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Il livello di istruzione della madre può influenzare sia gli stili di vita sia l’accesso ai servizi sanitari, con importanti ricadute sull’esito della gravidanza, oltre che su feto e neonato.

Nel 2020, il 30,6% delle partorienti era laureata, il 41,0% diplomata, il 28,4% aveva un titolo di studio inferiore.

Il livello di scolarità è mediamente inferiore nelle donne straniere: tra le italiane il 38,2% aveva conseguito una laurea (34,6% il dato nazionale), mentre tra le straniere solo il 16,6% (17,7% a livello nazionale). Il 47,5% delle straniere aveva un basso livello di scolarità rispetto al 18,0% delle italiane. Rispetto ai dati regionali (anno 2018) lievemente inferiore il livello di istruzione universitaria, sia nelle italiane sia nelle straniere.

Tra le straniere il più basso livello di scolarizzazione si registra tra le africane, con un titolo di studio di scuola elementare o media nel 55,8% dei casi.

Tabella 6: Numerosità e percentuale delle madri per scolarità e cittadinanza (2020)

Titolo di studio della madre Italiane Straniere Totale

% % %

Elementare/Medie o nessuno 1.090 18,0% 1.566 47,5% 2.656 28,4%

Superiori 2.644 43,7% 1.185 35,9% 3.829 41,0%

Laurea 2.310 38,2% 547 16,6% 2.857 30,6%

TOTALE 6.044 3.298 9.342

8 3.5. ATTIVITÀ PROFESSIONALE MADRI E PADRI

Differenze sostanziali tra madri e padri emergono per quanto riguarda la condizione lavorativa: il 94,7% dei padri ha un’occupazione mentre tra le madri solo il 56,3% ha un’occupazione, il 35,1% è casalinga e il 7,6%

è disoccupata (tabella 7).

Prima del 2008 la percentuale di padri senza occupazione era sempre inferiore al 2%, salvo poi iniziare a crescere arrivando al 6% nel 2013 e 2014 mentre negli ultimi anni la percentuale di padri senza occupazione sta gradatamente diminuendo (3,2% nel 2019).

Tabella 7: Attività professionale dei genitori (2020)

Vi è una netta diversità professionale tra mamme italiane e straniere: sono occupate il 76,7% delle italiane rispetto al 18,9% delle straniere; in parallelo solo il 14,4% delle italiane è casalinga contro il 73,1% delle straniere (tabella 8).

Tabella 8: Attività professionale delle madri per cittadinanza (2020)

madri italiane madri straniere

Altra condizione (ritirata dal lavoro, inabile, ecc.) 3 0,0% 5 0,2%

3.6. PRECEDENTE STORIA RIPRODUTTIVA

La storia riproduttiva delle donne che hanno partorito nel 2020 presenta alcune differenze tra italiane e straniere (tabella 9), in particolare:

 La percentuale di primipare è più elevata tra le donne italiane rispetto alle straniere (53,1% vs 34,4%), mentre il numero di parti precedenti è più elevato tra le straniere (1,09 vs 0,60).

 La percentuale di nati morti/nati vivi nei precedenti concepimenti è più elevata tra le straniere, anche se la differenza è notevolmente diminuita rispetto agli anni precedenti.

 La media di precedenti aborti è 0,29, analoga in donne italiane e straniere (0,28 vs 0,31; p = 0,09). La probabilità di avere avuto un precedente aborto aumenta all’aumentare dell’età. Il numero medio di pregressi aborti è di 0,19 per le mamme dai 20 ai 29 anni, aumenta a 0,31 per la fascia d’età 30-39 anni ed è di 0,62 per le mamme con 40 anni o più.

Tabella 9: Storia riproduttiva della madre per cittadinanza (2020)

INDICATORE italiane straniere totale delta straniere vs italiane

% di primipara 53,1% 34,4% 46,5% -35%

Altra condizione (ritirato dal lavoro, inabile etc.) 8 0,1% 130 1,4%

9

 Il numero medio di interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) è più elevato nelle straniere di 1 volta e mezza rispetto alle italiane (0,08 vs 0,05): il gap si è progressivamente ridotto dal 2003 al 2015, per poi stabilizzarsi negli ultimi anni (Figura 6).

