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Scelta del marcatore genetico

MATERIALI E METODI

3.3 Scelta del marcatore genetico

Un gene variabile, definito polimorfico, può essere utilizzato come marcatore per l’identificazione e la caratterizzazione di campioni di diverse specie o di diverse popolazioni all'interno di una sola specie. La scelta del giusto marcatore da utilizzare è strettamente legata al tipo di ricerca che si vuole realizzare ed al grado di “risoluzione” che si vuole ottenere. Alcune sequenze di DNA non sono codificanti per alcuna proteina e non sembrano quindi essere sottoposte ad alcuna pressione selettiva. Tali regioni del DNA di conseguenza tendono ad accumulare le mutazioni evolvendo in modo neutrale. Questi costituiscono i marcatori genetici più utili in studi di genetica di popolazione o nel confronto tra specie o sottospecie molto vicine tra loro (Randi et al., 2002). Le mutazioni che compaiono all'interno di regioni codificanti del genoma di una specie sono invece sottoposte a selezione naturale, la quale tende ad eliminare dalla popolazione gli alleli sfavorevoli. Tali regioni presentano quindi un numero di mutazioni inferiore, ma possono comunque essere utilizzate in studi di filogenesi e filogeografia. La scelta dovrà inoltre tenere conto delle diverse caratteristiche di DNA nucleare e DNA mitocondriale. Il mtDNA, a differenza del DNA nucleare, è una molecola aploide, circolare a filamento doppio. Essa è composta da alcune migliaia di nucleotidi che apparentemente non ricombinano, e viene ereditata generalmente per via materna. Le diverse sequenze di mtDNA sono definite “aplotipi” e non vengono modificate nel corso delle generazioni. Dal momento che esse evolvono in media 5-10 volte più rapidamente dei geni nucleari ed accumulano rapidamente differenze genetiche, possono essere utilizzate anche per caratterizzare popolazioni distinte dal punto di vista evolutivo, evidenziando il carattere matrilineare dell’eredità in specie (Moritz et al., 1987; Randi et al., 2002).

Il contenuto genetico del mtDNA è costante nei metazoi, e comprende geni codificanti per proteine enzimatiche coinvolte nella catena di respirazione cellulare (tra cui il citocromo b), geni che codificano per due RNA ribosomiali, circa 20 geni che codificano per RNA transfer ed una regione di controllo anche detta D-loop (Moritz et al., 1987; Randi et al., 2002). Possono invece verificarsi differenze per quanto riguarda l’ordine dei geni presenti al suo interno. All’interno della classe degli uccelli, Mindel et al. (1998) hanno descritto in 4 diversi ordini, tra cui i Piciformes con due specie (Colaptes auratus e Sphyrapicus varius), una

disposizione alternativa a quella già descritta da Desjardins e Morais (1990) per

Gallus gallus (fig. 3.3). Quest’ultima a sua volta già si distingueva dal mtDNA dei

mammiferi (Quinn, 1997).

Figura 3.3 - Contenuto genico (a) del mtDNA di Gallus gallus e (b) dei mammiferi placentati ed in Xenopus laevis (da Quinn, 1997).

D’altro canto, il DNA mitocondriale presenta alcuni svantaggi rispetto al DNA nucleare, tra cui una diversa composizione nucleotidica tra i filamenti ed una diversa probabilità di sostituzione a seconda della posizione occupata dal nucleotide all'interno del codone. Inoltre l’albero ottenuto da aplotipi mitocondriali, in quanto rappresentativi solo dell’eredità materna, potrebbe non sempre corrispondere con l’albero della specie (Moritz et al., 1987; Desjardins e Morais, 1990; Prychitko e Moore, 2000; Zynk e Barrowclough, 2008). Per evitare questi inconvenienti vengono spesso utilizzati introni del genoma nucleare, i quali sembrano particolarmente adatti per studi filogenetici. Infatti, la loro posizione non varia nel corso dell’evoluzione ed essi tendono ad evolvere con tassi minori rispetto al mtDNA, ma, non essendo codificanti, più alti rispetto agli esoni nucleari non essendo codificanti. Inoltre presentano sequenze fiancheggianti molto conservative, che ne facilitano l’amplificazione. (Prychitko e Moore, 2000) Nello studio delle popolazioni italiane di picchio nero ho scelto di utilizzare un marcatore nucleare e due marcatori mitocondriali con caratteristiche diverse fra loro. Il citocromo b (fig. 3.4) è il gene mitocondriale sequenziato con più frequenza nell’ambito di studi riguardanti specie ornitiche. Questo è dovuto sia alla disponibilità di primer universali proposti da Kocher et al. (1989), utilizzabili nell’amplificazione del gene in diverse specie animali (Sorenson et al., 1999), che alla sua capacità di risolvere problematiche nel campo della tassonomia (Johns e

