Tipologie di scaffold 2.1 Introduzione
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Figura 2.13- Sezione trasversale delle protesi 5 mesi dopo l'impianto.
Figura 2.14- Organizzazione dell'intima. Si notino le cellule appiattite sulla superficie luminale. Nella immagine a destra sono ben evidenti i componenti elastici.
Infine l'ABAT ha presentato anche buone proprietà meccaniche: le analisi hanno dimostrato che il diametro rimane costante e dunque l'innesto resta stabile durante la fase di integrazione con l'ambiente fisiologico.
In conclusione questa protesi possiede numerosi vantaggi: promuove la produzione di elastina, permette l'endotelializzazione della superficie luminale e consente in generale la crescita di tessuto; è biodegradabile e biocompatibile e presenta buone proprietà meccaniche.
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2.3.1 Dacron
Dacron è uno dei nomi commerciali del PET (polietilene tereftalato), polimero termoplastico appartenente alla famiglia dei poliesteri. Si ricordi che per polimero termoplastico si intende un polimero lineare composto da catene unite da legami deboli,
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__________________________________________________________________________ quali quelli ad idrogeno e forze di Van der Waals. Vista la natura dei legami che tengono assieme le catene, se si fornisce sufficiente energia termica al polimero, il materiale fonde a causa del distacco delle catene stesse. Nello specifico il PET fonde alla temperatura di 270 °C.
Il Dacron è dunque resistente, deformabile e biostabile ed è presente in diverse forme; trova utilizzo nella chirurgia cardiovascolare per realizzare protesi vascolari di largo diametro, per suture arteriali e per la costruzione di anelli valvolari. Il PET viene solitamente trasformato in fibre, a partire da sue macromolecole lineari con un peso medio di circa 20000 Da. Si parte dunque da grani di poliestere, che vengono tramutati in filamenti molto sottili tramite filatura e successivamente riuniti per formare una fibra multifilamento. Il trattamento a cui i filamenti sono sottoposti influisce direttamente sulle proprietà meccaniche finali della fibra e quindi del materiale. Se infatti il Dacron viene tirato ed allungato a lunghezze superiori di quella iniziale per più volte, le catene polimeriche si orientano in modo tale da conferire alla fibra una certa resistenza a rottura oltre che una certa rigidità ed conseguente stabilità dimensionale. Inoltre il PET possiede buona inerzia chimica, per cui non viene aggredito dalla maggior parte dei composti chimici, ed una buona idrofobicità, cosicché di solito si evitano fenomeni di degradazione per idrolisi delle fibre. Un ulteriore aspetto positivo di questo polimero è che, al contrario di altri, può essere sterilizzato sia in autoclave a vapore, sia con ossido di etilene o con raggi gamma ma in ogni caso non viene degradato da tali processi.
Come anticipato, il Dacron viene ottenuto per tessitura e le due principali tipologie fondamentali utilizzate sono quella woven (Figura 2.15) e quella knitted, quest'ultima distinta a sua volta in weft (Figura 2.16) e warp knitted (Figura 2.16).
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Figura 2.16- Tessitura weft knitted (sinistra) e warp knitted (destra).
Nella tessitura woven le fibre vengono intrecciate in modo tale da risultare perpendicolari tra loro. Questa disposizione permette di ottenere un materiale che presenta grande stabilità e resistenza nelle direzioni delle fibre. Nel momento dell'innesto della protesi in Dacron la si dispone dunque in modo da far coincidere una delle direzioni delle fibre con l'asse principale di carico della protesi; ciò significa che l'impianto risponderà in maniera adeguata alla maggior parte delle sollecitazioni che esso deve comunemente subire nel sito d'innesto. Il Dacron ottenuto con tessitura woven però ha una bassa porosità che, nonostante possa essere controllata con la tecnologia tessile, comporta elevata rigidità con conseguente facilità di calcificazione. Si instaura così un cattivo accoppiamento tra vaso naturale e sintetico, che può portare al fallimento dell'anastomosi (sutura chirurgica).
La tessitura knitted invece realizza una struttura in cui le fibre non sono tese come nel caso precedente, bensì risultano soggette a continue curvature. Come conseguenza la stabilità dimensionale diminuisce ma la porosità aumenta, ed è sia un vantaggio in quanto a tale caratteristica è legata la capacità di integrazione della protesi, sia un problema per le perdite ematiche. Si ricorda infatti che per porosità si intende la permeabilità della protesi vascolare al sangue e si misura con prove di permeabilità all'acqua. Da tali esperimenti si formula una classificazione in base alla quale poter definire il grado di porosità di un materiale. Si considera non poroso un tessuto che, sotto un flusso d'acqua con una pressione di 120 mmHg, lascia passare meno di 300 cm3 d'acqua in un minuto per centimetro quadrato di tessuto.