Figura 6: Numero medio precedenti IVG nelle donne italiane e straniere dal 2003 al 2020

3.7. CONSANGUINEITÀ

Tra le italiane le gravidanze tra consanguinei rappresentano una quota esigua, pari allo 0,48% se si considerano tutti i gradi di consanguineità (29 gravidanze/6.044) e allo 0,30% per i gradi di parentela più stretti. Nelle straniere la quota di gravidanze tra consanguinei di qualunque grado è pari al 6,0% e del 4% tra parenti di 4° grado (Tabella 10).

Tabella 10: Consanguineità per cittadinanza nel 2020

madri italiane madri straniere

n. % n. %

Parenti di 4° grado (cugini) 18 0,30% 131 3,97%

Parenti di 5° grado (coniuge sposato con figlio/a di un suo

primo cugino) 3 0,05% 19 0,58%

Parenti di 6° grado (secondi cugini) 8 0,13% 48 1,46%

Non consanguinei 6.015 99,5% 3.100 94,0%

Nelle donne straniere la percentuale di consanguineità è aumentata notevolmente, passando dal 3% del 2003 al 6,0% del 2020 (Figura 7): negli ultimi anni è molto evidente l’aumento delle gravidanze tra genitori con un grado di consanguineità molto stretto (linea rossa in figura 7).

La nazionalità con la maggior presenza di parti tra consanguinei è quella asiatica, quasi esclusivamente dovuta alle donne pakistane che, nel 2020, avevano una percentuale di consanguineità con il padre del 31,1%

(23,8% per parentela di 4° grado).

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Figura 7: Percentuale di consanguineità nelle donne straniere dal 2003 al 2020

3.8. FUMO,ALCOL E BMI

Il fumo materno durante la gravidanza rappresenta un rischio ostetrico e, inoltre, è la principale causa di morte improvvisa del lattante (Sudden infant death sindrome, SIDS) e di altri effetti sulla salute, incluso il basso peso alla nascita e una ridotta funzionalità respiratoria.

Dal 2020 è stata inserita nel CeDAP una domanda sull’eventuale stato di fumatrice della madre, anche prima della gravidanza. Escludendo 12 casi per i quali non è disponibile l’informazione, la prevalenza di donne fumatrici i gravidanza è pari al 5,6 % (7,0% nelle italiane e 3,0% nelle straniere). La proporzione di madri che ha smesso di fumare durante la gravidanza è pari al 7,6% cui si aggiunge il 7,9% che aveva smesso nell’anno precedente.

Tabella 11. Distribuzione delle madri per abitudine al fumo in gravidanza. Anno 2020

ITALIANE STRANIERE TOTALE

Mai fumatrice 71,9% 91,9% 78,9%

Ex-fumatrice, sospeso da oltre 1 anno 11,0% 2,2% 7,9%

Ex-fumatrice, sospeso in gravidanza 10,1% 2,8% 7,6%

Fumatrice 7,0% 3,0% 5,6%

L’abitudine al fumo in gravidanza diminuisce all’aumentare del titolo di studio dalla licenza media/elementare (8,1%), alla media superiore (6,0%), alla laurea (2,8%). L’analisi di regressione logistica sulla probabilità di fumare in gravidanza conferma tale dato (OR=0,72, considerando tre gradi di scolarizzazione). Vi è una minor propensione al fumo tra le coniugate (3,0%) rispetto alle nubili (9,8%) e soprattutto rispetto alle separate/divorziate (17,3%).

Al pari del fumo, l’alcol rappresenta un possibile rischio sia per il fisiologico decorso della gravidanza sia per il nascituro. La quota di astemie è pari al 75,5%, superiore nelle donne straniere. Anche in chi consuma abitualmente alcolici la gravidanza porta comunque alla sospensione (21,7%): solo una quota esigua di donne continua a consumare alcolici durante la gravidanza, in quantità però minima (meno di un’unità alcolica la settimana).

