• Non ci sono risultati.

Il Sacco di Roma del 1527 fu un evento traumatico per la Roma del rinascimento e per l’intera cristianità che andò a mutare profondamente il corso dell’arte, giunta a un livello di raffinatezza eccezionale sotto i pontificati di Giulio II e Leone X. Nulla era cambiato all’epoca di Clemente VII, cugino di Leone X, eletto papa nel 1523: sotto di lui l’ambiente artistico romano è vivacissimo e innovativo ricco di talenti, capace di una cultura profana e di una tale libertà espressiva da disgustare tanti osservatori, visitatori e residenti stranieri. Fu sotto il suo regno che le critiche alla dissolutezza e alla corruzione del papato raggiunsero il culmine. L’idea che Roma fosse un covo del paganesimo era stata espressa per esempio da Erasmo da Rotterdam che proprio al ritorno da Roma aveva scritto il suo Elogio della follia (1511). Lutero nel 1508 aveva soggiornato per breve tempo a Roma, nel convento agostiniano di Santa Maria del Popolo. Più tardi attaccherà ferocemente Roma;

l’aspetto che più lo sconcertava era la mescolanza fra sacro e profano, fra modelli antichi e usanze cristiane.

In più a scandalizzare c’era la vendita delle indulgenze promossa massicciamente da Leone X per finanziare il progetto della nuova San Pietro, la basilica resa necessaria per esprimere la magnificenza del papato romano.

Elementi importanti:

Il ruolo delle immagini nella propaganda bellica che precedette la calata dei Lanzichenecchi.

Il sacco rappresentò un’umiliazione per la Roma papale e per l’Italia intera.

Il cardinale Giulio de medici era stato eletto papa il 19 novembre 1523 dopo l’impopolare pontificato di papa Adriano VI. Sotto Leone X erano avvenuti parecchi fatti nuovi a Roma:

l’affermazione dei banchieri e uomini di potere fiorentini, l’avvento in Francia, Spagna e Inghilterra di sovrani come Francesco I, Carlo V e Enrico VIII giovani e ambiziosissimi, l’avvio della Riforma con l’affissione da parte di Lutero delle 95 testi contro la Chiesa di Roma in cui se ne criticavano apertamente i costumi.

Sotto Clemente VII i contrasti proseguono; ci sono disordini a Roma, con la fazione dei Colonna che arriva a saccheggiare il Vaticano nel 1526. Nel 1525 nella battaglia di Pavia, Carlo V fa prigioniero Francesco I. Nel 1526 si forma la Lega di Cognac contro Carlo V. Clemente VII vi aderisce offendendo profondamente il sovrano spagnolo, cattolico e fervente credente. Si forma intanto un’armata spagnola composta da mercenari luterani, i temuti lanzichenecchi, animati da odio anti romano, contro quella che veniva definita la “nuova Babilonia”. Nel frattempo nascono anche movimenti di rinnovamento religioso nascono dentro la chiesa, come quello dei Cappuccini, approvati da Clemente nel 1528. Questo non basta però ad allontanare da Roma l’immagine della città corrotta e diabolica.

Il 6 maggio del 1527 l’esercito dei lanzichenecchi allo sbando marciò su Roma saccheggiandola. Il papa riuscì a malapena a rifugiarsi in Castel Sant’Angelo con i cardinali e i membri della curia (in tutto circa 3000 persone). A guidare l’artiglieria i due scultori responsabili Raffaello da Montelupo e Benvenuto Cellini. La città fu così abbandonata a un atroce e interminabile saccheggio che nessuno riusciva a credere possibile tanta era l’aura di inviolabilità di Roma.

Il sacco di Roma ebbe anche conseguenza politiche immediate, come la sollevazione antimedicea a Firenze con la nuova cacciata dei Medici l’instaurazione di una Repubblica.

Solo all’inizio di dicembre il papa riuscì a fuggire a Orvieto ritrovando una parvenza di autorità.

L’evacuazione definitiva dei soldati da Roma si ebbe solo nel febbraio 1528.

Per capire la posizione che i pontefici ritenevano di ricoprire nei confronti della cristianità e delle altre potenze alla vigilia del Sacco di Roma occorre tornare a un’opera progettata da Raffaello ed eseguita dai suoi allievi, cioè la Sala di Costantino (figg. 3-9).

Uno dei primi atti del pontificato di Clemente VII fu quello di ordinare il compimento della Sala di Costantino o dei Papi. Ognuna delle stanze vaticane è ricca di allusioni all’attualità politica tramite l’inserimento dei ritratti dei pontefici; quella di Eliodoro mostrava interventi miracolosi della divinità a favore della Chiesa connessi agli eventi del 1511-12, cioè il contrasto con re Luigi XIII e la convocazione del conciliabolo di Pisa del 1511. Nella Stanza dell’Incendio si riaffermava il predominio del papato sui Principi: il prestigio dei due papi di epoca carolingia viene trasmesso al suo successore omonimo papa Leone.

