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Scritti di storia toscana Assetti territoriali, diocesi, monasteri dai longobardi all’età comunale, a cura di Mario Marrocchi, Pistoia 2008 (Biblioteca Storica Pi-

stoiese, XVI). Il volume, pubblicato a cura della Società Pistoiese di Storia Patria e con il contributo dell’Istituto Storico Germanico di Roma, raccoglie i saggi di cui ai nn. 39, 46, 48-52, 54-64, 67-69, e il seguente articolo inedito: La Tuscia come

Bullettino Senese di Storia Patria, 121, 2014

dalla tradizione umanistica alla contemporaneità

Si pubblicano, nella sezione Incontri e dibattiti del Bullettino Senese di Storia Patria, quattro brevi contributi elaborati in occasione della presentazione delle Bucoliche di Jacopo Fiorino dei Buoninsegni che si è tenuta il 28 maggio 2014 in Palazzo Patrizi Piccolomini per conto dell’Accademia Senese degli Intronati. L’edizione, stampata dalla casa editrice ETS di Pisa, è stata curata da Irene Tani. Si tratta di un volume della collana Biblioteca senese. Studi e testi. L’incontro è stato presieduto dall’Archintronato Roberto Barzanti, che ha individuato nella riscoperta del genere bucolico a Siena, in ambito umanistico, un ulteriore ‘primato’ della città. Stefano Carrai ha svolto una lezione sulla bucolica senese ‘nel quadro della poesia pastorale del Rinascimento’ mentre Irene Tani ha analizzato il testo del Buoninsegni da lei curato. Un repertorio iconografico costituito da incisioni e opere d’arte di ambito privato, raffiguranti tematiche pastorali, è stato mostrato dalla scrivente. Alessandro Fo ha chiuso il colloquio con un commovente intervento dedicato al poeta ungherese Miklós Rádnoti, che adotta l’ecloga per descrivere il lager: «un mondo di mitezza e innocenza si trova improvvisamente vulnerato dall’irruzione della violenza».

1 E. Bartoli – P. StoPPacci, Corrispondenze edite ed inedite, «Studi medievali», S. III, LV

(2014), pp. 229-97.

2 D. DE roBErtiS, L’ecloga volgare come segno di contraddizione, «Metrica», II (1981), pp. 61-80. 3 F. arzocchi, Egloghe, edizione critica e commento a cura di Serena Fornasiero, Bologna,

Commissione per i testi di lingua, 1995; e I. Pantani, L’amoroso messer Giusto da Valmontone. Un

protagonista della lirica italiana del XV secolo, Roma, Salerno Ed., 2006, pp. 111-44.

4 R. raBBoni, Per Giorgio Musca e per l’egloga volgare, in iD., Generi e contaminazioni. Studi

sui cantari, l’egloga volgare e la lirica di imitazione petrarchesca, Roma, Aracne, 2013, pp. 441 sgg. DEL RINASCIMENTO

Dopo i fasti antichi di Teocrito e Virgilio e poi di Calpurnio e Nemesiano, il genere bucolico sopravvisse durante il Medioevo in testi come l’Ecloga Teoduli o i Versus de cuculo di Alcuino e rifiorì con schietti connotati virgiliani prima nella corrispondenza poetica di Dante e Giovanni del Virgilio (1319-21), poi con Petrarca e Boccaccio, i quali trasmisero il genere agli umanisti1. Fra quattrocento e Cinquecento la bucolica latina si diffuse e conobbe reinterpretazioni brillanti del modello virgiliano, come nel caso dei dieci Pastoralia di Boiardo o come le egloghe di Battista Spagnoli detto il Mantovano, che furono lette e imitate dagli umanisti di tutta Europa.

In Italia tuttavia i tempi erano maturi perché nascesse una poesia pastorale anche nella lingua materna. Prima della metà del Trecento Boccaccio con la Comedia delle

ninfe fiorentine aveva raccontato la storia dell’evoluzione spirituale del pastore Ameto

grazie al suo amore per Lia, in cui aveva accolto due capitoli in terzine dantesche che equivalevano a due vere e proprie egloghe in volgare. L’egloga come microtesto autonomo compare nel secolo successivo. Fino a un paio di decenni or sono gli studiosi erano convinti che il primato della traslazione in volgare del genere bucolico spettasse a Leon Battista Alberti con l’egloga Tirsi, scritta nei primi anni Trenta del quattrocento, seguito a ruota da Giusto de’ Conti col polimetro pastorale La notte torna e l’aria e ‘l