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Tabella 12. Distribuzione delle madri per consumo di alcolici. Anno 2020

ITALIANE STRANIERE TOTALE

Astemia 68,0% 89,3% 75,5%

Sospeso all’inizio della gravidanza 28,6% 9,1% 21,7%

Consuma 1-2 unità alcoliche/settimana 3,0% 1,4% 2,5%

Consuma 1 unità alcoliche/die 0,3% 0,2% 0,3%

Consuma più di 1 unità alcoliche/die 0,02% 0,03% 0,02%

Dall’anno 2020 il CeDAp registra anche i dati su peso e altezza per il calcolo dell’indice di massa corporea pregravidico della madre. La distribuzione del BMI è riportata in tabella 13.

Nelle donne straniere la prevalenza di obesità e di sovrappeso è superiore rispetto a quanto si vede nelle italiane, mentre l’opposto si osserva per valori di BMI inferiori a 19.

Tabella 13: Distribuzione delle madri per BMI pregravidico

ITALIANE STRANIERE TOTALE

Sottopeso (<18,5 kg/m2) 9,7% 5,9% 8,4%

Normopeso (18,5-24,9 kg/m2) 66,5% 53,8% 62,0%

Sovrappeso (25,0-29,9 kg/m2) 16,1% 27,5% 20,1%

Obesa (>30,0 kg/m2) 7,7% 12,8% 9,5%

Oltre alla cittadinanza straniera un fattore che risulta associato a dei valori di BMI al di fuori della normalità è il titolo di studio: il 69,7% delle laureate aveva un BMI pregravidico nella norma, contro il 62,6% nelle donne con titolo di studio di scuola superiore a il 52,7% delle donne con un livello di scolarità ancora più basso (elementari e medie).

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LA GRAVIDANZA 4.

4.1. DECORSO DELLA GRAVIDANZA

Il 18,3% delle gravidanze del 2020 ha avuto un decorso patologico e tale dato è in continuo aumento: fino al 2010 la percentuale era stabile attorno al 3%, mentre successivamente vi è stato un aumento importante (Figura 7).

Figura 7: Percentuale di gravidanze patologiche

I fattori che appaiono legati al decorso patologico della gravidanza sono la cittadinanza straniera (OR = 1,38;

p< 0,001), l’età superiore ai 39 anni (OR=1,55; p< 0,001), la consanguineità (OR = 1,28; p< 0,001).

Limitando l’analisi agli anni 2018-2020, per i quali sono disponibili i dati del BMI materno in fase pregravidica, emerge un’associazione tra eccesso di peso e gravidanza patologica; se nelle donne normopeso la percentuale di gravidanze patologiche è del 13,6%, tale valore sale al 21,6% in caso di sovrappeso e al 30,5% in caso di obesità.

Tale associazione è confermata anche con analisi logistica multivariata, correggendo per età materna, cittadinanza (straniera/italiana) e consanguineità: considerando come riferimento le donne normopeso, si osserva un aumento del rischio di gravidanza patologica nello donne in sovrappeso (OR 1,63; p<0,001) e ancora di più in caso di obesità (OR=2,62; p<0,001).

4.2. VISITE CONTROLLO

Secondo le linee guida nazionali il numero delle visite offerte alle donne in gravidanza non deve essere inferiore a quattro e la prima visita dovrebbe essere eseguita nel primo trimestre: nell’ATS di Brescia nel 2020, escludendo le schede con codifica errata o non presente, il 90,6% delle gravide aveva effettuato almeno 4 visite e un decimo aveva effettuato la prima visita di controllo oltre la 12° settimana.

Nel 2020 il numero medio di visite in gravidanza era 6, con una differenza tra italiane (6,1 visite) e straniere (5,6 visite). In caso di gravidanza patologica il numero medio di visite era leggermente superiore (6,3 visite).

A livello nazionale (dati 2019) per l’89,4% delle gravidanze sono state effettuate più 4 visite di controllo; la percentuale risulta simile anche per l’ATS di Brescia (82,4%).

Si evidenziano alcune associazioni significative tra visite di controllo e caratteristiche sociodemografiche delle madri quali la cittadinanza, il titolo di studio e l’età. Fra le straniere, rispetto alle italiane, è più elevata la percentuale di donne che si è sottoposta a meno 4 visite o che ha effettuato la prima visita dopo la 12°

settimana. Le donne con scolarità medio-bassa e quelle sotto i 20 anni seguono meno le linee guida in materia di visite di controllo.

