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Scrittori dell'origine

Al di là delle qualità riassunte in modo imperfetto da un'espressio-ne come "potenza della scrittu-ra", quel che giustifica il successo ottenuto negli ultimi dieci anni presso la critica francese da Pierre Michon e Pierre Bergounioux è senza dubbio una comune gra-vità: termine da intendersi in tutte le sue risonanze, per prima quella che evoca il fardello, il peso inte-riore, l'incarnazione. Oltre alle virtù delle loro opere, che i lettori italiani devono ancora scoprire, entrambi rappresentano una rot-" tura con il modo in cui oggi si espone la specificità non solo del testo, ma anche della lingua: una rottura violenta nel primo, appa-rentemente più impassibile nel se-condo. Essi sono al contempo, più di altri e in modo più vitale, "figli" e "padroni" di questa lin-gua. Le loro prose, dense e brevi, danno l'impressione di un con-trollo della scrittura tanto più grande quanto più gli spazi in esse esplorati sono impercettibili e i motivi profondi le conducono ad aporie.

Una prima lettura spinge a defi-nire questi autori come "scrittori dell'origine", legati alla traccia di un mondo rurale condannato nel-la sua forma e sopravvissuto in quel fardello che offre e impone a chi è nato da esso. La questione dell'origine - con ciò che essa im-plica in questa fine secolo rispetto alla resistenza all'annacquamen-to, alla superficialità, alla velocità - è una questione rischiosa in gra-do di generare, ancor più della nostalgia regressiva, l'enfasi o la derealizzazione. Ma in Michon, come in Bergounioux, si tratta an-cora una volta di gravità che origi-na nell'uno dall'estremo controllo cui è sottoposta una violenza es-senziale, costitutiva, nell'altro, da una coscienza acuta, hegeliana, del mondo e della storia.

Pierre Michon è nato nel 1945 a Cards, nella Creuse. Data e luogo hanno in questo caso la loro im-portanza: questa nascita, in una regione francese al contempo cen-trale e abbandonata, da un padre presto assente, "dedicatario ne-ro" delle Vies minuscules, e da una madre istitutrice, pone d'ac-chito l'opera di Michon su di una traiettoria di "vendetta" sublima-ta, paragonabile a quella di Ferdi-nando Camon: "Non credo di avere mai scritto se non con l'in-tento di render giustizia a piccole vite dimenticate". Il passaggio progressivo dell'espressione "vite minuscole" nel linguaggio comu-ne riflette l'impatto potente di questo primo libro, apparso nel 1984, che sottrae all'oblio vite a cui il mondo rifiutò quanto era lo-ro dovuto. A questo pozzo inson-dabile di esistenze all'apparenza vane e senza tracce, Pierre Mi-chon offre la lingua nel suo splen-dore e compone, nell'assenza del padre, la propria genealogia, cioè il "romanzo di un uomo incessan-temente ammaliato dall'iniquità della sua presenza nel mondo". Ma riscattare altre vite e il loro mutismo, significa anche fondare la propria scrittura, e il libro si di-spone intorno alla domanda: cosa significa diventare uno scrittore? Proprio come la Vie de Joseph

Roulin, del 1988, incarnerà la questione: come appare e si

costi-tuisce l'opera pittorica, cosa signi-fica dipingere dentro al mondo o contro di esso? Osservato dal po-stino Roulin, "minuscolo" rispet-to a Van Gogh che lo dipinge, il gesto del pittore è "incarnazione di un'indefinita volontà forte che trasforma gli uomini in principi" o il "gesticolare di uno spostato in pieno colpo di sole"? Due anni più tardi, Padroni e servitori, at-traverso le figure di Goya, di Wat-teau, di Piero della Francesca, co-sì come le colsero testimoni oscuri e vicini modelli o discepoli -farà di questa indagine sull'arte e i nomi gloriosi un'autentica polifo-nia. Verlaine, Banville o Carjat sa-ranno ancora una volta testimoni, ma infinitamente meno anonimi, in Rimbaud le fils, pubblicato nel 1991, ai margini del centenario della morte del poeta, libro di ti-more reverenziale e non di osse-quio. Nel 1996 seguiranno la for-ma definitiva di Roi du bois e La

Grande Benne, che esprimono in modo più immediato ancora l'enigma della nascita di se stessi e l'erotismo elementare. Di libro in libro Michon, la cui scrittura si fa sempre più controllata, densa e tattile, accosta una materia viva, "primitiva", per certi aspetti bru-tale. Questo contrasto tra lo stru-mento raffinato di cui fa uso e l'oscura pulsione dell'istinto, il nero magma da cui emerge il desi-derio delle forme, costituisce l'im-pronta della sua opera: di certo, nell'orizzonte della lingua france-se, una delle più essenziali di que-sti tempi, e delle più violente, il che non vuol certo dire la meno fraterna.