ciel s’annera2. Da quando Serena Fornasiero ha retrodatato la produzione poetica del senese Francesco Arzocchi, attivo fra lo scorcio del Trecento e i primissimi del nuovo secolo, è chiaro però che la priorità potrebbe anche essere sua3. Di recente il quadro storico si è definito ulteriormente grazie al fatto che Renzo Rabboni ha segnalato la sicura antichità di un altro bucolico senese, il non meglio noto Giorgio Mosca autore dell’egloga Or che gli uccelli fra le ombrose frondi. Mosca compare difatti in un miscellaneo quattrocentesco della Biblioteca Estense come corrispondente del rimatore veronese Giovanni Nogarola, morto il primo gennaio del 1413, e perciò la sua attività poetica dovrebbe risalire anch’essa ai primi del secolo. Rabboni di conseguenza ha formulato l’ipotesi che la bucolica in volgare sia nata nell’ambiente dei senesi fuorusciti, esuli nelle corti padane del primo quattrocento4.

5 I. MErlini, Bucoliche elegantissime. La ri-nascita bucolica, Manziana, Vecchiarelli, 2009. 6 A. tiSSoni BEnvEnuti, Schede per una storia della poesia pastorale nel Secolo XV: la scuola

Guariniana a Ferrara, in In ricordo di Cesare Angelini. Studi di filologia e letteratura, Milano, Il Saggiatore, 1979, pp. 97-131.

7 S. carrai, Enea Silvio Piccolomini e la poesia senese, in S. carrai – S. cracolici – M.

Marchi, La letteratura a Siena nel Quattrocento, Pisa, ETS, 2009, pp. 31-41.

8 J. FiorinoDE’ BuoninSEgni, Bucoliche, a cura di Irene Tani, Pisa, ETS, 2012.

9 S. carrai, Alle origini della bucolica rinascimentale: Lorenzo e l’umanesimo dei fratelli

Pulci, in iD., I precetti di Parnaso. Metrica e generi poetici nel Rinascimento italiano, Roma, Bulzoni,

1999, pp. 113-28, e T. zanato, Percorsi della bucolica laurenziana, in La poesia pastorale nel

Rinascimento, a cura di S. Carrai, Padova, Antenore, 1998, pp. 109-50.

Comunque sia, la sicura arcaicità di Arzocchi spiega la posizione iniziale – davanti ai fiorentini Bernardo Pulci e Girolamo Benivieni e al conterraneo Jacopo Buoninsegni – riservata alle sue egloghe nella prima raccolta antologica di poesia bucolica in volgare stampata a Firenze all’inizio del 1482, su cui tornerò fra poco5. La compresenza di poeti fiorentini e senesi rispecchia una contesa fra queste due città circa la supremazia nel genere bucolico in Toscana e in gara, al di là dell’Appennino, con l’ambiente estense dei vari Tito Strozzi, Battista Guarini, Tribraco e Boiardo6. Al trapasso fra gli anni Cinquanta e i Sessanta, nell’orbita del pontificato di Pio II, a Siena è attiva una scuola di bucolica spirituale in latino capeggiata da Francesco Patrizi, con l’egloga natalizia dedicata a Enea Silvio ancora arcivescovo di Siena, e Fosco Paracleto da Corneto, autore di una raccolta di sei egloghe volte esplicitamente a celebrare il nuovo papa7. Negli anni Sessanta, anche per emulazione di questo filone, vedono la luce le prime quattro egloghe di Jacopo Fiorino de’ Buoninsegni, cioè una raccoltina della stessa misura di quella di Arzocchi, che ci rappresenta sotto il velame pastorale la vivace vita poetica e culturale della Siena dell’epoca8.

