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2. PREVENZIONE E TERAPIE

2.2. Salute mentale

Ricerche recenti documentano una relazione a doppio senso tra infezione virale e disturbi psichici. Questi ultimi aumentano il rischio di infezione, che a sua volta, aumenta il rischio di disturbi psichici (Pierce et al., 2020).

Dal punto di vista della prevenzione e della terapia, bisogna analizzare se la modifica di uno stato psicologico negativo possa aiutare la prevenzione e la lotta contro l’infezione.

2.2.1. Le relazioni sociali

Essere isolati, con scarsi legami, o sentirsi soli, è probabilmente la condizione psichica più dolorosa e anche più pericolosa per la salute umana. La persona

che si stente sola è in un permanente stato di allerta, ha paura degli altri, del loro giudizio, ha paura di essere rifiutata, si sente in colpa e non ha prospettive.

Secondo alcuni studi relativi agli effetti dell’isolamento sul sistema immunitario umano, l’isolamento e l’esclusione sociale sono associati a un tipico profilo psicologico caratterizzato da ansia, paura di ricevere valutazioni negative da parte degli altri e estrema sensibilità al rifiuto; un forte incremento dei livelli dei marker infiammatori; una notevole reattività del sistema immunitario a fattori stressanti, sia di natura sociale sia di tipo naturale. Quindi, il sistema immunitario delle persone che vivono e si sentono sole, è segnato in senso infiammatorio (Eisenberger et al., 2017).

Anche le persone con disturbi psichiatrici, soprattutto psicotici, hanno un forte aumento del rischio di infettarsi, di ammalarsi e di morire. Le cause sono di tipo sia sociale sia biomedico. Il distanziamento sociale aggrava le difficoltà relazionali già presenti in questi pazienti, che possono avere una scorretta percezione del rischio infettivo e delle misure precauzionali da prendere. Questo si unisce spesso a una ridotta motivazione a prendersi cura di sé, anche dal punto di vista dell’igiene. In queste persone, inoltre, vi è una forte incidenza di dipendenza da fumo, alcol e altre droghe, accanto alla sedentarietà e all’obesità, che si traducono in un aumento del rischio cardio-cerebro-vascolare e di malattie infiammatorie in genere. Alcuni disturbi come depressione, disturbo bipolare e schizofrenia, presentano indici infiammatori ben superiori alla norma, e questi possono essere incrementati ulteriormente dalle condizioni di isolamento sociale.

L’infiammazione fuori controllo è il meccanismo fondamentale che porta alla forma grave della COVID-19, minacciosa per la vita. Un disturbo psicologico più o meno grave, influenza il sistema immunitario attraverso le vie di collegamento endocrine, nervose e linfatiche.

2.2.2. Lo stress e l’immunità

Lo stress, come Seyle ha ripetutamente ricordato nelle sue opere, è l’essenza della vita, perché la risposta di stress è attivata da tutti i fattori fondamentali dell’ambiente esterno e interno all’organismo, e al tempo stesso, consente di affrontare con le opportune risorse quegli stessi eventi, definiti stressor.

La risposta di stress, sul piano fisiologico, è attivata sia da fattori fisici ambientali (caldo, freddo, umidità, secchezza, vento, rumore, inquinamento) sia da fattori

endogeni fisiologici (riduzione pressione arteriosa e stato di idratazione e nutrizione dell’organismo) sia da fattori endogeni allarmanti (infezione o emorragia) sia da fattori emozionali e cognitivi, sia, infine, da stati dell’organismo (infiammazione cronica). La risposta di stress si fonda su alcuni circuiti che possono essere attivati singolarmente o tutti insieme, a seconda del tipo e dell’entità dello stressor. Il nucleo ipotalamico paraventricolare (PVN) è la struttura cerebrale che attiva la risposta di stress. A seconda del tipo di stressor, vengono attivati i singoli o anche tutti i settori del PVN. Le vie che portano stress emozionali al PVN, attivando la complessa risposta di stress, provengono dalle cortecce, dall’ippocampo e dall’amigdala. La risposta di stress ha come esito finale il rilascio di cortisolo e di catecolamine (adrenalina soprattutto, noradrenalina e dopamina, poca), sostanze che hanno effetti rilevanti sul cervello medesimo, sull’immunità e sui sistemi metabolici.

Lo stress, quindi, è una risposta fisiologica dell’organismo, multisistemica e integrata a qualsiasi esigenza (di natura biologica, come nel caso di un’infezione virale e di natura mentale, sia emotiva sia cognitiva). Una risposta che nel breve periodo (stress acuto) promuove fenomeni dinamici di adattamento dell’organismo alle più svariate condizioni ambientali, ma che, se si verifica troppo frequentemente e/o per lunghi periodi (stress cronico), può avere effetti disfunzionali di lunga durata, con deviazioni dei livelli di operatività dei diversi sistemi biologici (nervoso, immunitario, endocrino e metabolico) e conseguenze patologiche su vari organi e apparati. Uno stress acuto, dunque, ha un effetto attivante delle cellule immunitarie, mentre una condizione di stress cronico ha effetti di squilibrio dell’immunità, con aumento dei marker infiammatori (McEwen et al., 2016).

