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SCELTE SCOLASTICHE DEL CICLO SECONDARIO, OFFERTA FORMATIVA, TERRITORIO

7.

CARATTERISTICHE DEI SISTEMI FORMATIVI E SVILUPPO LOCALE

7.1

Capitale umano e sviluppo locale

A partire dalla metà degli anni ’70 la rivoluzione telematica ha impresso una formidabile accelerazione allo sviluppo tecnologico, mutando profondamente la base di conoscenza e i domini cognitivi rilevanti all’interno della quasi totalità dei settori produttivi. La transizione socio-tecnica che si è determinata, ha riportato al centro dell’attenzione degli studiosi e dei policy makers la questione del rapporto tra capitale umano e sviluppo economico, sia a livello nazionale che a livello regionale (OECD, 1996). Tale questione appare a maggior ragione rilevante per l’Italia e per la Toscana, che ne condivide il destino, entrambe segnate da una tendenza al ridimensionamento del proprio motore manifatturiero che si evidenzia nei differenziali crescenti di produttività del lavoro e di costo del lavoro per unità di prodotto rispetto ai tradizionali competitori.

La sensazione di aver imboccato la “cattiva strada” di uno sviluppo troppo lento e di bassa qualità, e perciò stesso a forte rischio di esposizione rispetto alla concorrenza internazionale, rende particolarmente attuale il tema del ruolo del capitale umano come fattore chiave dell’innovazione tecnologica e tout court della crescita.

Tuttavia, la valutazione dell’impatto che l’istruzione e la formazione professionale esercitano sullo sviluppo delle economie nazionali e regionali resta una questione controversa, ancora non sufficientemente spiegata e analizzata. In particolare, la letteratura empirica stenta a dirimere la questione della direzione del nesso causale tra istruzione e sviluppo. I dati non consentono di escludere del tutto che l’istruzione sia piuttosto una conseguenza, che non il motore dello sviluppo. Dall'introduzione della teoria del capitale umano nel 1960 innumerevoli studi hanno tentato di risolvere questa questione. La teoria del capitale umano considera l'istruzione e la formazione come un investimento in capacità e competenze (Schultz, 1960 e 1961; Becker, 1964) che l’individuo decide di fare sulla base delle proprie aspettative razionali di rendimento dell’investimento connesse all’aumento della propria produttività. Nelson e Phelps (1966) analizzano l’interazione tra i livelli di istruzione e l’abilità della forza lavoro da un lato e il livello dell’attività tecnologica dall’altro e teorizzano che una forza lavoro più istruita e/o qualificata rende più facile per un’impresa o un paese adottare e implementare nuove tecnologie, rafforzando in tal modo il rendimento dell’investimento in istruzione e formazione. Molti studi empirici forniscono prove a sostegno degli effetti aggregati dell’istruzione e della formazione. Ad esempio, Griliches (1970) ha stimato che un terzo del residuo di Solow (1957), rappresentato dalla porzione di crescita dell'economia statunitense non attribuibile all’aumento dell’utilizzo del fattore lavoro e stock di capitale, può essere spiegato con l'aumento del livello di istruzione della forza del lavoro. Allo stesso modo, Denison (1979) ha dimostrato l’effetto del livello di istruzione sul reddito pro capite negli Stati Uniti, mentre altri – ad esempio Baumol et al. (1989), Barro (1991) e Mankiw et al. (1992) – hanno confermato gli apporti positivi dell’investimento in istruzione e formazione attraverso una analisi cross section tra paesi a diversi livelli di sviluppo. Bartel e Lichtenberg (1987) e Wolff (1996, 2001) hanno rilevato che l'istruzione e il livello delle competenze e abilità sono positivamente connessi al cambiamento tecnologico nel settori interessati. Crouch et al. (1999) forniscono la prova del fatto che lavoratori meno qualificati sono più soggetti ad essere impiegati in settori più esposti alla

concorrenza internazionale e suggeriscono una associazione del livello di istruzione e abilità dei lavoratori alla complessità tecnologica dell’attività intrapresa. In una prospettiva più generale, infine, Abramovitz (1986) sostiene che l'istruzione e la formazione professionale sono parte di un insieme di ingredienti chiave per sostenere la crescita della società, che egli chiama 'Funzione sociale'.