Ma in quegli anni anche a Firenze fiorisce «un’accademia di buccoici» evocata da Luca Pulci nel suo Driadeo d’amore, che oltre a lui stesso e al fratello minore Bernardo traduttore in terzine delle Bucoliche virgiliane annovera Benivieni e perfino Lorenzo il Magnifico, autore dell’egloga Corinto e poi di altri poemetti di ambito pastorale come Apollo e Pan e il De summo bono9. In un’aura ormai pienamente laurenziana va inquadrata l’operazione editoriale fiorentina del tipografo Antonio Miscomini nel 1482, di cui si diceva. La regia sembrerebbe ancora quella di un senese, cioè del citato Buoninsegni, che nel 1468 aveva dedicato le proprie bucoliche ad un protettore di Siena come Alfonso d’Aragona duca di Calabria, mentre ora, lasciata la propria città per motivi politici nel 1480, si affretta a ricondurre la neonata bucolica volgare sotto l’insegna del Magnifico, presso il quale aveva trovato rifugio. Egli riuniva difatti la produzione del precursore Arzocchi, del volgarizzatore di Virgilio Bernardo Pulci e di un poeta squisitamente laurenziano come Benivieni insieme con la propria, alla quale

10 S. carrai, La lirica toscana nell’età di Lorenzo, in M. Santagata – S. carrai, La lirica di

corte nell’Italia del Quattrocento, Milano, Francoangeli, 1993, pp. 140-41.

11 P. MEDioli MaSotti, Componimenti bucolici e rusticali del XV secolo di Jacopo Tolomei,

«Bullettino senese di storia patria», LXXXVIII (1981), pp. 21-40; e Rime di Filenio Gallo, edizione critica a cura di M. Antonietta Grignani, Firenze, Olschki, 1973.

aggregava un’ultima egloga scritta a Firenze per il Natale del 1481 e rivolta in una specifica epistola dedicatoria a Lorenzo medesimo, che vi compare come personaggio sotto il nome di Clizia. Il fatto che questi non figuri nella silloge con la propria poesia pastorale va inteso insomma come funzionale alla sua celebrazione quale grande signore e mecenate10.

Nonostante l’approdo fiorentino, è evidente che a dare impulso e linfa all’evoluzione del genere era ancora e soprattutto l’esempio dei brillanti testi di Arzocchi. Anche a Firenze ne è prova il fatto che il più celebre dei fratelli Pulci, Luigi, li aveva trascritti tutti e quattro di proprio pugno in un manoscritto ora alla Palatina di Parma. Echi precisi se ne avvertono nella prima «pìstola» in terzine del fratello maggiore Luca, in realtà un’egloga immaginata in persona di Lucrezia Donati all’amato Lorenzo. Di lì a poco, poeti senesi come Jacopo Tolomei e Filenio Gallo sarebbero tornati ad esportare lontano dalle mura patrie la scrittura di bucoliche11. Ma soprattutto la lettura dell’antologia del 1482 e specialmente dei testi di Arzocchi avrebbe rivitalizzato la musa bucolica di Boiardo, che dopo aver scritto negli anni Sessanta una raccolta di dieci

Pastoralia in latino, mise mano subito a una nuova raccolta di dieci egloghe stavolta in

volgare. E analogamente, a Napoli, Jacopo Sannazaro folgorato dalla lettura di quelle poesie cominciò a comporre le prime egloghe che sarebbero poi rifluite nell’Arcadia. Il prosimetro, vero e proprio best seller del Cinquecento, congiuntamente ad un altro testo di grande successo sul versante latino come le egloghe di Battista Spagnoli detto il Mantovano, avrebbe dato il via alla moda dilagante della poesia bucolica, che sarebbe durata nei secoli e avrebbe prodotto in Italia numerosi testi, fra cui gli adattamenti teatrali come l’Aminta e il Pastor fido, e in Europa i capolavori di Garcilaso, Milton e Gessner.

1 I testi delle Bucoliche sono editi in JacoPo FiorinoDE’ BuoninSEgni, Bucoliche, a cura di irEnE

tani, Pisa, ETS, 2012; dall’edizione estraggo la sostanza di questo intervento.

2 S. carrai, La lirica toscana nell’età di Lorenzo, in M. Santagata - S. carrai, La lirica di

corte nell’Italia del Quattrocento, Milano, 1993, pp. 137-9.

3 La notizia del battesimo si ricava da SiEna, Archivio di Stato, Biccherna 1132, ad annum; per

il matrimonio da Gabella 247, c. 9r.