Complessivamente nel 2020 le donne che avevano eseguito almeno 4 visite di controllo in gravidanza di cui la prima entro le 12 settimane sono state 7.053 pari all’81,3% del totale.

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Tabella 11: Visite di controllo in gravidanza per caratteristiche materne

N. donne

% visite di controllo in gravidanza % con 1° visita oltre 12a straniere (28,1% contro il 13,4% delle italiane), nelle ragazze sotto i 20 anni (32% contro il 18,6% delle altre fasce d’età) e in caso di basso livello di scolarità (25,6%; 17,2% per livello medio e 13,9% per le laureate) Tali elementi di fragilità sono simili a quanto riscontrato a livello regionale nel 2017 e nazionale nel 2016.

4.3. ECOGRAFIE

Nel 2020 sono state effettuate in media 3,7 ecografie per ogni gravidanza, variabile da una media di 3,5 in caso di gravidanza fisiologica a 4,5 per le gravidanze patologiche.

Il numero medio di ecografie a livello nazionale nel 2019 era di 5,3 per ogni parto e quella regionale (nel 2017) di 5,1 ecografie per parto. Fino al 2016 il Servizio Sanitario Nazionale offriva tre ecografie esenti ticket nelle gravidanze fisiologiche. Con la definizione dei nuovi LEA (DPCM 12 gennaio 2017) l’ecografia del terzo trimestre è offerta solo in caso di patologia fetale e/o annessiale o materna, mentre sono offerte le ecografie del primo trimestre per determinare l’età gestazionale e per la translucenza nucale e l’ecografia morfologica nel secondo trimestre. Nel 2020 ha eseguito meno di 3 ecografie il 5,8% delle donne, 3 ecografie il 57,1% e più di 3 ecografie il 37,1%. Quest’ultimo valore è nettamente inferiore al 74,6% rilevato a livello nazionale nel 2016 e al 62,8% lombardo (anno 2017): anche rispetto alle province confinanti nell’ATS di Brescia pare esservi una netta differenza con un minor ricorso ad una eccessiva medicalizzazione e al sovra utilizzo delle ecografie in gravidanza.

Tabella 12: Ecografie in gravidanza per caratteristiche materne

n. donne

% ecografie in gravidanza % senza ecografia dopo la 22esima

14 4.4. ESAMI PRENATALI INVASIVI

Nel 2020 per l’8,8% delle gravidanze era stato eseguito almeno un esame prenatale invasivo. L’esame più comune è l’amniocentesi (411 casi, pari al 49,8% di tutti gli esami invasivi), seguito da villocentesi (410 casi, 49,7%) e funicolocentesi (50 casi, 6,1%).

A partire dai 35 anni l’esecuzione di amniocentesi o villocentesi è offerta gratuitamente dal SSN, risulta quindi particolarmente interessante valutare l’esecuzione di tali esami per fasce d’età. Le donne con più di 40 anni sono quelle che più frequentemente si sottopongono ad esami invasivi prenatali (28,1%). Nelle donne straniere l’esecuzione di questi esami è meno comune rispetto a quanto si registra nelle donne, indipendentemente dall’età (Figura 8).

Figura 8: Percentuale di esami prenatali invasivi per età della madre e cittadinanza (2020)

Esaminando il trend nel periodo 2003-2020 si nota che la percentuale di donne oltre i 35 anni che ha fatto ricorso a tecniche diagnostiche invasive ha subito una lieve e continua diminuzione, soprattutto nelle donne italiane (figura 11).

Figura 11: Esami invasivi prenatali nel periodo 2003-2020 per cittadinanza nelle donne oltre i 35 anni

L’analisi multivariata per il periodo 2003-2020, avente come variabile dipendente l’effettuazione di esami prenatali invasivi e variabili indipendenti l’anno di esecuzione, l’età, il titolo di studio e la cittadinanza della madre, mostra come gli esami prenatali invasivi siano significativamente associati ad età della madre più elevata (OR=1,31 per anno di età) e assai meno frequenti nelle straniere (OR=0,29; IC95%=0,28-0,30). Dal

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2003 al 2020 si è verificata una diminuzione del ricorso a tali esami, seppur con un andamento piuttosto irregolare (OR = 0,93 per l’intero periodo).