Nello specifico, il Dacron weft knitted e quello warp knitted si differenziano per il fatto che nel primo le fibre sono tessute in direzione circonferenziale nella protesi, mentre nella tessitura warp le fibre sono tessute secondo la direzione longitudinale. In quest'ultima tipologia inoltre le connessioni e le curvature delle fibre sono quantitativamente maggiori. Storicamente, le prime protesi vascolari in Dacron che vennero realizzate erano state ottenute mediante tessitura weft (Weinberg e Bell); già nel momento della preparazione
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__________________________________________________________________________ sorsero però delle complicazioni. Infatti, quando la protesi viene tagliata per adattarla al sito in cui dev'essere installata, essa può smagliarsi a seconda del tipo di taglio effettuato; questo fenomeno aumenta nel caso in cui la protesi venga tagliata non perpendicolarmente al suo asse. Un secondo problema consiste nella scarsa stabilità dimensionale.
Per quanto concerne invece le protesi in warp knitted Dacron, grazie al maggior numero di connessioni e curvature delle fibre, esse possiedono una notevole stabilità dimensionale ed una maggiore resistenza alla smagliatura.
In generale il knitted Dacron viene impregnato con albumina, collagene o gelatina per aumentarne la stabilità meccanica, modificarne la porosità/permeabilità e non rendere necessaria la precoagulazione del sangue prima dell'impianto. Infatti la porosità delle protesi di questo tipo può determinare una fuoriuscita del sangue. Per ovviare al problema, si bagnano gli impianti con il sangue dei pazienti che dovranno ospitarli. Questo conduce a due conseguenze: il sangue coagula all'interno delle porosità del tessuto rendendolo impermeabile, e si rende emocompatibile la superficie interna della protesi. Inoltre, recentemente si ingloba negli impianti knitted una rifinitura in velluto che induce le catene del materiale ad orientarsi perpendicolarmente alla superficie del tessuto; in questo modo si aumenta l'ancoraggio della fibrina e delle cellule e dunque si incoraggia la rigenerazione tessutale.
Un ulteriore trattamento al quale il Dacron è sottoposto è il corrugamento (Figura 2.17), che può essere circolare o a spirale; esso consente di aumentare l'elasticità e la flessibilità del graft. Senza tale trattamento la protesi, in seguito ad una flessione, tende ad occludersi. Inoltre attraverso il corrugamento si rende l'impianto più adatto alle variazioni di lunghezza: si riducono notevolmente le sollecitazioni delle suture con il condotto vascolare naturale.
Figura 2.17- Effetto del corrugamento. Nella figura a è raffigurata la protesi non corrugata, che se curvata tende ad occludersi (c), mentre quella corrugata (b) consente di essere curvata senza alcuna occlusione (d).
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__________________________________________________________________________ primo processo al quale si assiste è quello di adsorbimento/desorbimento delle proteine plasmatiche da parte della superficie dell'impianto. Successivamente eritrociti e globuli bianchi aderiscono al graft, le piastrine si depositano sulla sua superficie e, nel migliore dei casi, avviene la migrazione delle cellule dell'endotelio e del muscolo liscio. Non è infatti comune, se non in qualche studio animale, la ricrescita di un tessuto endoteliale e muscolare ben sviluppato. Il deposito di fibrina poi inizia poche ore dopo l'innesto e si stabilizza attorno ai 18 mesi, dopo i quali se ne può osservare un compatto strato che si è diffuso anche negli interstizi della protesi. Dopo 5 mesi compaiono anche capillari e fibroblasti, mentre nella matrice extracellulare che circonda il graft si nota la presenza dei macrofagi e di tessuto granulare. A causa però dello spesso strato di fibrina che è da considerarsi come una specie di barriera, i capillari rimangono disconnessi dalla superficie scarsamente endotelializzata.
2.3.2 Studio sul Dacron
Come già visto, uno dei principali svantaggi mostrati dal Dacron è la scarsa ricrescita di tessuto endoteliale sulla sua superficie. In questo studio si vuole proporre una soluzione al problema, cercando di accelerare l'endotelializzazione sul PET. La ricerca è stata condotta da Vishwanath Bhattacharya et al. nel 2000. Si persegue l'obbiettivo suddetto utilizzando particolari cellule dalle quali derivano quelle del midollo osseo e che hanno sulla loro superficie l'antigene CD34 (cellule CD34+), ed uno scaffold composito. L'impianto è stato poi effettuato nell'aorta toracica discendente di cane (Figura 1.30 B). Lo studio è stato condotto da Vishwanath Bhattacharya, Peter A. McSweeney, Qun Shi, Benedetto Bruno, Atsushi Ishida, Richard Nash, Rainer F. Storb, Lester R. Sauvage, William P. Hammond, and Moses Hong-De Wu.
