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ALLE S.U LA QUESTIONE RELATIVA ALL’INCOMPATIBILITÀ DEL GIUDICE CHE ABBIA PRECEDENTEMENTE PRONUNCIATO UN

32 CAPITOLO SECONDO:

CAPITOLO TERZO: GLI ULTERIORI INTERVENTI DELLA CONSULTA DAL 2001 AI GIORNI NOSTR

3. LE RICOSTRUZIONI DELLA CORTE SUL RUOLO DELL’UDIENZA PRELIMINARE.

3.7 ALLE S.U LA QUESTIONE RELATIVA ALL’INCOMPATIBILITÀ DEL GIUDICE CHE ABBIA PRECEDENTEMENTE PRONUNCIATO UN

PATTEGGIAMENTO NEI CONFRONTI DI UN COIMPUTATO NEL MEDESIMO REATO ASSOCIATIVO

Con l’ordinanza n. 17078 del 2014143 viene affidata alle Sezioni

Unite la questione relativa all’incompatibilità del giudice che abbia precedentemente pronunciato un patteggiamento nei confronti di un coimputato nel medesimo reato associativo. La Quinta Sezione, si è trovata ad affrontare l'annosa problematica concernente l'eventuale incompatibilità del giudice dibattimentale, che abbia pronunciato sentenza di applicazione della pena nei confronti di un coimputato, a giudicare gli altri concorrenti nel medesimo reato. Investita del ricorso, la Corte di Cassazione precisa subito la necessità di rimetterlo alle Sezioni Unite e prende le mosse da una ricognizione della giurisprudenza costituzionale in tema di incompatibilità in caso di pluralità di procedimenti nei confronti di concorrenti nel medesimo reato. In breve, la Cassazione ricorda che una costante giurisprudenza della Corte costituzionale ha risolto in senso negativo l'interrogativo se il giudice che si sia pronunciato in un precedente giudizio sulla responsabilità di alcuni concorrenti, sia colpito da incompatibilità in relazione al processo che venga successivamente celebrato nei confronti degli altri. Infatti, secondo l'insegnamento di tale Corte, non sarebbe ravvisabile un'identità dell'oggetto del giudizio nell'ipotesi di concorso di persone nel medesimo reato, perché alla comunanza dell'imputazione fa

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necessariamente riscontro una pluralità di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti, le quali, ai fini del giudizio di responsabilità, devono formare oggetto di autonome valutazioni sotto il profilo tanto materiale che psicologico, e ben possono, quindi, sfociare in un accertamento positivo per l'uno e negativo per l'altro. Subito dopo, l'ordinanza rimettente precisa che la validità di tali considerazioni è stata delimitata da altre decisioni della medesima Corte, che ha individuato delle "ipotesi estreme" in cui tale regola generale non opera144. Nel caso di specie, si trattava dunque di valutare se quest'ipotesi di incompatibilità, introdotta nella sentenza n. 371 del 1996, a partecipare al giudizio nei confronti di un imputato del giudice che abbia pronunciato una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, possa essere estesa anche all'ipotesi in cui la prima decisione sia una sentenza negoziata. Sul tema, secondo l'ordinanza in esame, sussistono tre diversi indirizzi nella giurisprudenza di legittimità: un primo orientamento, esclude alla radice il configurarsi di tale incompatibilità, soffermandosi sulla particolare natura della sentenza di patteggiamento; si afferma che il giudice che abbia pronunciato sentenza di patteggiamento “nei confronti di un

concorrente nel reato, pur quando quest'ultimo sia

necessariamente plurisoggettivo, non è incompatibile con il giudizio degli altri concorrenti che non abbiano patteggiato la pena, data la peculiarità della citata sentenza che non postula la dimostrazione in positivo della responsabilità dell'imputato, ma solo l'accertata inesistenza di cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c. p. p., sicché è irrilevante a tale fine la sentenza n. 371 del 1996”. Un secondo indirizzo, non esclude a priori l'idoneità della sentenza di patteggiamento ad assumere una valenza pregiudicante, ma delimita la portata di questa attitudine all'ipotesi in cui, nel vagliare le posizioni degli altri concorrenti, lo stesso giudice abbia effettuato una concreta delibazione dell'accusa concernente l'imputato rimasto estraneo al patteggiamento. Infine, un terzo gruppo di pronunce si contrappone agli altri due, sostenendo che, a seguito della più volte citata sentenza n. 371 del 1996, debba ritenersi sussistente un'incompatibilità a giudicare un soggetto, in

(144) Si fa riferimento a Corte cost., 9 giugno 1999, n. 241 e Corte cost., 17 ottobre 1996, n. 371.