Anche il titolo di studio più elevato sembra essere associato ad un maggior ricorso ad esami prenatali invasivi (OR 1,05 per ogni livello di grado superiore).

4.5. TECNICA DI PROCREAZIONE MEDICO-ASSISTITA

Nel 2020 sono state 256 le gravidanze in cui è stata effettuata una tecnica di procreazione medico-assistita (2,7%). Il dato nazionale (anno 2019) è inferiore, pari a 1,6 ogni 100 gravidanze.

Il trattamento più comunemente utilizzato (figura 12) è il trasferimento di embrioni in utero (FIVET-Fertilization In Vitro and Embryo Transfer; 37,5%), seguito dalla ICSI (Intra Cytoplasmic Sperm Injection;

34,0%).

Figura 12: Tecnica di procreazione medico-assistita (2020)

L’età media delle donne che erano ricorse ad una tecnica di procreazione medico-assistita era di 37,3 anni, sensibilmente superiore a quella delle donne che non hanno utilizzato tali tecniche (32,1 anni); nell’11,7%

delle gravide di 40 anni o più era stata utilizzata una tecnica di procreazione medicalmente assistita. Nelle donne più giovani la percentuale era molto inferiore: 4,2% nella fascia d’età 35-39 anni, 1,8% tra i 30 e i 34 anni e 0,72% nelle donne con meno di 30 anni.

La percentuale di parti plurimi in gravidanze medicalmente assistite (21,7%) è sensibilmente superiore a quella registrata nel totale delle gravidanze (2,7%).

Fino al 2015 la percentuale di gravidanze in cui il concepimento ha avuto luogo con l’applicazione di una tecnica di procreazione medico-assistita si è mantenuta al di sotto dell’1,5%, pur con alcune fluttuazioni. Gli anni successivi hanno visto un aumento del ricorso a tali tecniche.

Per il 2020 si nota un calo dei parti avvenuti a seguito di tecniche di procreazione medicalmente assistita, in particolare negli ultimi mesi dell’anno; ciò è legato alla sospensione dell’attività di PMA nel mese di marzo, in concomitanza dell’emergenza COVID.

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Figura 13: Percentuale di parti e numero di donne con procreazione medico-assistita nel 2003-2020

Il ricorso alle tecniche di procreazione medico-assistita è significativamente associato ad età della madre più elevata (+14% per anno di età) e al titolo di studio più elevato della madre (+18,8% per ogni livello).

È invece meno frequente nelle straniere (-47%) e, nel periodo 2003-2020, è andato aumentando seppur con andamento non lineare (+6,8% anno; p<0,0001).

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IL PARTO 5.

5.1. DURATA DELLA GESTAZIONE

I dati relativi alla durata della gestazione sono stati analizzati suddividendo in quattro classi le settimane di gestazione: inferiore a 32 settimane (definiti come parti fortemente pretermine), tra 32 e 36 settimane (parti pretermine), tra 37 e 42 settimane (parti a termine) e maggiore di 42 settimane. I valori non indicati o evidentemente errati sono stati esclusi.

Nel 2020 i nati fortemente pretermine e pretermine sono stati rispettivamente l’1,03% e il 5,8% dei parti. La maggior parte delle nascite avviene tra la 37° e la 42° settimana (93,1%). Come atteso vi è una maggior percentuale di prematurità tra le gravidanze patologiche. I dati dell’ATS di Brescia sono simili a quelli rilevati a livello nazionale nel 2019 e regionale nel 2018.