In questa sede si descrivono la preparazione dello scaffold ed i risultati ottenuti al termine della sperimentazione.
Come anticipato, il supporto per la semina delle cellule CD34+ non è composto esclusivamente da PET, ma è questo materiale che vi si trova in prevalenza. Si tratta infatti di un impianto in cui si è unito un condotto di 8 mm di diametro e 4 cm di lunghezza realizzato in PET knitted corrugato, con alle estremità due segmenti della stessa lunghezza e dello stesso diametro ma in ePTFE (politetrafluoroetilene espanso). Il tutto è stato rivestito con della gomma siliconica, lasciando uno spazio tra lo strato esterno e la parte interna in Dacron (Figura 2.18 A).
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Figura 2.18- Struttura del graft composito (A). Impianto nel modello canino (B).
La parte centrale di Dacron è proprio quella che è stata interessata dalla semina delle cellule. Il metodo utilizzato per la preparazione dello scaffold consta di 4 passaggi e prevede la coagulazione preimpianto. In primo luogo è stata mescolata una sospensione di 1 mL di cellule CD34+ con sangue venoso periferico proveniente dalla cavia ed è poi stata iniettata all'interno del condotto protesico e nello spazio tra parte in Dacron e rivestimento di silicone. Per permettere che tutto il vaso fosse impregnato di tale composto, si è fatto ruotare il graft per circa 5 minuti. Nei due seguenti passaggi, dopo aver ripulito il condotto da eventuali residui in eccesso dallo step precedente, si sono inseriti dentro al lume 5 mL di sangue venoso periferico, cosicché si è formato un coagulo di fibrina sia sulle pareti che sulla superficie del vaso in Dacron. Nel quarto ed ultimo passaggio si è unita la sospensione di sangue e cellule CD34+ rimaste dal primo step con 5 mL di sangue contenente eparina (4 mL di sangue ed 1 mL di eparina). Iniettando il tutto all'interno della protesi si induce una diminuzione della trombogenicità, prevenendo fenomeni di rigetto quando, una volta innestato, il graft entrerà a contatto col sangue dell'ospite. Lo scaffold così preparato è stato successivamente conservato in una struttura spugnosa umida per circa 20 minuti a temperatura ambiente. Oltre agli innesti così preparati, si sono utilizzati anche graft di controllo, i quali sono invece stati trattati solamente con sangue venoso.
Gli impianti sono dunque stati inseriti all'interno di 10 cani e le analisi post-impianto sono state effettuate 4 settimane dopo l'intervento chirurgico. A tal punto non sono stati riscontrati fenomeni di degradazione o di infezione, il graft è ricoperto da tessuto pleurico e nello spazio tra la parete di PET ed il rivestimento di silicone è stato evidenziato un coagulo di sangue. Inoltre, sebbene ad occhio nudo i graft seminati con le CD34+ e quelli di controllo sembrassero uguali, si è visto che ci sono invece differenze relative al tessuto che vi si era formato sopra. In effetti, per quanto concerne gli impianti seminati, essi presentavano uno strato di neointima spessa 174 ± 53 µm e costituita da cellule endoteliali ed infiammatorie. Al contrario, sulla maggior parte dei graft di controllo si è osservata una neointima spessa 124 ± 94 µm composta da coagulo di fibrina, macrofagi, neutrofili, globuli rossi e cellule
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__________________________________________________________________________ giganti. Sia nel caso delle protesi seminate con le CD34+ che nelle altre si è poi osservato che nello spazio tra parete e silicone si formava uno strato di fibrina con all'interno globuli rossi e cellule infiammatorie.
Una grande differenza tra le due tipologie di graft invece si è riscontrata relativamente all'angiogenesi. In effetti, negli impianti seminati si è notata la formazione di microvasi sanguigni nella neoimtima, nelle pareti del condotto e nello spazio parete-gomma siliconica. In quest’ultimo punto i microvasi risultano più grandi, mentre più sottili quelli formatisi nella neointima e nello spazio intraparietale. Tali capillari di diverse forme e dimensioni hanno pure mostrato la tendenza a collegarsi tra di loro (Figura 2.19), superando il problema precedentemente esposto per cui a causa dello strato di fibrina che si crea nel condotto tali vasi rimangono sconnessi. Nelle protesi di controllo sono molto meno numerosi invece questi capillari. Infine in entrambi i casi non sono stati evidenziati osteociti, osteoblasti o in generale fenomeni di microcalcificazione 4 settimane dopo l'impianto.