Più problematica appare la relazione tra capitale umano e sviluppo quando si osservano gli impatti dell’istruzione e della formazione professionale in forma analitica, nei singoli settori economici e sociali e su scala locale. In tal caso l’evidenza empirica segnala effetti discordanti e dunque anche le policy sono più difficili da definire. In particolare tra le regioni emergono effetti particolarmente eterogenei sia dei livelli che dell’investimento in capitale umano. Anche per la Toscana l’evidenza empirica non corrobora le predizione della teoria mainstream. Le analisi dell’Irpet (Sciclone, Casini Benvenuti 2003) evidenziano come anche per la nostra regione l’istruzione appaia più la conseguenza che la causa dello sviluppo economico. La spiegazione di ciò può essere molteplice e rintracciabile in due ordini di motivazioni. Una prima, di ordine statistico, riguarda la capacità delle variabili utilizzate nei modelli econometrici di rappresentare correttamente il capitale umano, approssimandolo semplicemente con i livelli di istruzione forniti dalla scuola o dall’Università. In effetti, una analisi microeconomica delle conseguenze dell’istruzione sui salari evidenzia una correlazione positiva, che non trova riscontro da un punto di vista macroeconomico. Una seconda spiegazione, più interessante anche per le implicazioni di policy, riguarda il tipo di settori in cui trovano occupazione le persone con più elevato grado di istruzione. Una quota molto elevata di laureati in Italia trova occupazioni in comparti a bassa produttività, ciò che potrebbe fornire una spiegazione convincente del debole legame a livello macroeconomico tra istruzione e crescita.

In un mondo nel quale da un lato le regioni assumono sempre più autonomia politica e competono sempre di più sul piano economico, e dall’altro grandi multinazionali appaiono sempre più sganciate dai contesti territoriali locali, appare sempre più importante capire se l’infrastruttura dell’istruzione e i percorsi dell’istruzione tecnica e professionale ad un livello locale siano fonte di vantaggi comparati per le regioni. Per comprendere meglio tale questione è necessario comprendere a fondo il modo nel quale si sviluppano le abilità e come il capitale umano eserciti la sua influenza sulle economie nazionali e regionali.

Istruzione, capitale umano e crescita a scala locale

I modelli di crescita con capitale umano in effetti, sono in genere sviluppati a livello nazionale e non tengono conto della dimensione spaziale dello sviluppo. La mancanza di attenzione allo spazio ha attirato forti critiche da coloro che studiano le economie regionali. Le determinanti della crescita nello spazio hanno, infatti, implicazioni non facilmente conciliabili con i principi cardine dei modelli di crescita, in particolare i modelli neoclassici.

Richardson (1979) riassume questi principi neoclassici come: (a) l’affidare al meccanismo dei prezzi l’allocazione spaziale delle risorse; (b) l'accento sugli aggiustamenti marginali, mentre le funzioni spaziali sono discontinue e i cambiamenti spaziali implicano inerzia o salti; (c) l'ipotesi che la crescita possa essere analizzata con una funzione di produzione aggregata che considera il capitale un fattore omogeneo; (d) la predilezione per soluzioni di equilibrio; (e) la predilezione per spiegazioni di tipo deterministico rispetto alle soluzioni probabilistiche.

Una debolezza cruciale dei modelli neoclassici sta nel presupposto che tutti i fattori di produzione siano completamente mobili tra regioni dello stesso paese. La debolezza è particolarmente grave quando i modelli neoclassici sono impiegati per tenere conto delle disparità regionali a lungo termine nello sviluppo economico. L’assunzione di fattori mobili all'interno di un paese prevede che le eventuali differenze nel rapporto capitale/lavoro, e quindi

nella produttività del lavoro, tra le regioni scompaiano nel lungo termine dal momento che capitale e lavoro si muovono verso le regioni che offrono i rendimenti più elevati.

Per quanto riguarda le differenze tra regioni nel breve e medio termine, l'assunzione di conoscenze non escludibili pone un altro problema. Si presuppone che le conoscenze tecnologiche siano perfettamente mobili e sempre disponibili per tutte le regioni simultaneamente. Ad esempio tale ipotesi limita l'applicabilità dei modelli di Romer all'economia mondiale nel suo complesso, perché il progresso tecnologico si diffonde attraverso lo spazio geografico in modo che anche le piccole economie possono trarne beneficio, senza dover fare affidamento sulla conoscenza creata all'interno delle proprie frontiere (Armstrong e Taylor, 2000). Tuttavia, le innovazioni non si diffondono istantaneamente o ad un tasso dato sul complesso dell’economia. Si diffondono in modo irregolare anche se prevedibilmente raggiungono alcune aree in tempi rapidi ma sono adottate in altre solo molto più tardi. In alcuni casi (ad esempio, quando una soglia dimensionale di mercato è necessaria), l'adozione in una particolare località non può verificarsi (Richardson, 1979).