Pertanto, il legame che unisce condizione psicologica, disregolazione immunitaria e stato infiammatorio, il quale a sua volta peggiora il quadro psicologico in un circolo patologico deleterio, è ormai sufficientemente chiaro da un punto di vista biologico. Questo ci permette di comprendere quanto sia fragile questo equilibrio se intercorrono fattori ambientali improvvisi e distruttivi, come la pandemia, e quanto sia a rischio la popolazione anziana, dove la depressione da isolamento sociale e da condizione esistenziale raggiunge percentuali superiori alla media (Bottaccioli et al., 2019).

Dato che lo stress psicosociale è un potente regolatore dell’infiammazione a livello sia centrale sia periferico, a loro volta, i fattori infiammatori sistemici possono retroagire sul sistema nervoso centrale e aumentare la reattività di strutture corticali e sottocorticali legate allo stress. Queste modificazioni influenzano profondamente le funzioni cognitive e il comportamento sociale: da una parte rendono il soggetto più fragile e sensibile alle minacce sociali, dall’altra rafforzano comportamenti di approccio verso figure di supporto, cercando quindi aiuto e protezione (Eisenberger et al., 2017).

2.2.3. Il sostegno sociale e gli interventi psicologici

L’essere umano cerca supporto spontaneamente, in particolare quello dei propri cari e, soprattutto, quando non sta bene. Uno studio prospettico ha documentato una riduzione significativa della mortalità nelle persone che dichiaravano di ricevere supporto dal proprio coniuge e che avevano una rete di amicizie non eccessivamente grande ma stabile (Bekofsky, et al., 2015). La percezione dell’aiuto mette in atto un contesto di suggestioni positive, centrate sulla protezione, cui la psiche umana è particolarmente sensibile, come dimostrano le ricerche sull’effetto placebo, che altro non è che il frutto delle aspettative della persona (Benedetti, 2012). Le aspettative positive, però, non riguardano solo chi riceve aiuto: anche il cervello di chi lo fornisce ha una significativa gratificazione, riducendo l’attivazione delle aree cerebrali dello stress e aumentando quelle della gratificazione, come dimostrano studi realizzati con la risonanza magnetica funzionale (Inagaki et al., 2016).

Ci sono numerose evidenze che la psicoterapia e le terapie mente-corpo, in particolare la meditazione, migliorano lo stato psicologico di persone affette da ansia e depressione e da altri disturbi psichiatrici. Le diverse forme di psicoterapia hanno effetti significativi e duraturi per un’ampia gamma di patologie, equiparabili o superiori a quelli dei farmaci, ma con effetti collaterali minori e con una riduzione delle spese sanitarie. Questo comporta meno dolore per le persone e meno soldi spesi per le casse pubbliche (American Psychological Association, 2013).

Per capire quanto è rilevante l’efficacia delle psicoterapie, si usa, in statistica, il parametro dell’effect size (ES), che se è 0.2-0.3 è decisamente scarso, se varia da 0.4 a 0.6 è significativo, sebbene moderato, e al di sopra di tale soglia l’effetto è importante. I risultati di numerose meta-analisi che hanno utilizzato l’efficacia

della psicoterapia nei diversi disturbi documentano che tutti gli interventi psicoterapeutici presi in esame hanno un ES che va da un minimo di 0.6 a un massimo di 1.8. Sono quindi molto efficaci, a differenza di quelli farmacologici, che mediamente hanno un ES minore, con la sola eccezione della schizofrenia, dove il farmaco ha una efficacia maggiore. Ma se per quest’ultima si applica una terapia integrata (psicoterapia in aggiunta a farmacoterapia), l’efficacia risulta nettamente superiore alla sola farmacoterapia (Lazzari, 2019). Quando una psicoterapia funziona, migliora anche lo stato infiammatorio che è frequentemente connesso ai disturbi psichiatrici, soprattutto alla depressione (Lopresti, 2017).

Studi condotti negli ultimi decenni hanno dimostrato che le tecniche mente-corpo, tra cui meditazione, yoga, tai chi e qi gong, basate su antiche tradizioni, rappresentano oggi pratiche efficaci per contrastare gli effetti dello stress sul sistema immunitario grazie alla modulazione delle aree cerebrali coinvolte nel controllo della risposta di stress, aumentando l’attività del parasimpatico e riducendo la scarica simpatica, riducendo di conseguenza lo stato infiammatorio (Bower e Irwin, 2016).

Si può quindi affermare che i diversi tipi di intervento, dal sostegno sociale alla psicoterapia, fino alle diverse tecniche mente-corpo, possono essere strumenti preziosi a tutti i livelli: preventivo, curativo domiciliare e ospedaliero, riabilitativo.

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