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Il discorso politico

3.5 LE SCELTE PRONOMINALI IL CASO DEL “NOI”

Un significativo contributo alla teoria dei pronomi personali è dato dal già citato Émile Benveniste, che apporta un’interessante chiarificazione semantica del pronome “noi”. È altrettanto noto che lo studioso francese inquadra il problema della determinazione delle coordinate semio- linguistiche del pronome di prima persona plurale all’interno della riflessione nota come teoria dell’enunciazione. Benveniste elabora la sua descrizione del “noi” in un importante saggio del 1946 dal titolo “Structure des relations de personne dans le verbe” nel quale spiega la difformità da lui notata nel metalinguaggio descrittivo delle tre persone tra la grammatica occidentale da una parte e quella araba dall’altra. Lo studioso trae spunto dal metalinguaggio della lingua araba per una caratterizzazione che oppone le prime due forme effettivamente personali, l’io ed il tu, alla terza forma, egli, che viene definita non persona. Benveniste quindi capisce che il parametro che oppone le due forme interne alla stessa categoria è la soggettività, per cui una persona soggettiva, l’io, si oppone ad una persona non-soggettiva, il tu, ma entrambe si oppongono alla non-persona egli. In altre parole, i pronomi io e tu esprimono i due ruoli essenziali della situazione comunicativa più comune, ossia la conversazione faccia-a-faccia. Essi corrispondono ai due ruoli comunicativi di locutore ed allocutore e sono pronomi autoreferenziali e si riferiscono ad una realtà di discorso, nella fattispecie ai rispettivi ruoli che vengono assunti dai reali enunciatori.

All’interno di questo saggio si colloca la riflessione benvenistiana sul pronome noi. Per prima cosa, Benveniste si chiede se le relazioni che valgono per le forme dei pronomi personali al singolare rimangono le stesse se trasferite al plurale. Benveniste osserva che “nei pronomi personali il passaggio dal singolare al plurale non implica una semplice pluralizzazione” (Benveniste, 1966, p.278). I pronomi di prima e di seconda persona “stanno al di fuori dai procedimenti ordinari di pluralizzazione” dal momento che quasi sempre vengono usate parole con tema diverso per le forme plurali rispetto a quelle singolari. Inoltre, lo studioso porta alla luce un’altra interessante osservazione, ovvero il fatto che nel pronome noi si realizza il congiungimento tra un io e un non-io, portando quindi come prova a favore di quest’affermazione la differenziazione del pronome di prima persona plurale in due forme: il noi inclusivo e il noi esclusivo. Il noi inclusivo corrisponde al significato di “io + voi”, mentre la forma esclusiva corrisponde al significato di “io + loro”. Si verifica quindi un’opposizione tra le due forme: la forma inclusiva attua il congiungimento con le persone tra le quali esiste una correlazione di soggettività, mentre nella seconda forma si verifica il congiungimento tra le forme che si oppongono grazie alla correlazione di personalità (cfr. Manetti, 2015, p. 29). In una lingua come l’italiano, la stessa forma del noi è interpretata alcune volte come inclusiva ed in altre

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come esclusiva. Ad esempio quando lo speaker annuncia al telegiornale: “Ci stiamo avvicinando al periodo dell’anno in cui va compilata la denuncia dei redditi”, la forma della prima persona plurale utilizzata include sia il locutore, sia gli spettatori del telegiornale. Al contrario, quando lo speaker annuncia: “Abbiamo preparato ora un servizio sui recenti scontri avvenuti a Manfredonia”, la prima persona plurale usata dal locutore subisce un’interpretazione esclusiva, basata su “io + loro” (= la redazione del telegiornale).

Inoltre, Benveniste evidenzia un ulteriore fenomeno di “dilatazione” che si verifica in generale nelle lingue indoeuropee, che non hanno una differenziazione tra la forma inclusiva ed esclusiva. Si riscontrano due usi contrapposti, ma convergenti del pronome di prima persona plurale: il plurale maiestatis (royal-we), in cui l’io “si amplia ad una persona più solenne e meno definita” ed il plurale modestiae (editorial we) in cui “si smorza l’affermazione troppo decisa dell’io”, per dar spazio ad “un’espressione più larga e diffusa”, condivisa da un gruppo di persone (Benveniste, 1966, p.280).