Uno studio pionieristico in questo settore, Hägerstand (1966), concentrandosi sulle innovazioni agricole, ha dimostrato l'importanza della rete di comunicazione come fattore determinante del loro percorso di diffusione. Ha anche dimostrato che il processo di diffusione può essere interpretato come un processo stocastico. Un altro aspetto della conoscenza non escludibile è che alcuni tipi di conoscenza sono incorporate negli individui (cioè tacite) e difficili da trasferire con mezzi diversi dal rapporto interpersonale, spesso di comunicazione faccia a faccia. Tutto ciò implica di considerare un'altra classe nel secondo modello di Romer: la conoscenza tacita incarnata negli individui deve essere distinta dalla conoscenza brevettuale e dalla conoscenza condivisa e codificata.

La conoscenza tacita significa anche l'importanza del capitale umano quale vettore di tale conoscenza. Alcuni ritengono l’ambiente istituzionale di una regione un fattore determinante per la sua capacità di creare progresso tecnologico (Rauch, 1993). Secondo questa visione, la creazione del progresso tecnologico è determinata da un processo di apprendimento collettivo all'interno del quale molti individui interagiscono e si scambiano idee e informazioni, alcune delle quali tacite.

Emergono dunque economie di scala che si possono trarre dalla concentrazione geografica di persone altamente istruite dal momento che questa si traduce in un trasferimento più rapido delle conoscenze attraverso la loro vicinanza. Inoltre, alcune regioni sono dotate di un ambiente istituzionale o culturale che facilita meglio tale processo collettivo di apprendimento (Saxenian, 1994). Oltre alle università e agli istituti di ricerca, in tali ambienti si riscontrano spesso una struttura industriale verticalmente disintegrata, una elevata mobilità di lavoratori qualificati, e l'abbondanza di capitale di rischio.

Per quanto riguarda la mobilità del capitale umano tra le regioni, Bradley e Taylor (1996) sostengono che esiste una interazione sequenziale tra il sistema locale di istruzione e di formazione e lo stock locale di lavoratori altamente qualificati. Il tasso di scolarità a livello locale è influenzato dal background socio-economico degli alunni, dalle prospettive di occupazione e carriera nell’economia locale, nonché dalla qualità della scuola locale. L'iscrizione, a sua volta, determina le competenze della forza lavoro locale, la produttività del lavoro, e la performance economica. La performance economica locale determina quindi il volume e il mix occupazionale dei lavoratori che immigrano all’interno dell’area.

La crescita economica fornisce anche, ai datori di lavoro, lavoratori con più formazione alle spalle, facilitandone un ulteriore aumento delle competenze. Un cambiamento del mix occupazionale in direzione di lavoratori più qualificati avrà dunque effetti benefici sulla formazione del capitale umano locale. Se da un lato i lavoratori qualificati sono spesso

desiderosi di investire in istruzione per i propri figli, un’economia forte dall’altro offre migliori opportunità di lavoro e induce i giovani a investire in istruzione e formazione. Bradley e Taylor sostengono dunque che il sistema di istruzione e formazione interagisce con l'economia locale in modo tale che le disparità territoriali in termini di benessere economico sono amplificate attraverso il meccanismo di causazione cumulativa.

La letteratura di studi regionali condivide con la letteratura economica da un lato una comprensione comune di base del processo produttivo, ma dall’altro presta maggiore attenzione al modo in cui lo spazio lo influenza. Si approfondiscono in particolare gli effetti di agglomerazione spaziale delle attività economiche e si tenta di individuare le cause dell’agglomerazione spaziale così come i suoi effetti, distinguendo se possibile, tra conoscenza codificata e conoscenza tacita. Quest’ultima è incorporata nei lavoratori qualificati e meno mobile della conoscenza codificata. Tutto ciò, come ovvio, mette in questione l'ipotesi di diffusione “senza attrito” della conoscenza tecnologica.

Gli studi di institutional economics, quali le teorie di costi di transazione (Williamson, 1975 e 1985) e del radicamento sociale (Granovetter, 1985), esaminano spesso gli aspetti sociali delle relazioni tra agenti economici. Questi sforzi hanno comportato alla concettualizzazione di altri tipi di fattori produttivi, quali il capitale sociale e il capitale di rete. Un altro filone di ricerca è rappresentato dalle riflessioni sulle disparità economiche tra le regioni derivanti da divisioni spaziali del lavoro. Si sostiene spesso che le funzioni di ordine superiore, che richiedono significative quantità/qualità di capitale umano sono concentrate nelle regioni centrali (a causa degli effetti di agglomerazione), rafforzando le disparità regionali. Regional studies e studi economici tout court si intersecano dunque sulla questione della convergenza.