L’analisi multivariata con regressione di Poisson per il periodo 2003-20 avente come variabile dipendente la prematurità e variabili indipendenti l’anno del parto, l’età, il titolo di studio e la cittadinanza della madre, mostra che:

 la prematurità è più frequente nelle mamme straniere (IRR=1,17; IC95%=1,13-1,22);

 il rischio diminuisce all’aumentare del grado di scolarizzazione (-7,8% da un livello al successivo);

 vi è un’associazione tra prematurità ed età materna: considerando come livello di base la fascia d’età 20-29 anni, si nota un aumento del rischio tra le trentenni (30-39 anni) con un rischio relativo di 1,20 e ancor di più tra le donne con 40 anni o più (IRR=1,68; IC95%=1,58-1,80).

 l’analisi per la sola prematurità grave (<32 settimane) ha confermato tali associazioni.

 la prevalenza di prematurità è rimasta sostanzialmente stabile nel periodo.

 considerando l’intero periodo 2003-2020, emerge come per alcune nazionalità, sia maggiore il rischio di parto prematuro: India (OR=1,50; p<0,01), Romania (OR=1,45; p<0,01) e Pakistan(OR=1,41; p<0,01).

I dati del 2020 confermano quanto riportato in letteratura riguardo l’associazione tra abitudine al fumo in gravidanza e prematurità (IRR = 1,45; IC95% 1,08-1,93).

5.2. INDUZIONE DEL TRAVAGLIO E MODALITÀ DI ESPLETAMENTO DEL PARTO

Nel 2020 la quota di parti con travaglio indotto era del 33,2% (3.099 parti), in aumento rispetto agli anni precedenti; la modalità d’induzione più comunemente utilizzata è quella farmacologica (2.013 casi, pari al 65,0% dei travagli indotti), seguita dall’amnioressi (658 casi; 21,2%) e da altre metodiche (427; 13,8%).

Nelle gravidanze patologiche l’induzione del travaglio avviene più frequentemente di quanto avvenga in quelle fisiologiche (45,1% contro il 30,5%).

Secondo quanto riportato nel flusso CEDAP che si riferisce alle nascite del 2020, il 66,1% dei parti è avvenuto in modo spontaneo (6.171) e il 27,2% (2.544) con taglio cesareo (urgente o in elezione) e la quota residua con altre tecniche (forcipe, ventosa, ecc.). Nel conteggio dei parti da taglio cesareo sono compresi anche 232 casi che erano stati registrati come parti spontanei, ma che nella relativa SDO erano parti da taglio cesareo. A livello nazionale (anno 2019) il ricorso al taglio cesareo è del 31,8%, superiore rispetto a quella dell’ATS di Brescia che risulta invece in linea con il dato regionale (26,1% nel 2018).

Considerando la possibilità, per la partoriente, di essere accompagnata in caso di parto naturale, risulta interessante notare come sia superiore la percentuale di donne straniere sole al parto (20,7% nel 2020) rispetto alle donne italiane (8,5%). Da notare che nel 2020 l’emergenza COVID ha reso necessarie una serie di restrizioni che spiega perché la quota di partorienti “sole” al momento del parto sia aumentata rispetto agli anni precedenti.

Il fattore che influisce maggiormente sul ricorso al taglio cesareo è la presentazione fetale: in caso di presentazione anomala (podice, fronte, faccia), il taglio cesareo è la scelta più comune (93,9% dei casi)

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Il ricorso al taglio cesareo è fortemente associato all’età della madre. Vi è, infatti, un aumento lineare e statisticamente significativo del numero dei parti cesarei all’aumentare dell’età: complessivamente si passa dal 21,1% tra le donne con meno di 30 anni, al 25,8% tra i 30-34 anni, al 33,2% tra 35-39 anni, sino al 42,3%

nelle 40enni. Questo andamento lineare si riscontra sia in caso di gravidanza fisiologica sia patologica.

Il miglioramento delle tecniche chirurgiche e dell’assistenza postoperatoria hanno erroneamente generato la convinzione che il taglio cesareo sia privo di rischi. In realtà sia la mortalità materna attribuibile all’intervento sia la frequenza di complicanze nel post-partum sono molto superiori rispetto al parto vaginale ed è stato ormai dimostrato che i maggiori rischi materni e i maggiori costi associati al taglio cesareo non sono bilanciati da un corrispondente e costante miglioramento degli esiti perinatali. Il capitolo 7 approfondisce il ricorso al parto cesareo per classi di Robson.