La stanza di Costantino fu concepita sotto Leone X e prima della morte di Raffaello; dall’estate del 1520 i lavori furono assunti da Giulio Romano a cui si devono i troni con i papi accompagnati dalle virtù. I lavori si interruppero fra 1521 e 1523, cioè durante il pontificato di Adriano VI, un papa olandese austero e grigio, che detestava l’arte profanizzante e magniloquente voluta dai suoi predecessori. Ripresi i lavori furono conclusi nell’autunno del 1524 quando Giulio romano parte per Mantova.

Nella sala vediamo le figure di otto pontefici inquadrati da virtù e 4 scene raffiguranti episodi storici raffigurate come dentro finti arazzi appesi alle pareti. Le scene raffigurano storie dell’imperatore Costantino e cioè:

L’Allocuzione alle truppe e la visione della Croce (fig. 8) e la Battaglia di Ponte Milvio (fig. 5) che attestano l’azione e trionfo di Costantino sui nemici non cristiani ottenuta con l’aiuto divino; poi il Battesimo di Costantino (fig. 6) e la Donazione della città di Roma a San Silvestro (fig. 7) dove viene ribadito il ruolo del papa di fronte all’imperatore, sottomesso all’autorità spirituale del pontefice.

Il tema generale è quindi la rivendicazione della legittimità delle pretese di dominio del papa sia sull’imperatore (rappresentato da Costantino) che sulla città di Roma. Quelle pretese vennero negate dal Sacco del 1527. Per questo qui compaiono sotto le sembianze fra i pontefici da Pietro a Silvestro I anche Leone X e Clemente VII (fig. 9) eccezionalmente raffigurato due volte, una imberbe e una con la barba come l’ha raffigurato Sebastiano del Piombo intorno al 1532 (fig. 13, Sebastiano del Piombo, ritratto di Clemente VII con la barba).

Lo stile degli affreschi della Sala di Costantino risulta improntato a un effetto di dispersione e terribilità che si allontana molto dallo stile di Raffaello, anche da quello tragico e dinamico della Trasfigurazione. Moltissime sono le citazioni antiquarie da edifici di Roma. L’imperatore appare per due volte in atteggiamento di rispetto sia dinanzi al pontefice che lo battezza che dinanzi al vescovo di Roma che riceve la donazione (figg. 6-7).

In origine il programma di Leone X non prevedeva il Battestimo e la Donazione. Sappiamo da una lettera di Sebastiano del Piombo che inizialmente si volevano raffigurare una presentazione di prigionieri all’imperatore e i preparativi per il bagno di sangue. Temi che esaltavano la liberalità dell’imperatore. Il tema cambiò completamente sotto Clemente VII.

Il Battesimo fu realizzato però ancora nel 1520-21, mentre la Donazione dovette essere realizzata dopo; dal punto di vista storico la donazione di Costantino, cioè l’atto con cui l’imperatore avrebbe conferito al papa il potere temporale sullo stato della Chiesa, era stato dimostrato come un documento falso da Lorenzo Valla nel ’400 e divenne oggetto di critica feroce da parte dei Luterani, a dimostrazione della falsità del potere papale tout court. Questa stanza fu eseguita nel 1523-34.

Il papa reagiva con le immagini agli attacchi luterani che proprio delle immagini avevano fatto un loro strumento di efficace battaglia contro la Chiesa di Roma: caricature e figure satiriche avevano conquistato le masse alle idee luterane. Questa azione di attacco alla chiesa fatta con l’ausilio delle immagini riprendeva esattamente gli stessi temi del pensiero romano, ma capovolti: al dogma della natura provvidenziale della Città e della natura divina del potere pontificio si contrapponevano quelli di Roma-Babilonia e del papa-Anticristo.

Intorno al 1520 qualsiasi allusione al papa di Roma al di là delle Alpi era negativa; soprattutto il rituale papale veniva esplicitamente dileggiato (vedi per es. le incisioni di Lucas Cranach del Passional Christi und Antichristi del 1521; grazie alle incisioni di Cranach e al loro simbolismo semplificato il libro divenne il messaggio popolare per eccellenza. Il libello comprendeva 13

raffigurazioni contrapposte del Bene e del Male, il primo incarnato dal Cristo dei Vangeli, il secondo dal papa, commentate soltanto da un passo delle Scritture in tedesco.

