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R.: Quel saggio di Mill, pubblicato nel 1859, nasceva in continuità al saggio Sulla democrazia in America di Tocqueville, poiché Mill era

Nel documento DIRITTI E DOVERI OLTRE L'EMERGENZA? (pagine 160-165)

piuttosto preoccupato delle possibili derive della “tirannia della maggioranza”. Mill scriveva nell’Ottocento, ma faceva molti riferimenti al Settecento, prendeva atto di una avvenuta

“laicizzazione” del diritto e dei sistemi politici, ma continuava a sottolineare la non democraticità di un sistema che prevedesse sovrani non legittimati dal popolo. Da qui nasce la sua idea di “limite” al potere. Ma Mill non vuole neanche cadere nell’illusione di Rousseau,

pensando che basti dare il potere al popolo di decidere i propri governanti per avere una società democratica, questo anzi rischia di dare troppo potere ad una maggioranza, a scapito di chi non è d’accordo o è estraneo a quella maggioranza. Il rischio, secondo Mill, è quello di mitizzare l’eguaglianza, scambiandola per omologazione, in cui chiunque si distingue, chiunque pretende di non seguire quelli che sono i valori dominanti, i costumi dominanti verrebbe in qualche modo forzato dalla maggiorana conformarsi a quei valori.

Ecco perché, in maniera un po’ frettolosa, Mill viene presentato come colui che preferisce la libertà all’eguaglianza. In questo si vede l’influenza del Romanticismo su Mill, quell’idea che ogni individuo porta dentro di se un’individualità e che deve cercare di esprimere questa individualità realizzando se stesso, purché non danneggi altri.

Da qui nasce la tesi più famosa di Mill, il cosiddetto Principio del danno – o meglio Principio del danno ad altri o Principio del danno a terzi -.

Lo Stato può usare la forza coercitiva e dunque limitare la libertà, unicamente per impedire che una persona agendo rechi danno ad altre persone. Dunque i limiti alla libertà possono avere esclusivamente questo obiettivo: Mill non dice però che tutte le volte che le nostre azioni creano o potrebbero creare un danno ad altre persone allora lo Stato deve intervenire e limitarle, Mill sostiene che che se c’è il ragionevole sospetto che un certo tipo di condotta possa tradursi in un danno ad altre persone, allora possiamo discutere se valga la pena o meno vietare quella condotta, e nel discutere se valga la pena o meno vietare quella condotta dobbiamo ovviamente bilanciare i danni potenziali che potrebbero derivare da quella condotta, dal permetterla, con i benefici potenziali che dovrebbero derivare da quella condotta.

Sostenere che lo Stato debba intervenire per limitare la libertà tutte le volte che una condotta individuale rischia di produrre un danno per altri soggetti sarebbe una pura assurdità. Pensiamo a tutte le condotte che noi siamo liberi di assumere e che comportano un certo tipo di danno o di rischio per altre persone. Noi sappiamo che molte persone

muoiono in incidenti automobilistici, quindi in realtà guidare l'automobile comporta un qualche rischio per la vita di altre persone.

Ovviamente in un sistema in cui l’uso dell’automobile venisse completamente vietato, risolveremmo il problema delle vittime di incidenti automobilistici, ma ciò non avrebbe alcun senso, perché i vantaggi di permettere l'uso dell’automobile sono tali da bilanciare e superare il rischio. Spesso lo Stato sceglie, correttamente, di

“bilanciare” diritti contrapposti e di raggiungere un equilibrio tra diritti, essendo praticamente impossibile eliminare i rischi, ma soltanto contenerli. Il “contenimento” dei rischi è possibile, secondo Mill, fin tanto che non produce un drastico cambiamento degli stili di vita individuali.

Mill traccia un’analogia tra la libertà individuale di fare cose e la libertà di parola. Il secondo capitolo del Saggio sulla libertà è dedicato proprio alla libertà di parola e Mill sostiene che la ragione migliore che ne abbiamo di difendere la libertà di parole, quindi di eliminare la censura, è l'idea che l'unico modo di arrivare alla verità è quello di permettere il libero scambio delle idee. Se c’è un'opinione che è falsa l'unico modo di smascherarla è quella di permettere che venga espressa e messa in discussione. Mi pare una riflessione quanto mai attuale, in epoca di fake news e opinioni sui social networks.