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ogni caso in cui un giudice abbia in una precedente sentenza espresso incidentalmente valutazioni di merito in ordine alla sua responsabilità penale e, quindi, anche quando la sentenza "pregiudicante" sia di patteggiamento. In conclusione, alla luce del confuso quadro esistente nella giurisprudenza di legittimità, bene ha fatto la Quinta Sezione a investire finalmente le Sezioni Unite del compito di porre un po' di chiarezza nel mare, fin troppo agitato, delle incompatibilità. Non resta ora che attendere la pronuncia Suprema Corte, sperando che, a quasi un ventennio di distanza dalla sentenza 371 del 1996, venga risolto un contrasto che si protrae da troppo tempo. Il servizio novità della Corte Suprema di cassazione comunica che, nel corso della camera di consiglio del 26 giugno 2014, le Sezioni Unite hanno dato soluzione “affermativa” al quesito “se l'ipotesi di incompatibilità dell’art. 34 comma 2 c. p. p., introdotta dalla sentenza costituzionale n. 371 del 1996, sussiste anche per il giudice del dibattimento che, in separato procedimento, abbia pronunciato sentenza di applicazione della pena su richiesta nei confronti di un concorrente necessario nello stesso reato”. Dunque con l'odierna pronuncia, la recentissima sentenza n. 36847 del 2014145, la Corte di cassazione ha stabilito che la fattispecie è integrata anche quando la pronuncia pregiudicante consista in una sentenza di patteggiamento, ponendo fine - auspicabilmente in modo definitivo - ad una lunga querelle che si protraeva sin dagli ormai lontani anni '90. Viene così a sopirsi un residuo del lungo eco del terremoto esegetico cagionato dall'introduzione dell'ipotesi «impropria» d'incompatibilità "extraprocedimentale" da parte della sentenza 371 del 1996146.

(145) Cass., Sez. Unite, 26 giugno 2014 (dep. 3 settembre 2014), n. 36847

(146) A commento della decisione, osservazione di GABRIELLE PELLICCIOLI in Diritto

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CONCLUSIONI

Alla luce del lavoro svolto possiamo ben comprendere quella che è l’effettiva ratio dell’art. 34 c. p. p., ossia quella di garantire l’imparzialità del giudice; attraverso il meccanismo della sostituzione del giudice si vuole assicurare in concreto, nei procedimenti, l’effettiva indipendenza e terzietà del giudice, e quindi la sua specifica capacità e «idoneità» a giudicare. In tema di incompatibilità, l’imparzialità del giudice non può ritenersi, in via generale, intaccata da una qualsiasi valutazione da costui già compiuta nello stesso o in altri procedimenti, ma è circoscritta ai casi di duplicità del giudizio di merito sullo stesso oggetto, con conseguente rischio che la valutazione conclusiva di responsabilità sia, o possa apparire, condizionata dalla propensione del giudice a confermare una propria precedente decisione, così incidendo sulla garanzia di un giudizio che sia il frutto genuino ed esclusivo degli elementi di valutazione e di prova assunti nel processo e del dispiegarsi della difesa delle parti. A testimonianza della sensibilità dell’ordinamento riguardo le problematiche dell’imparzialità del giudice vi sono come si è ben potuto notare le numerose pronunce della Corte costituzionale sull’art. 34 c. p. p. La moltiplicazione delle sentenze additive in materia di incompatibilità del giudice penale è dipesa essenzialmente proprio dal nuovo modello processuale di stampo accusatorio e dai principî fondamentali che informano il vigente codice di procedura penale. In una parola, l'attuale art. 34 c. p. p., incardinato in un sistema processuale ispirato all'idea

accusatoria, non poteva non dar luogo a censure di

incostituzionalità, alla luce del presupposto della netta distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti, e in considerazione della particolare importanza del principio di terzietà-imparzialità del giudice. La Corte ha, conseguentemente, dovuto eliminare le discrasie esistenti in questo settore, estendendo il regime delle incompatibilità ad ipotesi che non erano state prese in esame dal legislatore, pur essendo assimilabili sotto ogni aspetto a quelle menzionate nell'art. 34 c. p. p. Ogni pronuncia della Corte è stata a sua volta feconda di ulteriori sviluppi, date le inevitabili interconnessioni esistenti in materia: anche questo fenomeno di "gemmazione" spiega il numero davvero cospicuo di pronunce della Corte costituzionale sulla incompatibilità del giudice penale.

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Recependo positivamente le indicazioni evincibili dalle reiterate pronunce della Consulta, il legislatore della riforma del giudice unico ha introdotto, con il comma 2-bis, una nuova causa di

incompatibilità costruita come assoluta, cioè riferita sia all’udienza

preliminare (e ai provvedimenti adottati in quella sede), sia all’emissione del decreto penale di condanna sia, infine, alla partecipazione al giudizio, anche fuori dei casi previsti dal comma secondo dello stesso articolo. Tale soluzione elide i rischi insiti in una elencazione casistica, la quale potrebbe rivelarsi lacunosa e dare adito a nuovi interventi della Corte Costituzionale motivati da ingiustificate disparità di trattamento. L’esigenza di contemperare le ragioni della incompatibilità con quelle di carattere organizzativo ha portato il legislatore (con la citata legge Carotti, l. 16-12-1999, n. 479) ad inserire il comma 2-ter nel quale infatti sono individuati alcuni atti di minima rilevanza e privi di contenuto valutativo, il cui compimento da parte del magistrato non determina preclusione alla celebrazione dell’udienza preliminare. In particolare la c.d. legge Carotti fa dell’udienza preliminare il fulcro del nuovo processo penale consentendo una istruzione probatoria di rilevante consistenza. Con l’introduzione poi dell’ulteriore comma 2-quater abbiamo visto poi come tale previsione integra quanto disposto dal comma 2-ter, ampliando il novero delle eccezioni all’incompatibilità fra i ruoli di G.I.P e di G.U.P., già previste dal citato comma, all’ipotesi dell’adozione, come G.I.P., di provvedimenti relativi all’incidente probatorio, nonché dell’assunzione dell’incidente medesimo. Anche tali atti sono, dunque, stati ritenuti inidonei a creare nel giudice un pregiudizio sul merito del processo (il che ne avrebbe giustificato l’incompatibilità a giudicare nella successiva udienza preliminare).

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BIBLIOGRAFIA

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