Avise, 1998). In più, oltre ad essere uno tra i marcatori più utilizzati, è forse il meglio conosciuto dal punto di vista evolutivo (Esposti et al., 1993).

Figura 3.4 - Localizzazione di citocromo b e regione di controllo all’interno del mtDNA (a) in Gallus gallus ed in numerose altre specie, (b) come osservato in 4 diversi ordini tra cui i Piciformes (da Mindell et al., 1998, modificata).

La regione di controllo del mtDNA (figura 3.5) è una regione non codificante che

ha un ruolo di controllo e regolazione nella replicazione e nella trascrizione dell’intero genoma mitocondriale. In essa troviamo i due promotori della trascrizione di entrambi i filamenti (LSP e HSP, heavy e light strand promoter) e

l’origine di replicazione del filamento pesante (OH), la quale da vita alla

particolare struttura a tre filamenti che conferisce alla regione il nome di D-loop (“displacement loop”). Di lunghezza media negli uccelli pari a 1168 bp (Baker e Marshall, 1997), essa può essere divisa in tre domini: la maggior parte della variabilità è concentrata nei domini esterni I e III, in cui troviamo il numero più elevato di sostituzioni. Alcuni tratti di sequenze conservate e poco variabili sono invece presenti in tutta la sequenza (Ruokonen e Kvist, 2002).

Figura 3.5 - Struttura generale della regione di controllo del mtDNA nei vertebrati. Le frecce indicano la posizione dell’origine di replicazione del filamento pesante (OH) e dei promotori della trascrizione di entrambi i filamenti (LSP e HSP), TAS indica la posizione delle sequenze di terminazione, le lettere da F a B le sequenze conservate nel dominio centrale, CSBs le sequenze conservate nel dominio periferico (da Ruokonen e Kvist, 2002).

La regione di controllo del DNA mitocondriale è uno dei marcatori più frequentemente utilizzati. Essa contiene sequenze ipervariabili che evolvono molto più rapidamente rispetto al resto del genoma mitocondriale, con un tasso di sostituzione fino a 5-10 volte più elevato, che possono essere quindi utilizzate in genetica di popolazione (Randi et al., 2002; Ruokonen e Kvist, 2002).

Inizialmente si è anche proceduto con l’amplificazione di un marcatore nucleare, la regione codificante per il ß-fibrinogeno introne 7. Tuttavia, nelle fasi successive delle analisi si è deciso di concentrare gli sforzi nell’utilizzo dei primi due marcatori, nella convinzione che potessero fornire maggiori dettagli nello studio della specie. La scelta di utilizzare diversi marcatori è dovuta a diverse ragioni. L’utilizzo del citocromo b e del β-fibrinogeno è motivata dalla totale mancanza di dati provenienti dalle popolazioni italiani per quanto riguarda questi marcatori, utilizzati in numerosi studi di filogenesi in diverse famiglie dell’ordine dei

Piciformes. La sua scelta del citocromo b è stata anche facilitata dall’esistenza e

dalla disponibilità di primer universali. D’altro canto, l’utilizzo di una regione ipervariabile come il D-loop avrebbe assicurato una maggiore efficacia nel tentativo di analisi dei nuclei riproduttivi appenninici. Inoltre, dato che i tre marcatori erano già stati utilizzati da diversi autori sui picidi, si è potuto fare uso dei primer disponibili in bibliografia per amplificare con successo le regioni, e successivamente confrontare i dati ottenuti.

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