7.2

Le caratteristiche dei sistemi di istruzione secondaria in Europa

I sistemi educativi sono fortemente condizionati dalla struttura e dall’evoluzione dei sistemi socio-economici e produttivi nazionali e, anche all’interno del contesto europeo, presentano evidenti differenze sotto molteplici punti di vista. Restringendo l’attenzione al solo ciclo secondario dell’istruzione, l’eterogeneità dei sistemi scolastici europei è ancora più evidente, in quanto nel grado post-obbligatorio esiste un maggiore margine di libertà nella strutturazione del sistema dell’istruzione e della formazione. In particolare, è nel settore tecnico-professionale, più condizionato dalla struttura economica e dalla sua evoluzione, che si rilevano le maggiori disomogeneità, mentre gli indirizzi generalisti, pur con nomi diversi (Lycées, Gymasium, Bachillerato, ecc), mostrano una configurazione tutto sommato simile, legata al fatto che tutti hanno come riferimento il sapere formalizzato, all’interno di una tradizione culturale che in Europa si è consolidata su basi sostanzialmente comuni.

Identificando una serie di variabili chiave che caratterizzano il sistema dell’istruzione secondaria di un paese, si è cercato di evidenziare le principali differenze e somiglianze tra diversi sistemi dell’istruzione europei.

Da un punto di vista strutturale, si possono distinguere in Europa due modelli di organizzazione della scuola secondaria, a seconda che questo sia organizzato in uno o due livelli (inferiore e superiore). Nei paesi scandinavi, caratterizzati da un ciclo primario unitario, la scuola secondaria è a un solo livello e comincia dopo l’assolvimento dell’obbligo scolastico. In altri paesi europei (come Italia, Spagna, Francia, Inghilterra e Germania) l’istruzione secondaria è articolata in un livello inferiore e in uno superiore, generalmente post-obbligatorio;

costituiscono un’eccezione la Francia e l’Italia, che prevedono la frequenza obbligatoria del primo (Francia) e secondo (Italia) anno di scuola secondaria di secondo grado.

I diversi sistemi di istruzione europei si differenziano anche per il livello di selettività con cui è permesso l’accesso all’istruzione secondaria27

. Infatti, se in alcuni Paesi, come Italia, Francia, Danimarca e Spagna, la scelta della scuola secondaria è libera e non vincolata al passato scolastico dello studente, in altri è presente una qualche forma di selettività legata a precedenti risultati scolastici (Finlandia, Svezia) o al tipo di scuola secondaria inferiore di provenienza (Germania). Un esempio di selettività basata sulle performance scolastiche precedenti è offerto dalla scuola secondaria svedese, in cui la valutazione ricevuta al termine della scuola dell’obbligo influenza la possibilità di accedere ai differenti indirizzi di scuole superiori; coloro i quali non hanno i requisiti per accedere a nessun tipo di scuola, sono coinvolti nei cosiddetti programmi introduttivi, specificatamente adattati sulle esigenze del singolo alunno affinché questo possa essere messo in grado di accedere ai regolari programmi di istruzione secondaria superiore o di inserirsi nel mondo del lavoro. In Germania, caratterizzata da una forte selettività sulla base della scuola di provenienza, si accede alla scuola secondaria superiore di tipo generalista (Gymnasiale Oberstufe) solo dal Gymnasium, mentre per accedere al Berufliches Gymnasium, più orientato alla professione, è sufficiente anche un certificato di studi secondari inferiori rilasciato da una Realschule; la selettività esiste anche per le scuole professionali (alla Fachoberschule si accede con un certificato di studi secondari inferiori rilasciato da una Realschule e alla Berufsoberschulen con un certificato rilasciato da una Realschule o da un Hauptschule) mentre per accedere al sistema duale è sufficiente aver completato l’istruzione obbligatoria.