Mill credeva che, alla fine, il confronto razionale farà prevalere le idee vere. Credo che oggi abbiamo molti motivi di dubitare della verità questa posizione e dell'ottimismo milliano. Mill scriveva nell’Ottocento, quando parlava di libertà assoluta di parola, aveva in mente la discussione tra persone colte intellettuali sui giornali, sui libri… non esisteva internet, non esisteva non gli strumenti di comunicazione che abbiamo oggi quindi non poteva confrontarsi con tutta una serie di problemi quali ad esempio i discorsi d'odio, le fake news con cui oggi noi ci troviamo a confrontarci dato il contesto che nel frattempo è mutato.

Esattamente come la libertà di parola dovrebbe garantire la libera espressione del pensiero, di qualsiasi pensiero, Mill sostiene che anche le azioni individuali dovrebbe essere libera. Dal punto di vitsa di Mill, gli anticonformisti sono coloro che non si adeguano alla cultura dominante, ma vogliono mettere in campo “esperimenti di vita”

alternativa. La maggior parte degli anticonformisti è destinata a fallire miseramente, probabilmente – secondo Mill - ad essere anche molto infelice, ma alcuni potrnno invece scoprire una forma di vita diversa che potrebbe rivelarsi migliore della vita che viene raccomandata come la vita da vivere dalla cultura dominante, quindi in questo senso Mill difende la libertà individuale perché è solo mettendo alla prova forme di vita diverse che possiamo decidere cosa sia la vita buona per un essere umano.

Questa lunga digressione serve a comprendere la questione dei limiti legittimi alla libertà e introduce un tema fondamentale: quello del paternalismo. Lo Stato non può limitare la libertà delle persone per ragioni paternalistiche, cioè non può limitare la libertà delle persone e di agire come vogliono agire al fine di impedire che le persone agendo in quel modo rechino danno a sé stesse. Questo è il paternalismo, cioè l'idea che si possa limitare la libertà delle persone “nel loro stesso interesse”, per difenderle dalle loro stesse azioni. Mill va anche oltre ed esclude anche il cosiddetto moralismo giuridico, cioè l’idea che si possa limitare la libertà delle persone per evitare comportamenti che sebbene non comportano alcun danno per altre persone sono considerati moralmente cattivi o viziosi. Questo è tipico della morale sessuale, che vieta certi tipi di atti sessuali tra adulti consenzienti giudicandoli come immorali.

Tuttora nel mondo gli ordinamenti giuridici sono zeppi di norme che traducono queste norme morali relative alla sessualità in divieti giuridici, questo è il caso tipico di moralismo legislativo e per Mill questo è assolutamente inaccettabile, quindi le uniche ragioni che lo

Stato ha di usare la coercizione è per difendere le persone dai rischi che potrebbero derivare dalla condotta di altre persone.

Però a questo punto, si pone il “dilemma del ponte”, è legittimo l’intervento coercitivo nei confronti di una persona che sta per attraversare un ponte pericolante? Mill risponde che occorre capire se quella persona è consapevole della pericolosità del ponte. Se non lo è, va informata, ma poi va lasciata assolutamente libera di scegliere se proseguire oppure no. La limitazione della libertà deve essere dunque momentanea ed avere come unico obiettivo l’informare la persona del pericolo.

La metafora del ponte richiama alcune pratiche che sono previste da molti ordinamenti giuridici, pensiamo ad esempio a quegli ordinamenti giuridici che prevedono in alcuni casi particolari il ricorso al suicidio assistito, in quegli ordinamenti giuridici non è che immediatamente il medico procede con la somministrazione di una iniezione letale. Non accade ovviamente così, tutti quegli ordinamenti giuridici prevedono delle procedure che sono volte ad accertare che la volontà dell’individuo di sottoporsi al suicidio assistito, quella volontà deve essere stabile nel tempo, consapevole, che non dipenda da forme di disagio che possono essere rimediate in altri modi. Quindi è previsto ad esempio che la persona debba manifestare la propria volontà in momenti di tempo successivi, che debba sottoporsi ad un iter di consultazioni, di colloqui con uno psicologo, però il punto è che alla fine deve essere lasciata libera di fare ciò che vuole, e se a distanza di tempo per mano e la propria volontà di sottoporsi a suicidio. Questo tipo di misure volte ad accertare la consapevolezza e la capacità di scelta di un individuo sono in letteratura chiamate di paternalismo debole o a volte anche antipaternalismo debole, nel senso che sono delle limitazioni della libertà individuale chi però alla fine non impediscono ad una persona di fare ciò che vuole. Ovviamente queste limitazioni possono essere più o meno onerose, quanto più queste procedure sono onerose per il soggetto tanto più il paternalismo non

sarà debole, ma forte. Quindi si tratta di trovare un punto di ragionevolezza.

Nel documento DIRITTI E DOVERI OLTRE L'EMERGENZA? (pagine 160-165)