5.3. PARTI PLURIMI

Nell’intero periodo 2003-2020 vi sono stati 3.393 parti plurimi, con un andamento crescente dall’1,15% del 2003 a quasi il 2% del 2019 (186 parti gemellari) per poi ridiscendere all’1,4% del 2020 (129 parti gemellari). Da notare che nei primi mesi del 2020 (in particolare marzo e aprile) le tecniche di PMA si sono ridotte a causa dell’epidemia di COVID e questo può aver contribuito alla riduzione dei parti gemellari negli ultimi mesi dell’anno.

Per le donne residenti in ATS l’incidenza di parti gemellari è aumentata linearmente dall’1,0% del 2003 sino all’1,8% del 2019, diminuendo nel 2020 (1,3%) dato simile al dato nazionale (1,6%).

Con uguale andamento ma con percentuali più elevate (2,2% nell’intero periodo) è l’incidenza di parti gemellari in donne non residenti, indice di una maggior afferenza verso gli ospedali bresciani in caso di parti plurimi. L’aumento risulta particolarmente evidente dal 2011 attestandosi a quasi il 3% del 2019 e calando nel 2020 (2%) (Figura 14).

Figura 14: Andamento di parti plurimi nelle donne residenti e non residenti in ATS

Come noto, la probabilità di parto gemellare è notevolmente più elevata nelle gravidanze con procreazione medicalmente assistita; a parità di età al parto la probabilità di parto gemellare è 16 volte superiore nelle donne che si sono sottoposte a procreazione medicalmente assistita (tutte le tecniche considerate per tutto il periodo).

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IL NEONATO 6.

I nuovi nati del 2020, secondo CeDAP, sono 9.473 con un rapporto maschi/femmine di 1,06; di questi 8.045 avevano almeno un genitore residente nell’ATS di Brescia. Il capitolo che segue analizza i dati per i tutti i nuovi nati presenti nel flusso CeDAP e solo per alcune analisi sono inclusi unicamente i neonati aventi almeno un genitore residente nell’ATS.

6.1. NATIMORTALITÀ

Nel 2020 sono nati morti 31 bambini, numero in linea con la media del periodo 2003-2019 e in 2/3 dei casi (n=21) il decesso è avvenuto prima del travaglio. Il tasso di natimortalità nel 2020 è stato di 3,27 ogni 1.000 nati (vivi + morti), superiore sia al dato nazionale (2,60 natimorti ogni 1.000 nati nel 2019) sia a quello regionale (2,5/1.000 nel 2018).

La natimortalità è fortemente associata alla prematurità con un tasso di 73,1/1.000 per prematurità grave (<32 settimane), 13,2/1.000 per prematurità moderata (32-36 settimane) rispetto ad un tasso di 1,10/1.000 nei nati a termine. Indipendentemente dalla prematurità le mamme straniere hanno tassi di natimortalità sempre superiori rispetto alle mamme italiane (figura 20).

Figura 20: Tasso di natimortalità (x 1.000) per età gestazionale e cittadinanza: periodo 2003-2020

Analizzando la natimortalità per l’intero periodo 2003-2020 (544 casi) con un modello multivariato e considerando come variabili indipendenti l’età, il livello di studio materno, la cittadinanza della madre, emergono alcune associazioni statisticamente significative. La natimortalità è maggiore nelle donne straniere (OR=1,65; p<0,001), in caso di età materna sotto i 20 anni e sopra i 40 anni (OR=1,58; p=0,001) e diminuisce all’aumentare del titolo di studio (OR = 0,82 da un livello di scolarizzazione al successivo;

p=0,001). Se si considerano solo le gravidanze a termine vi è un rischio di natimortalità doppio in caso di gravidanza patologica rispetto alle gravidanze con decorso fisiologico (OR = 2,32; p<0,001).

La causa codificata della natimortalità è spesso molto generica, quasi sempre il referto dell’esame autoptico viene reso noto dopo i 10 giorni previsti per la compilazione del CeDAP: in più del 60% dei casi (25 casi /33 nel 2020) è indicato genericamente “morte intrauterina”.

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