro ha portato al decentramento della produzione in una molteplicità di luoghi diversi. Per affrontare i problemi derivanti da queste trasformazioni la scienza è allora chiamata a rispondere alla necessità di favorire un’equa distribuzione dei benefici della sua crescita in tutti i campi e a salvaguardare l’autonomia della sua produzione dalle leggi del mercato.
In questa direzione deve imporsi innanzitutto un ritorno agli imperativi posti a fondamento della scienza quali: la necessità di adottare criteri universali e impersonali, l’obbligo di diffondere ogni nuova scoperta, il porre in primo piano gli interessi del progresso della scienza rispetto ai propri interessi individuali. In secondo luogo, è necessaria una riaffermazione della natura pubblica della conoscenza, in particolare di quella scientifica. Quest’ultimo aspetto è particolarmente sentito in merito alle questioni derivanti dallo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione e in particolare alla contrapposizione tra i sostenitori dell’open source e del free software e i sostenitori dei sistemi proprietari e commerciali. Le due posizioni si rifanno a due principi contrapposti che vedono, da un lato, i sostenitori dell’etica che caratterizza la comunità degli hacker e fondata sul principio secondo il quale la condivisione dell’informazione sia un bene di formidabile efficacia e che la condivisione delle competenze sia per gli hacker un dovere etico, e dall’altro sostenitori dei principi della new economy che vede le aziende realizzare i propri profitti attraverso la proprietà delle informazioni garantita attraverso il sistema dei brevetti.
La ricerca dovrebbe essere gradualmente sottratta al dominio esclusivo del mercato o almeno sottoposta a vincoli accettati dagli scienziati e dalle istituzioni governative. Soltanto in
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questo modo può essere garantita da un lato la libertà della ricerca e la più equa distribuzione della conoscenza e dei prodotti della scienza e dall’altro, il rispetto di norme etiche e morali socialmente condivise e su cui fondare un nuovo concetto di cittadinanza.
Il cambio del modello della conoscenza, appare in modo ancora più evidente se si affronta il problema dell’evoluzione del concetto di divulgazione Il termine divulgare nel secolo XIII è usato con l’accezione di raffinato, diffondere a tutti, rendere di pubblico dominio, esporre in modo non specialistico. A partire dal XIV secolo divulgazione è usato con valore spregiativo nell’accezione di eccessivamente semplice e scarso valore scientifico. I termini diffusione della cultura scientifica, comunicazione scientifica hanno giocato un importantissimo ruolo determinando, a loro volta, l’abbandono dei vecchi termini che richiamavano il termine volgo, divulgazione, popularisation, vulgarisation, per attribuire a questo genere di comunicazione il suo complesso valore formativo. Il termine divulgare è attualmente inteso nell’accezione maturata in seguito alla diffusione del rapporto Bodmer del 1985 intitolato The Public Understanding of Science, come azione finalizzata a comprendere, spiegare e migliorare i rapporti tra il pubblico e la scienza.
Per affrontare la complessa questione su ciò che è stata e su ciò che oggi rappresenta la divulgazione scientifica proviamo ad introdurre una definizione di tale concetto. Consideriamo la divulgazione come il processo-strumento di comunicazione, che coinvolge un emittente e un ricevente, finalizzato alla diffusione di saperi scientifici68. L’utilizzo contemporaneo dei termini processo-strumento sta a significare che non si tratta di una semplice operazione di diffusione o trasferimento di un sapere da un ambiente ad un altro, o dominio conoscitivo ad un altro, ma presuppone un processo di trasformazione del sapere che guida e accompagna la maturazione e l’elaborazione delle stesse idee perché arrivino al più grande spazio culturale e sociale.
La definizione pur sembrando ingenua si discosta dal modo tradizionale di intendere la divulgazione che la assimila al principio dei vasi comunicanti: corrente che scorre dall’emittente, caratterizzato da una maggior dotazione di conoscenza, al ricevente, caratterizzato da una minor dotazione. Il comunicatore o scienziato possiede maggiori conoscenze, ma il pubblico non è da noi considerato privo di bagaglio culturale. Paola Govoni definisce la divulgazione scientifica facendo riferimento al paese e alla data in cui la
68 Cfr. P.GOVONI, Un pubblico per la scienza, Carocci, Roma 2002, p. 12. Sullo stesso tema, cfr. J.
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definizione è maturata. Negli anni ottanta del secolo scorso negli Stati Uniti la divulgazione era presentata come:
«Lo strumento ideologico della propaganda scientista, mirata a manipolare l’opinione pubblica per convogliare il consenso sugli investimenti enormi in alcuni settori della ricerca, piuttosto che in campo sociale69».