JACOPO BUONINSEGNI E LE BUCOLIChE ELEGAnTISSIME

La bucolica volgare visse nella seconda metà del quattrocento un periodo di grande fertilità, partendo dai due maggiori centri toscani: Siena e Firenze1. Tra le due città, per ben note ragioni politiche, si era creato anche un considerevole distacco culturale che permise lo svilupparsi del genere con caratteristiche peculiari e indipendenti. Se gli studi si sono soffermati in più occasioni sull’ambiente fiorentino, tale attenzione non è stata riservata alla situazione letteraria senese, anche per la difficile reperibilità della documentazione relativa. Per questo in passato si è spesso ritenuto a torto che si trattasse di un ambiente sterile e incapace di offrire una produzione letteraria al pari degli altri centri. Se guardiamo alla stessa composizione bucolica, notiamo che già intorno a Enea Silvio Piccolomini esisteva un importante filone di tipo sacro, di cui ne è esempio il De Christi nativitate di Francesco Patrizi2. Inoltre numerosi codici, conservati alla Biblioteca degli Intronati, attestano la circolazione di egloghe a partire dagli anni ’50, anche se sarà la generazione successiva a canonizzare il nuovo genere volgare.

In questa temperie culturale si inserisce la produzione di Jacopo Fiorino de’ Buoninsegni, poeta appartenente a una famiglia tra le più influenti della città, antinobiliare e guelfa, che fu una delle colonne portanti del Monte dei Riformatori. Purtroppo le informazioni biografiche al suo riguardo sono esigue: sappiamo che venne battezzato il 30 aprile 1441 e che nel 1463 convolò a nozze con Maddalena Tommasi3. Seppur in maniera minore rispetto al fratello, anche Jacopo prese parte attiva alla politica della città, risiedendo in Concistoro tra i governanti della Repubblica nel bimestre maggio-giugno del 1471 e nel bimestre luglio-agosto del 1473. Come è noto, la vita politica di Siena vide il perdurare per quasi tutto il XV secolo delle lotte fra guelfi e ghibellini, causando una forte instabilità anche a livello culturale, e nel 1480, nel continuo avvicendarsi di gruppi al potere, anche Jacopo, come molti concittadini, fu costretto a lasciare la città natale e a rifugiarsi a Firenze. Ciononostante il poeta non dovette mai rassegnarsi all’esilio, ma tentò molte volte il ritorno in patria; infatti, se nel 1482 si trovava nella città medicea, dove il 4 aprile recitò nella Congregazione di Sant’Antonio l’Orazione del corpo di Christo, già l’anno successivo rientrava a Siena,

4 Il componimento è conservato nei codici fiorentini Riccardiano 2960 e Magliabechiano xxxv.

221; l’ottava invece nel manoscritto B. III. 11 della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena.

5 Cfr. SiEna, Archivio di Stato, Concistoro 686, c. 37r.

6 I. MErlini, La ri-nascita bucolica (rist. anastatica), Manziana, Vecchiarelli, 2009, p. 33.

dove il 20 agosto venne cantato per le strade della città una sua ottava, Quel che tu leghi

in terra sia legato, sull’alleanza tra Sisto IV, Firenze e la Repubblica senese4. Nel 1494 Buoninsegni venne arrestato ed esiliato nuovamente dopo aver subito la corda, ma riuscì comunque a rientrare a Siena dove nel giugno 1495 fu creato cavaliere. L’ultima notizia che lo riguarda risale al settembre 1497 quando venne imprigionato a Torre di Castello.

Il 1480 è la data fondamentale che segna una svolta significativa sia sul piano biografico, sia in particolare su quello letterario. Infatti, nonostante Siena avesse esplicitamente vietato agli esiliati di assumere come sede un qualsiasi luogo sotto la giurisdizione medicea, Jacopo decise di rifugiare proprio a Firenze5. Tale scelta fu certamente dettata da ragioni professionali e non a caso, poco dopo il suo arrivo in città, lo troviamo tra i protagonisti di un importante evento letterario, prendendo parte alle cosiddette Bucoliche elegantissime: la silloge di egloghe volgari uscita per i torchi di Antonio Miscomini nel 1482.

Nella raccolta sono pubblicati i testi di Bernardo Pulci, del senese Francesco Arzocchi, del fiorentino Girolamo Benivieni e a chiusura leggiamo le cinque bucoliche di Buoninsegni. La successione degli autori non pare casuale, ma piuttosto sembra sottoporre un ordine cronologico e quindi dare l’evoluzione stessa del nuovo genere. Colpisce inoltre l’assenza dalla stampa fiorentina di Lorenzo Medici, escluso plausibilmente per motivi encomiastici, come prova infatti la dedica di Pulci, posta in apertura, in cui il Magnifico appare come il «degnissimo successore della gloria dei suoi avi»6. Anche Benivieni esalta la supremazia politica dei Medici (III), allude alla Congiura dei Pazzi (IV) e alla morte di Giuliano (V); infine, Buoninsegni loda la magnanimità e la generosità di Lorenzo, al quale chiede aiuto per il suo ritorno in patria. I testi di Arzocchi sono in verità gli unici privi di una finalità encomiastica, ma sarebbe stato impossibile non comprendere l’autore nella silloge, avendo egli contribuito in maniera significativa alla genesi dell’egloga volgare. Inoltre potrebbe essere stata premura dello stesso Buoninsegni, in qualità di promotore della raccolta, non escludere il concittadino.