Per es. alla Lavanda dei Piedi si contrappone il bacio del piede papale (slide 1), oppure il papa esercita il potere temporale mentre Cristo rifiuta la corona. Alla fine di questa continua contrapposizione fra Cristo e il papa, Cristo ascende al cielo mentre il papa viene gettato nell’inferno (slide 2): il papa- Anticristo assume le fattezze di Leone X. Insomma è una specie di confutazione totale della dottrina espressa nelle Stanze Vaticane: la conclusione della Stanza di Costantino, nel 1524, con la sua affermazione della legittimità del potere temporale e la sua trionfale insistenza sulle virtù del papa è da considerare la risposta dottrinale di Roma all’attacco dei luterani.

La campagna attraverso le stampe divenne sempre più massiccia; oltre alla Satira si diffondono fogli illustranti l’Apocalisse che alludono a un senso di catastrofe imminente.

Nel 1522 esce la Bibbia tedesca tradotta da Lutero (detta September testament); la accompagnano illustrazioni della sola Apocalisse con temi chiaramente antiromani.

Fra questi assume particolare pregnanza quello che Andrè Chastel ha definito il “contromito di Roma-Babilonia” che viene contrapposto al mito rinascimentale della Roma eterna e universale, che aveva recuperato la grandezza della città imperiale sotto i papi. Il bersaglio dell’odio e delle critiche erano sia il papato che la stessa città in quanto simbolo di quel potere. Roma è la città del male, la nuova Babilonia guidata dall’Anticristo e come tale destinata giustamente alla distruzione. Si tratta di una denuncia globale di un odio in certo qual modo metafisico ispirato dall’immagine di Roma.

Tutto questo avviene in un clima in cui si intensifica la credenza nei pronostici e nel prossimo avvento dell’Anticristo. Si moltiplicano gli annunzi catastrofici: le due ossessioni ricorrenti erano la fine del mondo e la distruzione di Roma e del papato. Così mentre la dottrina ostentata dal pensiero ufficiale della Chiesa da Giulio II a Clemente VII proclamava l’invulnerabilità della città pontificia tutto sembrava condurre Roma verso la catastrofe. Chastel ha osservato come questa credenza popolare fosse penetrata fortemente presso le popolazioni sia in Germania che in Italia. Per i Luterani, dal punto di vista religioso, il saccheggio simbolico di Roma diventava un’operazione indispensabile per il rinnovarsi della fede cristiana. Nella xilografia di Cranach che accompagna la Bibbia tedesca di Lutero la scena della distruzione di Babilonia utilizza l’immagine di Roma del Liber Chronicarum di Hartmann Schedel, un testo molto popolare a fine ’400 (vedi slide 3).

Il Sacco di Roma fu quindi il risultato di eventi politici e di fenomeni sociali e culturali e si tradusse in una catastrofe per l’arte romana. Durante i restauri delle Stanze di Raffaello negli anni ’50 e ’60 del ’900 furono reperiti numerosi graffiti e segni di sfregio. Gli armadi intarsiati della stanza della segnatura vennero presumibilmente bruciati.

In generale il Sacco comportò una notevole movimentazione delle opere d’arte; molte venivano vendute per far fronte alle taglie che i soldati chiedevano alla popolazione rimasta in città. Ci furono distruzioni di libri, particolarmente biasimate dagli umanisti. E poi atti sacrileghi nei santuari, tali da colpire in modo particolare l’immaginario collettivo.

La maggiore opera di sottrazione di opere d’arte durante il sacco fu il furto degli arazzi di Leone X su disegni di Raffaello. All’ingresso in città fu ucciso subito il capo dei Lanzichenecchi, il connestabile Carlo di Borbone, un evento che rimase impresso nella memoria: i suoi funerali si celebrarono nella Sistina con gli arazzi al loro posto. Qualcuno ha osservato che quella fu l’ultima volta in cui vennero visti al loro posto. Il modo in cui tornarono al Vaticano furono spesso rocamboleschi. Per esempio i due arazzi con la Conversione di Saulo e La predica di San Paolo all’Aeropago furono acquistati da Isabella d’Este grazie alla mediazione del figlio Ferrante, capitano dell’esercito imperiale; imbarcati su una nave insieme ad altri suoi beni furono depredati da pirati; nel 1528 sono documentati a Venezia nella collezione Grimani; infine furono acquistati a Costantinopoli dal conestabile Henry de Montmorency e restituiti al Vaticano nel 1554.

Molti i pezzi archeologici danneggiati o venduti, ma furono soprattutto le reliquie e gli oggetti liturgici ad essere oggetto di profanazione e distruzione. L’odio contro le reliquie nasceva

dall’attacco massiccio che i protestanti avevano fatto fin da subito contro questo culto che assumeva aspetti ritenuti idolatrici; un attacco che univa le reliquie alle immagini. Il sacco di Roma divenne per tutti gli iconoclasti una prova che la protezione divina non riguardava le immagini.

Documenti correlati