La divulgazione scientifica si rivela come un fenomeno formatosi al crocevia tra le esigenze degli scienziati di comunicare con i colleghi di altre specialità e con la società; come superamento dell’uso di un linguaggio per soli esperti; come semplificazioni a carattere cognitivo, epistemologico e sociale, con metodi e pratiche differenziate a seconda del pubblico. Ogni genere di comunicazione corrisponde ad una “classe” di persone che ne guida e determina l’elaborazione delle idee che andranno trasmesse.
John Ziman non riporta una esplicita definizione di divulgazione scientifica rivolta al grande pubblico. Nella sua opera La vera scienza descrive come gli scienziati comunicano le loro scoperte e lo fanno partendo da quella che chiamano scienza accademica (fase privata: lo scienziato nel suo laboratorio chiamato torre d’avorio non aveva l’esigenza di comunicare ad altri che non fossero i suoi pari i risultati delle sue ricerche) fino alla nascita della scienza post-accademica o pubblica o collettivizzata. Lo scienziato ha assunto un nuovo ruolo: comunicare la scienza al pubblico, ai vari pubblici di non esperti nella seconda fase. Ziman scrive:
«Non è un caso che la scienza moderna sia nata dopo l’invenzione della stampa e, quindi, dopo che si è creata una possibilità tecnica di una comunicazione pubblica e rapida, che consente di riferire, registrare e discutere i risultati dell’osservazione della natura70».
Per Paolo Rossi:
69 Cfr. P.GOVONI,Cos’è la storia della scienza, Carocci, Roma 2004, pp. 30-32
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«La scienza moderna non è nata nei campus o nell’atmosfera un po’ artificiale dei laboratori. [...] accomuna i protagonisti della rivoluzione scientifica: la consapevolezza che attraverso la loro opera sta nascendo qualcosa. [...] una forma di sapere. Questo sapere richiede sensate esperienze e certe dimostrazioni. Ogni affermazione deve essere pubblica, cioè legata al controllo da parte di altri, deve essere presentata e dimostrata ad altri, discussa e soggetta a possibili confutazioni71».
La definizione mette in evidenza alcuni passaggi, importanti ma non sufficienti per parlare di divulgazione. É necessario avere una consapevolezza di una forma di sapere che deve essere comunicato per essere recepito. Il sapere deve avere determinati connotati: provenire da sensate esperienze e certe dimostrazioni, sottoposte a confutazione, controllo e discussione. La dimostrazione è essenzialmente una comunicazione di un percorso seguito per arrivare alla costruzione di un sapere condivisibile. Perché la comunicazione diventi divulgazione è necessaria una traduzione che possa permettere ad un pubblico indifferenziato la comprensione dei concetti e saperi in essi implicati. Andrea Cerroni afferma:
«Per comunicazione della scienza si potrebbe intendere un’attività (filantropica o a certe condizioni lucrativa) pensata di corredo dell’educazione obbligatoria, a vantaggio di giovani poco informati o male informati o di più o meno giovani curiosi, appassionati, amatori. Oppure, più cinicamente, un ritrovato di successo infontainment (fra informazione e intrattenimento), o un veicolo pubblicitario per prodotti o corsi universitari poco appetibili. O, infine, uno strumento per fare cassa di risonanza ai
cahiers de doléances (diari di lagnanze) dei ricercatori per sollecitare più cospicui
finanziamenti pubblici. [...] Comunicare la scienza vuol dire, allora, far si che il maggior numero possibile di individui partecipi a questa fruizione. E precisamente, che ogni knowledgeable citizen (cittadino ben informato) sia -letteralmente- abile e abilitato a partecipare alle quattro fasi della circolazione della conoscenza: produzione di nuova conoscenza attraverso lavoro e attività quotidiana; validazione, legittimazione e istituzionalizzazione dell’episteme (conoscenza scientifica, contrario
71 Cfr. P.ROSSI,La vera Scienza. Natura e modelli operativi della prassi scientifica, Dedalo, Bari 2000,
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di credenza); diffusione in termini di risposte a bisogni materiali e intellettuali; formazione dei suoi concittadini vecchi e nuovi72».
Questa definizione pone la divulgazione fra le attività che rendono la conoscenza un bene pubblico con una portata sociale decisiva. Al fare divulgazione significa fare in modo che il maggior numero di cittadini partecipi alla sua fruizione, ma questi debbono essere in grado di partecipare alle quattro fasi attraverso le quali la scienza circola: generazione, istituzionalizzazione, diffusione e socializzazione. In risposta alle esigenze sia materiali che intellettuali, in sintesi che contribuiscano alla formazione del cittadino.