Si può così concludere che, almeno in un modello canino, l'endotelializzazione e la formazione di microvasi sanguigni in una protesi vascolare può essere raggiunta seminando le cellule CD34+ su di un supporto composto in prevalenza di Dacron.
Figura 2.19- Formazione di microvasi nei graft seminati. (A) Nella neointima e nello spazio esterno del graft (×75). (B) Microvaso (freccia) e microvaso attraverso la parete del graft (punte delle frecce) (×75). (C) Zoom dell'area in B (punte delle frecce) (×300).
2.3.3 Teflon
Il Teflon è il polimero del tetrafluoroetilene e l'altro nome con il quale viene identificato è infatti politetrafluoroetilene (PTFE). Esso è il più importante ed utilizzato tra i polimeri a base di fluoro e carbonio, tra i quali si ricordano anche il politetrafluorocloroetilene (PTFCE), il polivinilfluoruro (PVF) ed il copolimero etilene-propilene perfluorato (FEP). Nessuno di questi però possiede le caratteristiche del PTFE: eccellente inerzia chimica,
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__________________________________________________________________________ insolubilità in acqua o altri solventi organici, eccellenti proprietà dielettriche, stabilità meccanica, elevata temperatura di rammollimento (342 °C), antiaderenza e proprietà autolubrificanti.
Il metodo utilizzato per produrre componenti in Teflon è molto simile a quello usato per la metallurgia delle polveri. Si parte da una miscela di polveri di Teflon mescolate con un lubrificante quale ad esempio la nafta; si modella poi la geometria voluta mediante uno stampo ed una volta ottenuta, si esegue un riscaldamento fino ad una temperatura superiore a quella di rammollimento, compattando dunque le polveri attraverso una specie di sinterizzazione. Infine, a seconda del grado di cristallinità desiderato, si esegue un raffreddamento a velocità controllata. Il grado di cristallinità dipende sia dalla struttura dei componenti del polimero, sia dalla “storia” meccanica e termica dello stesso. Il tipo di lavorazione e le temperature raggiunte influiscono dunque sulla struttura del Teflon, e di conseguenza sulle sue proprietà fisico-meccaniche.
In genere il PTFE viene utilizzato nella sua forma non porosa per applicazioni quali tenute, elementi antifrizione, rivestimenti antiaderenti; si può però anche ottenere Teflon poroso, attraverso tecniche con cui si formano fibre, che vengono in seguito lavorate analogamente a quanto mostrato per il Dacron.
A partire dal Teflon, verso la metà degli anni '60 si è sviluppato il politetrafluoroetilene espanso (ePTFE), denominato anche Gore-Tex. Esso ha trovato applicazione nell'ambito delle protesi vascolari nella seconda metà degli anni '70.
L' ePTFE si ottiene con uno speciale processo di stiramento ad alta temperatura che genera nodi di PTFE interconnessi da sottili fibrille altamente orientate (Figura 2.20).
Figura 2.20- Struttura dell' ePTFE (Gore-Tex).
Il Gore-Tex dunque è un polimero poroso non degradabile con una superficie elettronegativa, la quale limita le reazioni con i componenti del sangue. Esso risulta essere biostabile, infatti ha una minor tendenza, ad esempio, a deteriorarsi in ambiente biologico rispetto al PTFE. In genere comunque il comportamento che esso ha in ambiente biologico è
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__________________________________________________________________________ influenzato dal tipo di lavorazione a cui è sottoposto.
Il grado di porosità viene misurato in base alla distanza tra i nodi di PTFE (IND =
internodal distance), che può variare dai 30 ai 90 µm. Sono state prodotte varianti di graft in
ePTFE di diversa porosità e tra queste in particolare se ne ricorda una innestata in alcuni babbuini (Golden et al. 1990). Si trattava di innesti di 4 mm ad alta porosità (IND di 60 µm) e su di essi si notò la ricrescita di endotelio sulla superficie luminale. Un esperimento compiuto poi sull'uomo, utilizzando sempre graft in ePTFE ad alta porosità, ha evidenziato come esso induca la formazione di capillari, sebbene questi non si siano espansi per tutto lo spessore della parete e non fosse presente uno strato interno di endotelio.