Nel caso dei discorsi politici, molto spesso viene sfruttata questa distinzione tra noi inclusivo e noi esclusivo e generalmente nei testi si verifica una transizione graduale tra una prima persona plurale inclusiva ed una esclusiva. Negli esempi seguenti, tratti dal discorso pronunciato da Berlusconi in occasione della presentazione del governo alle camere del 2001, il noi è utilizzato nella forma inclusiva:

- “Il nostro Paese” - “Il nostro benessere” - “I nostri figli”

È interessante notare che le tematiche utilizzate appartengano al senso comune di collettività e facciano parte della tematologia concernente il fatto di appartenere ad una stessa nazione. Mentre, per quanto riguarda l’uso del noi esclusivo:

- “Vogliamo cambiare l’Italia” - “La nostra decisione”

- “Il nostro programma”

Gli argomenti che vengono evocati riguardano il partito di Berlusconi e le scelte politiche programmate per gli anni di governo. Inoltre, il noi esclusivo può diventare implicitamente inclusivo, come riportato nell’esempio sopracitato, “vogliamo cambiare”, può coinvolgere nel processo di cambiamento anche i destinatari.

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3.6

LE SCELTE VERBALI

Le scelte verbali operate in vari discorsi politici hanno fatto emergere la prevalenza dell’uso dei tempi dell’indicativo, in particolare del presente semplice e progressivo, del passato prossimo e del futuro. Il presente sottolinea la concretezza e l’effettività dell’azione, il presente progressivo indica che l’azione è in evoluzione, mentre il passato prossimo si usa principalmente per indicare fatti accaduti nel passato recente. Il futuro infine, viene impiegato in generale per fare promesse e prospettare scenari futuri. Molto spesso poi, le personalità politiche fanno uso dell’indicativo anche laddove il congiuntivo sarebbe richiesto in frasi interrogative, in proposizioni rette da verbi di opinione o da verbi quali “sapere” e “dire” usati in forma negativa. Non è ancora ben chiaro il motivo per cui vengano operate tali scelte verbali, dal momento che si sta parlando di persone adulte con un grado di istruzione medio-alto ed il fatto che la scelta verbale non ricada sul congiuntivo è un fatto rilevante.

Un dato rilevato da Viggen (2018) e riscontrato nell’analisi delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Conte (cfr. Capitolo 4) contenute nel presente elaborato, è il fatto che frequentemente vengano utilizzati i verbi modali, dovere, potere e volere, che esprimono, rispettivamente, la necessità di compiere un’azione, la possibilità e la volontà. Nei discorsi tenuti da Conte lo scorso marzo, si sono riscontrate soprattutto occorrenze dei verbi dovere e potere (cfr. § 4.1.4, § 4.2.4, § 4.3.4), ma anche volere compare in un cospicuo numero di occorrenze, le quali sono poste sovente al condizionale per modalizzare il discorso e creare un effetto di cortesia linguistica.

Frequente è anche l’uso di verbi performativi, i quali non descrivono un’azione, né constatano un fatto, ma coincidono in determinati contesti con l’azione stessa. A titolo esemplificativo si prendono in considerazione le formule performative alla prima e alla terza persona singolare del presente indicativo di verbi rappresentativi pronunciati da Conte nel discorso dell’11 marzo: “[…] so che state cambiando le abitudini di vita”, “[…] so che non è facile”, “[…] va attuata il più possibile la modalità del lavoro agile”. Sono presenti anche annunci constatativi, ossia degli scambi di informazioni o delle affermazioni, come nell’esempio del celebre discorso di Silvio Berlusconi la “discesa in campo”: “Ho scelto di scendere in campo […]”.

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CAPITOLO 4