"Mi sento assai vicino alle ci-viltà primitive. La gente della mia età che ha vissuto in provincia era infinitamente vicina al neolitico. Mi considero uno degli ultimi rappresentanti (...) di popolazioni sedentarie, che prendono parte ai riti della vita agreste". Così si è definito nel 1994 Pierre Bergou-nioux in un'intervista pubblicata dal "Magazine littéraire". Nato nel 1949 a Brive, in Corrèze, egli

testimonia di un universo in oscil-lazione tra il Limousin cupo e umido di suo padre e il Quercy materno, bianco, calcareo e, a suo modo, più opulento. Di queste terre interne, che assumono il vol-to della desolazione o di gioie semplici e brevi, Bergounioux esplora la geografia col suo passo regolare che si presume inaltera-bile. Di pochi altri autori in Fran-cia si può dire che procedono per la loro strada, ugualmente indiffe-renti alle benedizioni o alle riserve della critica, come al numero dei loro lettori. Il rapporto di Bergou-nioux con il lavoro, con la sua mi-stica, è paragonabile a quello di Flaubert quale risulta dalla sua

Correspondance. Un accanimento calmo e profondo, una dolce radi-calità costringe Bergounioux a "portare alla luce cose che [gli] cagionano dolore" e che origina-no da una "oscurità" essenziale, quella delle vite che hanno prece-duto la sua nella storia famigliare. Lontano da ogni finzione, egli mi-sura a grandi passi questo passato personale, per quanto possibile collettivo, con una precisione da entomologo e uno stile depurato, sostenuto da una visione filosofi-ca in cui il concetto rappresenta la speranza di sfuggire a una singo-larità sofferente o contratta. Que-sto rispetto del pensiero, ma an-che il riconoscimento della sua in-sufficienza e la ricerca di rivela-zioni sensibili, distinguono for-temente l'opera di Bergounioux da quella dei suoi contemporanei. Ciò conferisce all'insieme dei suoi libri - una quindicina fino a oggi, pubblicati con impressionante re-golarità - un'unità tra le più rare. Sono le sfaccettature di un unico libro che sarebbe forse a misura del mondo. In un'epoca segnata dal fallimento di ogni sistema, la sua frammentazione è ammissio-ne di modestia, ma anche una questione di metodo.

Non è irrilevante che opere di tale importanza nascano oggi in Francia, dalla fine di un mondo rurale per cui l'Italia espresse il

BIBLIOGRAFIA DI PIERRE MICHON Vies minuscules, Gallimard, Paris 1984

Vie de Joseph Roulin, Verdier, La grasse 1988

L'Empereur d'Occident, Fata Morgana, Montpellier 1989

Maìtres et serviteurs, Verdier, Lagrasse 1990 (trad. it. Guanda, 1994) Rimbaud le fìls, Gallimard, Paris 1992

Le Roi du bois, Verdier, Lagrasse 1996 La Grande Beune, Verdier, Lagrasse 1996 Mythologies d'hiver, Verdier, Lagrasse 1997

Trois auteurs (Balzac, Faulkner, Cingria), Verdier, Lagrasse 1997 BIBLIOGRAFIA DI PIERRE BERGOUNIOUX Catherine, Gallimard, Paris 1984

Ce pas et le suivant, Gallimard, Paris 1985 La Bète faramineuse, Gallimard, Paris 1986 La Maison rose, Gallimard, Paris 1987 L'Arbre sur le rivière, Gallimard, Paris 1988 C'étaitnous, Gallimard, Paris 1989

La Mue, Gallimard, Paris 1991

Le Matin des origines, Verdier, Lagrasse 1992 L'Orphelin, Gallimard, Paris 1992

Le Grand Sylvain, Verdier, Lagrasse 1993 La Toussaint, Gallimard, Paris 1994 La Cécité d'Homère, Circé, Strasbourg 1995 Miette, Gallimard, Paris 1995

Le Chevron, Verdier, Lagrasse 1996 La Mort de Brune, Gallimard, Paris 1996

Le Bois du chapitre, Théodore Balmoral, Paris 1996 Laligne, Verdier, Lagrasse 1997

suo cordoglio convulsivo a partire dagli anni sessanta. Ma ciò non può stupire in un paese in cui l'in-dustrializzazione e la modernizza-zione furono infinitamente meno brutali che in terra italiana.

Negli ultimi mesi le edizioni Verdier hanno pubblicato due nuovi titoli di Pierre Michon e uno di Pierre Bergounioux. In

Mytho-logies d'hiver Michon esprime, in modo impressionista, la sua perce-zione del presente attraverso un dialogo tra mitologie legate a di-verse terre, dall'altopiano di Méjan all'Irlanda, mentre in Trois auteurs esamina due grandi figure della letteratura: Balzac e Faulkner - e un "piccolo maestro": Cingria. La

ligne di Pierre Bergounioux è un'esplorazione intima all'insegna di quest'arte misconosciuta, la pe-sca con la lenza.

(b.s.)

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