Si intende poi la divulgazione anche come un processo che risponde, oltre all’esigenza di avvicinare ad un sapere, anche ad interessare e creare curiosità. Maria Dedò vede la divulgazione scientifica così come è l’attività di sensibilizzazione rivolta al pubblico:
«Si tratta di una trasmissione di conoscenze sistematica, critica e creativa; un servizio per l’uomo che vuole sapere e partecipare, come cittadino del villaggio globale73».
Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica, commentando le capacità divulgative e la forza comunicativa di Galileo, scrive:
«Nel divulgare la scienza Galileo cercava di risvegliare lo spirito scientifico moderno nelle menti del maggior numero possibile di persone. Cercò di portare la scienza fuori dalla cerchia ristretta degli scienziati facendone un fenomeno di interesse generale che permeasse tutti i livelli della società. E mise un’energia straordinaria in questo tentativo. […] Imitiamolo in maniera più umile ma ugualmente infaticabile74».
72 Cfr. A.CERRONI, Libertà e pregiudizio. Comunicazione e socializzazione alla conoscenza, Franco
Angeli, Milano 2002, p. 23.
73 Cfr. M.DEDÒ, La Matematica nella Società e nella Cultura, in «Bollettino dell'Unione Matematica
Italiana» (8) 4A, 2001, pp. 247-275.
74 Cfr. C.RUBBIA, Galileo e la divulgazione della scienza, in «Galileo journal. Giornale di scienza e
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Quello che si percepisce dalle definizioni presentate è una visione condizionata dagli interessi e dal ruolo che ciascuno ricopre. Paola Govoni inquadra la divulgazione nel periodo in cui la scienza era mirata a manipolare l’opinione pubblica; Carlo Rubbia segue gli insegnamenti di Galileo in maniera più umile ma ugualmente infaticabile. Tutti però sono concordi sull’obiettivo da raggiungere e sull’importanza del fenomeno divulgativo.
Secondo Castelfranchi, se da un lato la scienza appare come vicina alla vita quotidiana, dall’altro sembra caratterizzarsi anche come prerogativa di pochi: generosa di promesse, quindi, ma anche gravida di pericoli75. Qualsiasi interpretazione della scienza,
tuttavia, si riallaccia inevitabilmente alla società in cui si inserisce, e per questo analizzare i modi in cui la comunicazione della scienza è stata attuata diventa funzionale a comprendere meglio la varietà delle interpretazioni possibili da applicare al sapere scientifico.
Per gli scienziati, in effetti, comunicare non rappresenta solo un filantropico desiderio di divulgare, ma un vero e proprio bisogno, che di volta in volta ridefinisce un patto sociale tra la scienza, la tecnologia, il mercato e la società civile. Si consideri, ad esempio, il caso di John Craig Venter, che nel 2000 è stato acclamato scienziato dell’anno76. A ben guardare, però, questa figura presenta caratteri del tutto peculiari, che farebbero pensare più ad un manager che ad un ricercatore in senso stretto. Venter si guadagna i riflettori perché invitato assieme all’allora Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton presenta alla comunità scientifica la scoperta del sequenziamento del genoma umano. Le sue caratteristiche, tuttavia, appaiono decisamente inusuali: egli infatti non lavora in un’università, né in un centro di ricerca, ma è un uomo di affari che convive con mondi, come quello della politica e quello della scienza, dotati di regole molto diverse.
La scienza, in ogni sua fase, è stata indissolubilmente legata a forme disparate di diffusione, archiviazione e discussione dell’informazione e legittimamente è possibile pensare che non esista scienza dove non esiste comunicazione. Diventa per questo interessante indagare come l’evoluzione dei modi di comunicare abbia avuto un impatto diretto sulle scienze stesse.
Fra il quindicesimo secolo e la fine del diciassettesimo, l’orizzonte del sapere si ampliava77. Da un lato erano riscoperti e riletti Euclide, Archimede e Ippocrate; dall’altro i
75Cfr. Y. CASTELFRANCHI -N.PITRELLI, Come si comunica la scienza?, Laterza, Roma 2007, p. 7. 76 Cfr. Y. CASTELFRANCHI -N.PITRELLI, Come si comunica la scienza?, op. cit., p. 12.