Un ulteriore elemento di differenziazione tra i diversi modelli europei di istruzione secondaria è rappresentato dai tempi e modi della stratificazione dei percorsi scolastici (tracking). Nella maggior parte dei Paesi considerati la canalizzazione degli studenti avviene a 15-16 anni, dopo circa 10 anni di frequenza di un percorso scolastico pressoché omogeneo. In Italia la canalizzazione è lievemente più precoce (14 anni) ma è la Germania (insieme a altri Paesi di lingua tedesca) a rappresentare la vera eccezione, in quanto prevede una differenziazione degli indirizzi scolastici all’inizio dell’istruzione secondaria inferiore, ovvero all’età di 10 anni, quando il bambino si trova di fronte a una scelta che condizionerà gran parte delle propria futura carriera scolastica e, quindi, lavorativa. Infatti, il sistema tedesco si distingue dagli altri, oltre che dalla precocità della canalizzazione dello studente, anche dalla scarsa reversibilità delle scelte; infatti, se per i primi due anni di scuola secondaria inferiore gli studenti seguono curricoli del tutto compatibili, successivamente la stratificazione permette scarsa libertà di movimento tra i diversi tipi di scuole e vincola fortemente le prospettive di proseguimento verso gli studi di livello terziario. Infatti, se gli indirizzi liceali (Berufliches Gymnasium e Gymansium) permettono l’accesso a tutti i tipi di formazione terziaria, la scuola professionale (Fachoberschule) fornisce una qualifica solo per l’accesso all’istruzione universitaria tecnico-professionale (Fachhochschule) o all’istruzione terziaria non universitaria vocazionale (Fachschule); l’accesso diretto al livello terziario è invece precluso agli studenti che hanno completato la formazione professionale nell’ambito del sistema duale, i quali devono necessariamente frequentare un anno teorico di Fachoberschule per avere la possibilità di accedere in seguito all’istruzione terziaria non universitaria vocazionale (Fachschule). La scelta del percorso di studi secondario è parzialmente vincolante per l’accesso all’università anche in altri Paesi europei, dove i programmi di tipo professionale non permettono automaticamente l’accesso all’istruzione terziaria, ma richiedono l’inserimento di alcuni corsi addizionali nel

27 In quanto segue, se non diversamente specificato, il termine istruzione secondaria si riferisce per i Paesi con struttura a due livelli a quello superiore.

piano di studio della scuola superiore (Svezia, Danimarca28); in Spagna gli studenti che hanno completato con successo la formazione professionale (Ciclos formativos de grado medio) ottengono un certificato che non permette l’accesso diretto all’università ma, eventualmente al corso secondario generalista (Bachillerato) dal quale poi proseguire al livello terziario.

Anche dal punto di vista del contenuto formativo dei diversi percorsi scolastici le differenze tra i Paesi europei sono rilevanti. In alcuni Paesi, la collaborazione col mondo produttivo è molto forte e le autorità locali intervengono nella definizione del curriculum accanto agli operatori dei vari settori economici, per assicurare un’aderenza maggiore alle caratteristiche del mercato locale rispetto a quanto possibile con i programmi quadro nazionali. È quanto avviene in Spagna, dove nonostante il curriculum di base (sia dei percorsi generalisti che di quelli vocazionali) sia definitivo a livello centrale, le Comunità Autonome hanno la possibilità di sviluppare il proprio curriculum per la parte dell’orario scolastico di loro competenza; la singola istituzione scolastica poi adatta il curriculum al contesto sociale, economico e culturale, tenendo conto che gli obiettivi, i contenuti dei corsi, i criteri di valutazione e la metodologia devono rispondere alle caratteristiche degli studenti e delle possibilità di formazione disponibili nell’area in cui opera l’istituto. In Italia il DPR 275/99 ha stabilito che gli istituti scolastici possono disporre liberamente del 20% del monte ore annuale delle discipline di insegnamento, potendo quindi utilizzarle adattare il curriculum al contesto locale. Anche in Finlandia le singole istituzioni che forniscono l’istruzione professionale, in collaborazione coi rappresentanti del mondo del lavoro, elaborano dei curricula locali, in cui assumono particolare rilievo le materie specificamente richieste dal tessuto economico locale. In Inghilterra c’è massima libertà nella strutturazione di un curriculum locale, in quanto il livello secondario superiore non prevede un curriculum nazionale e i singoli istituti gestiscono autonomamente l’organizzazione dei corsi offerti. Infine, in Svezia esistono dei programmi speciali, che corrispondono ad un programma nazionale in termini di livello di educazione e lunghezza degli studi, ma che sono specificatamente ideati a livello locale sulla base delle esigenze del sistema produttivo.

I Paesi europei differiscono anche in relazione al grado di personalizzazione del piano di studi concesso agli studenti per specializzarsi in un determinato indirizzo di interesse. Nella maggior parte dei Paesi considerati, ad eccezione della Francia e dell’Italia, gli alunni hanno, entro certi limiti, la possibilità di optare per una individualizzazione del proprio percorso

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