Considerando ora invece il ePTFE a bassa porosità (IND ≤ 30 µm) non si sono riscontrate differenze rispetto agli impianti realizzati in Dacron. Anche le risposte dell'ambiente fisiologico umano infatti sono simili per entrambi i tipi di graft: dopo l'impianto si nota la mancanza di strato endoteliale sulla superficie interna del lume, si sviluppa un coagulo di fibrina o un materiale amorfo ricco di piastrine e tra 1 e 6 mesi una matrice esterna di collagene che si infiltra all'interno della protesi.
2.3.4 Studio sull'ePTFE
Qui di seguito si illustra uno studio condotto per valutare la biostabilità di un impianto in politetrafluoroetilene espanso altamente poroso. Lo studio qui esposto è stato condotto da Mitsuhiro Isaka et al. nel 2006. In esperimenti precedenti si è dimostrato che maggiore era la porosità del materiale, migliore era l'integrazione dello stesso con l'ambiente fisiologico. Lo svantaggio accertato però era che un impianto caratterizzato da alta porosità risultava anche fragile e quindi non utilizzabile clinicamente. Nel presente studio dunque si è realizzato un graft altamente poroso, ma biocompatibile e con la capacità di integrarsi nei tessuti dell'ospite. L’innesto è stato inserito nell'aorta addominale di undici cani di razza beagle di entrambi i sessi e con peso compreso tra i 10 ed i 12 kg.
Nel graft utilizzato la distanza internodale media era di 60 µm e la struttura dall'esterno all'interno comprendeva tortuosi canali formati da fibrille e nodi di PTFE. L'impianto era lungo 30-40 mm, il suo diametro interno misurava 6 mm ed è stato rinforzato da un filamento di fluoroetilenepropilene. Gli undici graft sono stati poi inseriti nelle cavie ed estratti ad intervalli di 2 settimane (4 graft), 4 settimane (altri 4 graft) ed 80 settimane (3 graft).
Sugli impianti asportati si sono valutate la resistenza alla tensione radiale, quella a trazione longitudinale, la forza di ritenzione della sutura ed il tasso di deformazione. Questo è stato
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__________________________________________________________________________ calcolato in percentuale, come rapporto tra il diametro massimo su quello minimo. Per quanto riguarda invece la resistenza alla trazione così come la forza della sutura, essa è stata definita come il valore massimo di forza per pervenire a rottura (MPa).I risultati hanno mostrato che negli innesti non c'era traccia di alcuna occlusione o problemi a livello di anastomosi. Il tasso di deformazione rilevato è stato di 100 ± 0% dopo due settimane, 106 ± 7.3% dopo 4 e 107 ± 4.1% dopo 80 settimane. Per quanto concerne le altre analisi, la resistenza a trazione radiale e longitudinale del graft prima dell'impianto erano 4.3 ± 0.4 Mpa e 17.2 ± 2.6 Mpa, dopo 2 settimane erano 4.4 ± 0.4 Mpa e 15.0 ± 1.5 Mpa, dopo 4 settimane erano 3.9 ± 0.3 Mpa e 12.2 ± 2.4 Mpa e dopo 80 settimane erano 4.1 ± 0.3 Mpa e 16.0 ±0.4 Mpa rispettivamente. Alla fine dunque si può notare una certa stabilità delle due proprietà considerate. Per quanto riguarda inoltre la forza di ritenzione della sutura, prima dell'impianto era di 479.3 ± 51.0 g e dopo 80 settimane era di 550.7 ± 81.6 g; non c'è quindi una sostanziale differenza tra prima e dopo l'innesto.
Molti studi precedenti, come accennato, sono stati condotti per testare le proprietà dei graft in ePTFE ma non si era mai trovata l'applicabilità di impianti che avessero alta porosità. Nel 1975 infatti Campbell et al. in seguito ad uno studio conclusero che la distanza internodale ottimale era quella di 22 µm, in quanto una maggiore porosità era associata ad una minore conservazione della protesi a lungo termine nei modelli canini, dovuto alla crescita nell'impianto di una pseudointima troppo spessa. Negli anni '80 e '90 però si sono condotti ulteriori esperimenti in cui si sono valutate le prestazioni di innesti con porosità via via maggiori; questo perché i pori di grandi dimensioni consentivano una veloce crescita di tessuto dall'esterno del graft fino all'interno dei suoi interstizi, consentendo una grande integrazione della protesi con l'ambiente biologico. Ma, come anticipato, tali innesti mancavano di resistenza meccanica. Questo studio però ha invece dimostrato che è possibile ottenere un graft in ePTFE che, oltre ad essere biocompatibile e favorire la crescita