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saperi manuali venivano rivalutati, non costituendo più attività servili, ma strumento privilegiato per la conoscenza del mondo. Sorgevano nuovi strumenti scientifici e l’aggettivo novum diventava parola chiave per nel titolo di molti libri. A partire dal 1550 si diffusero nel mondo tedesco le Wunderkammer, gabinetti di curiosità in cui i collezionisti erano soliti conservare raccolte di oggetti straordinari per le loro caratteristiche intrinseche ed estrinseche. Mentre saperi come quello alchemico o dottrine come quella gnostica consideravano la conoscenza come un bene destinato a pochi eletti, i filosofi naturali del Rinascimento, invece, rivendicavano come valore delle proprie discipline una comunicazione chiara, completa e dettagliata. Il passaggio a quello che Max Weber avrebbe chiamato il «disincanto del mondo», però non fu immediato e per certi versi si può dire che si sia del tutto compiuto, se è vero che il Rinascimento è sì l’epoca in cui emerge il sapere scientifico, ma è anche il tempo dei maghi. Sta di fatto, però, che in quel periodo la scienza moderna nasce come metodo conoscitivo che si distingue da precedenti forme di organizzazione e produzione del sapere anche per il fatto di rivendicare alla ripetibilità delle esperienze un valore centrale.
Tra il seicento e il settecento, quella dei filosofi naturali prende la forma di una comunità organizzata. Studiosi di diversi paesi europei si mantengono in contatto attraverso intensi scambi epistolari e fondano Accademie nazionali dove è possibile incontrarsi e scambiarsi informazioni e pareri scientifici. In Italia nascono l’Accademia dei Lincei e l’Accademia del Cimento; in Inghilterra nasce nel 1660 la Royal Society; in Francia, Colbert convince Luigi XIV, nel 1666, a finanziare e ristrutturare una accademia privata facendo così nascere l’Academie Royale des Sciences. Scienza significa ora non solo novità e progresso, ma anche produzione e organizzazione razionale del sapere. Significa metodo e sistema, ma anche previsione di fenomeni. La natura non è solo fonte di meraviglie, ma anche grande meccanismo spiegabile. La circolazione e legittimazione delle idee diventa una necessità. Nel 1665 la Society, per volere del suo segretario Henry Oldenburg, comincia a pubblicare le Philosophical Transactions, dove compaiono testi di filosofi naturali da tutta Europa; nello stesso anno, compare in Francia il Jurnal des Savantes; in Italia Galileo Galilei, che nel 1610 aveva dato alle stampe il suo Sidereus Nuncius, nel 1623 sceglie per Il Saggiatore la lingua del popolo in favore di quella dei teologi, e per quest’opera sceglie di utilizzare la forma del dialogo.
Nel settecento gli intellettuali continuano ad innamorarsi della scienza: esigono un telescopio in casa, e pretendono dai precettori di apprendere le recenti meraviglie dell’ottica. La natura appare ora come un orologio e gli organismi sono macchine, spiegabili e soggette a
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leggi deterministiche. La borghesia vede nella scienza un simbolo di trasformazione sociale, uno strumento per esigere che le istituzioni si fondino sulla ragione anziché sul dispotismo. L’illuminismo fa della comunicazione un vessillo. Non è un caso che l’opera simbolo dell’età dei Lumi sia uno dei primi grandi testi di divulgazione: l’Encyclopedie. Georges Luis Leclerc, conte di Buffon, scrive la sua monumentale Storia naturale, generale e particolare in francese, a differenza del suo rivale Linneo, che continua a preferire il latino. Nelle Lettere filosofiche, Voltaire fa divulgazione inserendo nel suo dialogo lo scontro tra la fisica newtoniana e quella cartesiana.
Nel 1738, poi, dà alle stampe Gli elementi della filosofia di Newton, in cui sottolinea come i contemporanei siano superiori agli antichi perché hanno trovato il metodo per conoscere il vero, verificando le congetture tramite l’esperimento. In Italia, la maggiore rivista illuminista, Il Caffè di Pietro Verri dedica spazio alle nuove invenzioni. In Inghilterra, Conversations on Chemistry di Jane Haldimand Marcet diventa un best-seller, giungendo presto a sedici edizioni inglesi. Nascono i primi quotidiani, dal momento in cui per il nascente capitalismo industriale la trasmissione rapida di notizie diviene assolutamente cruciale. I nascenti Stati Uniti diventano presto la nazione leader nella comunicazione di massa, mentre in Francia il processo è ritardato dalla censura imposta dall’assolutismo: il primo quotidiano nasce solo nel 1777.
Alla fine del Diciottesimo secolo la conoscenza è vista come un diritto universale. Il capitalismo trasforma l’informazione in merce e alla figura del filosofo naturale subentra così quella dello scienziato. Nell’ottocento, la scienza diventa mestiere, e la comunicazione assume la forma della merce. La scienza si fonda come istituzione, definisce in modo esplicito una propria identità, sviluppa regole e retorica proprie. La Prussia è tra le prime nazioni ad aprire il cammino. Wilhelm von Humbolt definisce, come ministro dell’Educazione, un nuovo sistema di istruzione basato su ginnasi e scuole tecniche. Nel 1810 crea la nuova Università di