L’incunabolo aveva quindi un duplice intento, perché se da un lato si presentava come apologia della politica laurenziana, dall’altro mostrava la volontà di codificare il nuovo genere come eccellenza poetica toscana. Per di più l’antologia ebbe probabilmente un successo notevole, tanto da godere di una ristampa nel 1494 con il titolo di Bucoliche elegantissimamente composte da Bernardo Pulci Fiorentino et

7 La princeps del 1482 manca in realtà del frontespizio e viene comunemente indicata con

quello abbreviato della ristampa del 1494.

8 Così Virgilio, Ecl. I, 79-83 : «Hic tamen hanc mecum poteras requiescere noctem / fronde

super viridi: sunt nobis mitia poma, / castaneae molles et pressi copia lactis, / et iam summa procul villarum culmina fumant / maioresque cadunt altis de montibus umbrae».

da Francesco de Arsochi senese et da hieronymo Benivieni Fiorentino et da Jacopo Fiorino de Boninsegni senese7.

L’ultima parte dell’antologia ospita dunque l’opera di Jacopo Buoninsegni e consta di un gruppo unitario di quattro egloghe, precedute da una lettera per Alfonso di Calabria datata 3 aprile 1468, più una quinta dedicata a Lorenzo Medici. Le prime tre egloghe mostrano l’intenzione di un corpus, essendo accomunate da identità di versi (310 ciascuna) e affrontando con varie sfumature il tema della perdita e del dolore. La quarta, pur discostandosi dalle altre per tono e lunghezza, rientra comunque nel gruppo in quanto composta per la visita a Siena del Duca. Dopo un lungo silenzio, Buoninsegni decise di comporre la quinta bucolica, questa volta per il nuovo mecenate fiorentino, cogliendo l’occasione del Natale del 1481 e accompagnandola da una lettera dedicatoria finemente elogiativa.

In generale uno degli aspetti più interessanti della sua produzione è senz’altro il carattere allusivo, che cela, sotto le vesti pastorali, personalità contemporanee come Niccolò Angeli (I), Benedetto da Cingoli (III), Bernardo Lapini da Montalcino (I, IV), Filippo Buonaccorsi (IV), Lorenzo Medici (V) e allo stesso tempo rimanda a eventi politici del quattrocento. queste numerose allusioni, se in alcuni casi possono godere di ipotesi identificative piuttosto convincenti, in altri luoghi restano tuttora indecifrate.

Nella fitta rete di richiami a diversi modelli troviamo sicuramente Virgilio, Benivieni e Boccaccio, mentre per le tematiche spicca il Bucolicum carmen di Francesco Petrarca. Inoltre il lessico petrarchista deriva indubbiamente dal Canzoniere ed è riscontabile una presenza massiccia delle Sacre Scritture, che spesso conferisce ai testi una patina moraleggiante. Infatti Buoninsegni svela nei suoi versi un ricco canone di auctoritates a partire proprio da Virgilio, menzionando ad esempio alcuni dei suoi personaggi (Alexi, Coridone, Titiro, Melibeo e Licida), ma sopratutto recuperando dal precedente latino ambientazioni e tematiche. Altri luoghi sono invece ripresi puntualmente, come la chiusa della III del senese, dove Domizio invita Filleuro a trattenersi, calcando palesemente gli ultimi versi della prima egloga virgiliana: «Hespero suso al cel vedi sfavilla, / però qui meco di posarti actende, / che fumo surge già per ogni villa / e giù da monti maggior l’ombra scende»8. Nella quarta, Pronostico, che si differenzia dalle prime per tono e tema, gli influssi virgiliani si fanno ancora più evidenti a partire proprio dall’apertura che recupera i primi versi della quarta latina. Come anticipa il titolo stesso, si tratta di una profezia, che non annuncia un ritorno dell’età dell’oro, bensì un periodo di sconvolgimenti politici, di guerre e di pestilenze,

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